Testimoni francescani

 

Santi Francescani

I Fondatori

San Francesco

Breve biografia

Giovanni Francesco Bernardone nacque ad Assisi nel 1182. Figlio di un ricco mercante di stoffe, istruito in latino, in francese, e nella lingua e letteratura provenzale, da giovane condusse una vita spensierata e mondana.
Durante la guerra tra Assisi e Perugia, a cui aveva partecipato, venne fatto prigioniero e rimase in carcere per più di un anno. Durante quel periodo soffrì per una grave malattia, che lo avrebbe indotto a mutare radicalmente lo stile di vita.
Tornato ad Assisi nel 1205, Francesco si dedicò infatti a opere di carità tra i lebbrosi e cominciò ad impegnarsi nel restauro di edifici di culto in rovina, dopo che il Crocifisso della chiesa di san Damiano d'Assisi gli aveva parlato, ordinandogli di restaurare "la sua chiesa".
Il padre di Francesco, adirato per i comportamenti del figlio e per le sue cospicue offerte, lo citò in giudizio; Francesco si spogliò allora dei suoi ricchi abiti dinanzi al vescovo di Assisi, eletto da quest'ultimo arbitro della controversia.
Dedicò gli anni seguenti alla cura dei poveri e dei lebbrosi confinati nei boschi del monte Subasio.
Nella cappella di Santa Maria degli Angeli, nel 1209, un giorno, durante la s. Messa, ricevette l'illuminazione interiore ad andare nel mondo a predicare il Vangelo e ad abbracciare la povertà più rigorosa.
Francesco iniziò la sua predicazione insieme ai compagni, uomini di ogni estrazione sociale e culturale che, attratti dal suo insegnamento, avevano scelto di condividerne lo stile di vita. Questi divennero i primi confratelli del suo ordine (poi denominato Primo Ordine) ed elessero Francesco loro superiore, scegliendo come sede la chiesetta della Porziuncola, un'altra delle chiese restaurate da Francesco.
Nel 1210 l'Ordine venne riconosciuto da papa Innocenzo III, che ne approvò la Regola.
Nel 1212 anche Chiara d'Assisi prese l'abito monastico: nasceva così il Secondo Ordine Francescano, detto delle Clarisse. Intorno al 1212, dopo aver predicato in varie regioni italiane, Francesco partì per la Terra Santa, ma un naufragio lo costrinse a tornare, e altri problemi gli impedirono di diffondere la sua opera missionaria in Spagna, dove intendeva predicare la Buona Novella.
Nel 1219 si recò in Egitto, dove predicò davanti al sultano, senza riuscire a convertirlo; si recò poi in Terra Santa, rimanendovi fino al 1220.
Al suo ritorno trovò dissenso tra i frati, perciò si dimise dall'incarico di superiore, ma continuò con zelo la sua predicazione in giro per l'Italia, suscitando vasto e profondo entusiasmo tra le popolazioni. Fu così che nacque il Terzo Ordine dei Francescani Secolari, costituito da laici che continuavano a vivere nelle loro famiglie e a svolgere le consuete attività.
Ritiratosi sul monte della Verna nel settembre 1224, dopo 40 giorni di digiuno e sofferenza affrontati con gioia, ricevette le stigmate, i segni della crocifissione.
Ormai provato nel fisico e sofferente per la quasi totale cecità, Francesco venne portato ad Assisi, dove rimase fino alla fine.
Indebolito nel fisico, ma sempre più vigoroso nello spirito, cresceva nell'amore per Dio e per le creature, come espresse mirabilmente nel Cantico di frate Sole, composto propbabilmente nel 1225.
Francesco morì ad Assisi, a S.Maria degli Angeli, all'ora del Vespro del 3 ottobre 1226.
Canonizzato il 16 luglio 1228 da papa Gregorio IX, da papa Pio XII fu proclamato Patrono d'Italia e da Giovanni Paolo II patrono dell'ecologia.

Per saperne di più

Benedetto XVI: Vita di S.Francesco (Udienza del 27 gennaio 2010)

1. Vita prima di S.Francesco d'Assisi di Tommaso da Celano

2. Vita seconda di Tommaso da Celano

3. Trattato dei miracoli di S. Francesco di Tommaso da Celano

4. Leggenda maggiore. Vita di S.Francesco d'Assisi, di S.Bonaventura da Bagnoregio

5.Leggenda minore. Vita breve di S.Francesco d'Assisi, di S.Bonaventura da Bagnoregio

6. Leggenda dei tre compagni

7. Anonimo Perugino

8. Leggenda perugina.Compilazione di Assisi

9. Specchio di perfezione

10. Fioretti di S. Francesco

 

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Santa Chiara

Breve biografia

Chiara, figlia di Favarone di Offreduccio di Bernardino e di Ortolana, nacque da una nobile famiglia assisiate, nel 1194.
La madre, recatasi a pregare alla vigilia del parto nella Cattedrale di San Rufino, sentì una voce che le predisse: "Oh, donna, non temere, perchè felicemente partorirai una chiara luce che illuminerà il mondo".
La bambina fu chiamata Chiara e battezzata in quella stessa Chiesa.
Si può senza dubbio affermare che una parte predominante dell' educazione di questa fanciulla sia dovuta proprio alla Cattedrale di San Rufino, la sua Chiesa, che sorgeva poco distante dalla casa paterna.
L'ambiente familiare di Chiara era pervaso da una grande spiritualità.
La madre educò con ogni cura le sue figlie e fu tra quelle dame che ebbero la grande fortuna di raggiungere la Terra Santa al seguito dei Crociati.
L'esperienza della completa rinuncia e delle predicazioni di San Francesco, la fama delle doti che aveva Chiara fecero sì che queste due grandi personalità s'intendessero perfettamente sul modo di fuggire dal mondo comune e di donarsi completamente alla vita contemplativa.
La notte dopo la Domenica delle Palme (18 marzo 1212), accompagnata da Pacifica di Guelfuccio (prima suora dell'Ordine), la giovane si recò di nascosto alla Porziuncola, dove era attesa da Francesco e dai suoi frati.
Qui il Santo la vestì del saio francescano, le tagliò i capelli consacrandola alla penitenza e la condusse presso le suore benedettine di S. Paolo, a Bastia Umbra, dove il padre inutilmente tentò di persuaderla a far ritorno a casa.
Consigliata da Francesco, Chiara si rifugiò allora nella Chiesina di San Damiano che divenne la Casa Madre di tutte le sue Consorelle, chiamate dapprima "Povere Dame recluse di San Damiano", e, dopo la morte della Santa, Clarisse.
Qui visse per quarantadue anni, quasi sempre malata, iniziando alla vita religiosa molte sue amiche e parenti, compresa la madre Ortolana e le sorelle Agnese e Beatrice.
Nel 1215 Francesco la nominò badessa e le diede una prima Regola dell'Ordine che doveva espandersi per tutta l'Europa.
La grande personalità di Chiara non passò inosservata agli alti prelati, tanto che il Cardinale Ugolino (legato pontificio) formulò la prima Regola per i successivi monasteri e più tardi le venne concesso il privilegio della povertà, con il quale Chiara e le Consorelle rinunciavano ad ogni tipo di possedimento.
Nel 1243, durante un'incursione di milizie saracene nel Monastero di San Damiano, Chiara scacciò con un atto di coraggio la soldatesca: si presentò davanti ad essa tenendo alto in mano l'ostensorio contenente l'Ostia consacrata, cioé il Corpo di Gesù.
La fermezza di carattere, la dolcezza del suo animo, il modo di governare la sua comunità con la massima carità e avvedutezza, le procurarono la stima dei Papi che vollero persino recarsi a visitarla.
La morte di San Francesco e le notizie che vari monasteri accettavano possessi e rendite amareggiarono e allarmarono la Santa che, sempre più malata, volle salvare fino all'ultimo la povertà per il suo Monastero, componendo una Regola simile a quella dei Frati Minori. Questa fu approvata dal Cardinale Rainaldo, futuro papa Alessandro IV, nel 1252 e, alla vigilia della sua morte, da Innocenzo IV, che si recò personalmente a S. Damiano per portarle la benedizione e consegnarle la bolla papale che confermava la sua Regola.
Il giorno dopo, 11 agosto 1253, Chiara moriva, officiata dal Papa che volle cantare per lei non l'Ufficio dei morti, ma quello festivo delle Vergini.
Il suo corpo venne sepolto a San Giorgio, in attesa di innalzare la chiesa che porta il suo nome.
Nonostante fosse intenzione di Innocenzo IV di canonizzarla subito dopo la morte, si giunse alla bolla di canonizzazione solo nell'autunno del 1255, dopo avere seguito tutte le formalità, per mezzo di papa Alessandro IV.

Per saperne di più:

1. Leggenda di S.Chiara vergine

 

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I Patroni

 

San Ludovico re di Francia (Luigi IX il Santo)

Il 29 novembre 1226: la consacrazione

Tutte le campane della cattedrale di Reims suonano a distesa dopo l’aurora. Si consacra il nuovo re, che ha appena dodici anni. Sotto la guida della madre Bianca di Castiglia, vestita di bianco in segno di lutto regale, e tra le acclamazioni della folla, Luigi avanza, minuto, biondo, bello, dignitoso, raccolto. Viene accolto da Monsignor de Bazoche, vescovo di Soissons (poiché il vescovo di Reims sta morendo ), che lo conduce al suo trono.
La vigilia, a Soissons, era stato armato cavaliere.
La santa ampolla che doveva servire alla consacrazione era stata appositamente portata dall’abbazia di Saint-Denis dal padre abate, scortato da più di trecento cavalieri in armi.
La cerimonia incomincia. Luigi promette “di preservare la pace della Chiesa, di combattere le ingiustizie, di emettere giudizi equi e misericordiosi”. Viene intonato il Te Deum, mentre gli si infilano le calzature e gli speroni, posti sull’altare dove egli appoggia anche la spada, che il vescovo gli consegna, per consacrarla al servizio di Dio. Poi, mani giunte, in ginocchio, viene solennemente unto sulla fronte e sulle spalle con il sacro crisma estratto dalla santa ampolla mediante un cucchiaio d’oro. A quel punto, gli si porgono le insegne regali: l’anello, la mano di giustizia e lo scettro.
A voce alta egli dichiara: “Buon Signore Iddio, eleverò la mia anima a Voi e mi fiderò di Voi”.
Poi giura di “sostenere e difendere gli umili” e prende l’impegno “di non offuscare mai la gloria del nome che porto, né a causa di ingiustizia né a causa di violenza”.
Infine, la vestizione e l’incoronazione: il vescovo regge con le due mani la corona regale, sostenuta pure dai pari laici e da ecclesiastici. Essa viene posta delicatamente sulla testa del Re, mentre si cantano le antifone d’uso.
La consacrazione è fatta. Luigi è veramente Re di Francia per grazia di Dio. Seduto sul suo trono, riceve dal clero e dai signori presenti il giuramento di fedeltà. Dopo di lui, anche Bianca di Castiglia, sua madre, che assume la reggenza durante la minore età del figlio, riceve l’omaggio dei signori.
La Messa incomincia.
Il fanciullo sostiene con molto coraggio, gravità e devozione la lunga ed estenuante cerimonia. Durante la Messa egli fa sua con fervore la preghiera introduttiva: ” Verso di Voi elevo la mia anima, o mio Dio, in Voi confido, fatemi conoscere le Vostre vie e insegnatemi i Vostri sentieri”...
Sul sagrato della cattedrale il Re è accolto dalle acclamazioni della folla che grida la sua gioia: abbiamo un Re! Viva il Re! E’ festa! Viva Luigi IX! Viva il Re!
E’ stato necessario fare presto poiché Luigi VIII, suo padre, era morto il giorno 8 novembre e sepolto a Saint-Denis il 15 novembre, mentre il figlio non aveva che dodici anni. In effetti, egli era nato il 25 aprile 1214 nel castello di Poissy, residenza reale dopo il V° secolo e residenza preferita dei Capetingi.
Il matrimonio - certamente politico - di Luigi VIII° e di Bianca di Castiglia fu un’unione felice e la vita di coppia in mezzo ai loro figli fu armoniosa e profondamente religiosa.
Fu a Poissy, nella Collegiale eretta tra l’XI° ed il XII° secolo e dedicata a Nostra Signora, che il principino fu battezzato. Per il futuro Re questo Sacramento resterà sempre l’atto più importante della sua vita. “E’ a Poissy che ho ricevuto il più grande onore che esista al mondo, il battesimo”soleva dire. Egli conserverà sempre un grande attaccamento verso questa città, amando spesso firmare così la sua corrispondenza: Luigi di Poissy o Signore di Poissy.

Alla morte di Luigi VIII il pericolo è grande

Molti signori creavano agitazione nel regno. All’inizio del 1227, i baroni ostili alla Reggente si riunirono a Corbeil con l’intenzione di rapire il Re che ritornava da Orlèans, per sottrarlo all’influenza di sua madre. Luigi, per sfuggire all’agguato, si rifugiò nel castello di Montlhèry poi, scortato da una folla di uomini postasi davanti a lui, fece ritorno a Parigi. Il Re stesso, in seguito, raccontò come “ la strada da Montlhery fino a Parigi fosse piena di gente in armi o disarmata che pregava Dio di concedergli buona e lunga vita e di difenderlo dai suoi nemici”.
A quell’epoca l’eresia catara, che minacciava gravemente la coesione della società, infiammava tutta la Linguadoca perciò, poco prima di morire, Luigi VIII aveva preso la precauzione di far giurare ai vescovi e ai signori di continuare a prestare “fede e omaggio” a suo figlio Luigi.
La guerra contro gli Albigesi fu regolata il 12 aprile 1229 dal trattato di Meaux.
II conte di Tolosa, Raimondo VII, si sottomise all’autorità di Luigi IX promettendo di farsi crociato e di fondare una Università nella sua città.
Il paese era straziato dalle lotte interne. Poco tempo dopo, i tumulti causati dagli studenti, ribellatisi contro la confisca degli Ordini Mendicanti sull’Università, degenerarono in risse tra giovani chierici e borghesi, tra studenti e guardie della polizia militare. Tutto ciò aumentò l’insicurezza in Parigi, condusse ad una serie di crisi in seno alla stessa Università e scatenò dure repressioni. L’Università rispose mettendosi in sciopero, mentre gli allievi e gli insegnanti si dispersero chi ad Oxford, chi ad Angers, chi ad Orlèans, chi a Tolosa.
La Reggente dovette riconoscere i privilegi dell’Università, che diventò indipendente dal potere reale.

L’educazione vigilante ed esigente

Grazie a Dio e all’eccellente educazione che gli diede la madre, la Reggente Bianca di Castiglia, donna intelligente, energica e devota, Luigi perseguirà per tutta la sua vita gli impegni assunti con la consacrazione. Egli non dimenticherà mai di aver sentito sua madre dire “ che avrebbe preferito che egli fosse morto piuttosto che fosse caduto in peccato mortale”. Ella preparò suo figlio al mestiere di re sviluppandone le ricche qualità, che faranno di lui un buon re ed un cristiano fervente.
Guglielmo di Saint Pathus, confessore della Regina, dirà: “Le buone opere che si moltiplicarono durante il suo regno e la vita che condusse fino al suo ultimo giorno mostrano bene come egli, nella sua infanzia, avesse appreso a fare il bene e ad evitare il male”.
Bianca aveva affidato suo figlio a notabili e a chierici, tra i quali frati Francescani e Domenicani. Era una scelta giudiziosa, ben in linea con l’epoca. In effetti, il pensiero e la spiritualità cristiane si erano fortemente arricchite nel corso del XII° secolo e all’inizio del XIII°, soprattutto mediante l’esempio di San Francesco d’Assisi (m. 1226), che votò i suoi frati Minori alla povertà evangelica, e l’insegnamento di San Domenico (m. 1221), che aveva compreso il ruolo fondamentale della Parola. Questi domandava ai suoi frati Predicatori di rendere più efficace il loro ministero, affrontando nei loro sermoni le questioni dottrinali, anche le più complesse; “ parlare con Dio e di Dio” era il motto su cui fondare la priorità del lavoro intellettuale. Così, vedremo Luigi ricercare la povertà seguendo l’insegnamento del Vangelo ed essere assiduo alla lettura devota. Spesso la Regina stessa assisteva al lavoro scolastico, ben equilibrato tra le lezioni, l’esercizio fisico e i doveri religiosi. Fu così che Luigi IX imparò a praticare la compassione verso i poveri, arrivando, ancora fanciullo, fino a travestirsi da scudiero per non essere riconosciuto quando distribuiva loro l’elemosina. Assiduo ai suoi doveri di re e attento alle esigenze della sua profonda pietà, “egli evitava con cura le futilità, santificando meglio possibile anche le minime azioni e assistendo ogni giorno alla S. Messa e alle Ore canoniche”.
Il giovane re era assai coraggioso sul campo di battaglia, dove fu presente sia durante le guerre contro gli Albigesi e contro i baroni per difendere il conte di Champagne nelle sue lotte con l’Inghilterra, sia più tardi nel corso delle Crociate.

Luigi IX costruisce per Dio

Il XIII° secolo fu fervente di costruzioni. Durante più di cento anni, il paese si coprì di un bianco mantello di abbazie, di cattedrali, di semplici chiese che sorgevano ovunque. Luigi IX ebbe la sua parte in questo grande slancio. Il 24 ottobre 1227 egli assisté alla dedicazione dell’abbaziale di Longpont. Impressionato dalla cerimonia, decise di realizzare il progetto di suo padre Luigi VIII: edificare una abbazia. Questa sarà Royaumont, dove gli piaceva mescolarsi ai monaci, e dove, con semplicità, aiutava i muratori, portando pietre e malta sulle barelle, non essendo ancora stata inventata la carriola. Egli trascinava così anche i suoi fratelli a fare altrettanto, e in silenzio, come i monaci.
Si recava spesso anche all’abbazia di Chalis, fondata da Luigi VI nel 1136 nella foresta di Ermenonville. Là, egli condivideva la vita semplice e pia dei religiosi, giungendo perfino a lavorare nelle cucine, a servire i monaci a tavola e, ad imitazione di Cristo che lavò i piedi ai suoi apostoli, a lavare loro le mani e i piedi.
Nel corso della giornata, la sua grande pietà si manifestava in tutte le occupazioni. Dopo essersi alzato presto, egli cantava il Mattutino e rimaneva a lungo in preghiera. Durante gli spostamenti leggeva le Ore e, ogni volta in cui poteva, entrava in qualche abbazia e in qualche chiesa per pregare e ascoltare la predica.
Il Venerdì santo, a piedi nudi, egli assisteva alle funzioni religiose e, dopo aver venerato la Croce, in ginocchio, depositava abbondanti offerte sull’altare.
Aveva un temperamento vivace e facilmente irascibile; per questo si confessava almeno una volta alla settimana, il venerdì, e lottava strenuamente contro tale difetto, arrivando a vincerlo. Il santo Re era in guardia contro i libertini, i malvagi, i calunniatori. Non insultava mai nessuno e riprendeva dolcemente coloro che commettevano qualche sbaglio, a meno che non si trattasse di cosa molto grave. La dolcezza si spandeva dalle sue labbra e sapeva rendere mirabile tutto ciò che diceva. Per mortificazione, si sottometteva ai colpi di disciplina (una catenella di ferro) che il suo confessore gli infliggeva sul dorso come penitenza. Egli portava anche una camicia di crine chiamata cilicio. Più tardi, quando la salute era diventata fragile, il suo confessore lo convinse a sostituire le mortificazioni con importanti offerte supplementari, e, quando gli si rimproverava la sua eccessiva liberalità, egli rispondeva “che preferiva dare in elemosina per amore di Dio piuttosto che spendere in acquisti futili e che, poiché egli riceveva da Dio tutto ciò che possedeva, poteva ben renderglielo in questa maniera”.
Arrivava anche, nel suo desiderio di identificarsi con i poveri, fino a mangiare i resti dei loro piatti, allo stesso modo in cui essi mangiavano gli avanzi della sua tavola. Tutte le miserie umane lo commuovevano. Si poteva vederlo servire un monaco lebbroso o medicare le piaghe più ripugnanti. Faceva distribuire pane, pasti e denaro (fino al 10% delle spese della sua casa). San Luigi era per eccellenza il “Re elemosiniere”.

Il Re costruisce anche per gli ammalati e gli studenti

Per la salute del suo popolo egli fece costruire, a sue spese, degli ospedali: il Quinze-Vingt, per i soldati ciechi di guerra, la Maison des Béguines a Parigi, le Maisons-Dieu a Parigi, a Compiègne, a Vernon...
Per gli studenti poveri regalò un terreno e, insieme all’amico canonico Robert de Sorbon, fondò il collegio il cui insegnamento si sarebbe irradiato per tutta l’Europa: la Sorbona! Egli, infatti, si interessava anche della rinascita dello spirito e delle conoscenze che, partite dai monasteri, andavano ad arricchire il pensiero della sua epoca per svilupparsi poi nei secoli successivi.

Il culto delle reliquie

Come i suoi contemporanei, San Luigi aveva il culto delle reliquie e amava partecipare alle processioni, che seguiva a piedi nudi, portando lui stesso la cassa contenente le reliquie dei santi. Egli acquistò le più preziose: la santa Corona di spine ed un pezzo della vera Croce, da Baldovino II di Courtnay, imperatore latino di Bisanzio, bisognoso di denaro a causa delle lotte contro i Turchi. Per ospitarle era necessario un sontuoso reliquario. Così fu costruita la Sainte-Chapelle palatina, reliquiario monumentale e santuario reale, stupenda opera d’arte gotica in pietra e vetro, edificata dal 1242 al 1247 dall’architetto Pierre de Montreuil. La cappella bassa era destinata alle devozioni del personale, la cappella alta, vera cassa tutta in vetro, inondata di luce e di colori, era destinata ad ospitare le preziose reliquie, che vi furono deposte solennemente il 26 aprile 1248.
Scortate per battello, da Venezia erano giunte a Troyes. Il Re ed i suoi cavalieri andarono loro incontro fino a Villeneuve l’Archeveque. Il 10 agosto 1239 il Re cadde in ginocchio davanti alla Corona di spine, poi lui ed i suoi fratelli, a piedi nudi, portarono la cassa fino alla cattedrale di Sens, da dove in seguito venne trasportata a Vincennes per via d’acqua e, infine, depositata a Notre-Dame prima di essere solennemente posta nella Sante-Chapelle, in mezzo ad un grande concorso di popolo in esultanza.

La guarigione e il voto della Crociata

Nel dicembre 1244 il Re cadde gravemente malato mentre si trovava nell’abbazia di Maubisson, vicino a Pontoise. Si era assai indebolito a causa delle campagne di pacificazione condotte nel paese ed era alquanto rattristato dalle cattive notizie che arrivavano dalla terra Santa, dove dei cristiani erano stati massacrati a Gerusalemme, nella stessa chiesa del Santo Sepolcro.
Era ormai in agonia. Ovunque si pregava, si facevano processioni, si celebravano Messe secondo le sue intenzioni. Egli domandò perdono ai suoi baroni e ai suoi prelati, raccomandando loro di ben servire Dio. Su sua richiesta gli vennero portate le reliquie della Crocifissione e, nel momento in cui sembrava morente, Nostro Signore operò in lui e gli restituì la salute. Non appena fu in grado di parlare, chiese che gli fosse data la Croce e così fu fatto. Davanti ai vescovi di Parigi e di Meaux presenti al suo capezzale infatti, il Re aveva affermato “che non avrebbe preso alcun cibo prima di aver ricevuto il segno dei Crociati”. Cosa che fu fatta e da quel momento il suo stato di salute migliorò rapidamente.
Quando fu guarito, sua madre ed il vescovo di Parigi che aveva ricevuto il voto della Crociata, fecero un ultimo tentativo per farlo desistere dal suo proposito, argomentando che il voto non era valido in quanto pronunciato in stato di malattia.
Con il suo misto di rudezza, teatralità e humour, Luigi strappò violentemente la Croce dal suo vestito e ordinò al vescovo di restituirgliela “ perché non si possa dire che l’ha presa senza sapere ciò che faceva, dal momento che questa volta è sano di corpo e di mente”.
Da quel giorno il Re rinunciò ai ricchi abbigliamenti, alle pellicce di gran prezzo e alle armi da parata. Ristabilito in salute, intraprese i preparativi di questa nuova Crociata per liberare il Santo Sepolcro. La liberazione del Santo Sepolcro, finalmente compiuta, avrebbe dovuto inaugurare una nuova era nella storia della Chiesa e del mondo. Luigi si sentiva investito di una missione: accelerare la liberazione della tomba di Cristo era accelerare la venuta del Suo Regno; liberare la terra dove Egli era vissuto significava, soprattutto, vendicare l’onore di Dio, e le Crociate avrebbero certamente assunto una dimensione messianica. Si trattava anche di acquistare, per le vie più dirette, quella salvezza che sembrava così difficile ottenere nella vita quotidiana. Gettarsi nella Crociata, infatti, era trovare in terra Santa la remissione dei peccati più gravi, ma anche rischiare la propria vita per Cristo, poiché “non c’è un amore più grande di quello di dare la propria vita per coloro che si amano”.

Partenza per la 7° Crociata insieme alla sua sposa

Questo era lo stato d’animo di Luigi. Malgrado gli insuccessi delle precedenti Crociate - la quinta guidata da Giovanni de Brienne che non raggiunse nemmeno Gerusalemme; la sesta condotta dall’imperatore Federico II, che patteggiò con i musulmani, ai quali per trattato furono lasciati i luoghi santi a partire dal 1244 - il re Luigi IX era fiducioso. Egli riunì baroni, cavalieri, prelati. Alcuni vescovi e i suoi fratelli Roberto d’Artois, Alfonso de Poitiers e Carlo d’Anjou presero la Croce e il 12 giugno 1248 il Re si recò a Saint-Denis per “innalzare l’orifiamma”. A Notre-Dame, dopo la Messa gli vennero consegnati il bordone e la fascia. Poi, accompagnato dal popolo di Parigi, egli si recò a Corbeil, dove rivestì l’abbigliamento del pellegrino e del soldato. Fragile e minuto, assai magro e alto di statura, il Re aveva un viso d’angelo e veramente, vedendolo così devoto, malgrado le armi da guerra, si sarebbe detto un monaco anziché un cavaliere. In tal modo egli partiva per un’impresa pia e non per sete di conquista.
A Cluny, in Borgogna, San Luigi lasciò ancora una volta a sua madre il compito di governare il regno.
Per disporre di un porto sul Mediterraneo, aveva acquistato dei terreni dall’abbazia di Psalmodi, nei pressi della Camargue, dove, per facilitare la sua partenza per la Crociata, fece costruire di sana pianta Aigues-Mortes. Di là si imbarcò con la regina Margherita di Provenza, che aveva sposato il 27 maggio1234 nella cattedrale di Sens, dove la stessa era stata incoronata il giorno successivo al matrimonio.
Lui aveva vent’anni, lei non ne contava solamente dodici. In seguito ad un’usanza che non era molto rara a quell’epoca e per associare Dio a tutti gli atti importanti della sua vita, “la sera del matrimonio - scrive Guglielmo di Saint Pathus - il Re dichiarò alla moglie di voler seguire l’esempio del giovane Tobia, che era stato in preghiera per tre notti prima di consumare il matrimonio, e le insegnò a fare altrettanto”.
Luigi si mostrò ben presto molto innamorato della sua giovane sposa, al punto che la Regina-madre ne divenne gelosa e s’ingegnò a limitare i momenti di intimità della coppia. Gli sposi, invece, con la complicità del personale di servizio, si sforzavano di moltiplicarli. Joinville racconta: ” Luigi e Margherita amavano il castello di Pontoise poiché le loro camere si trovavano situate l’una sopra l’altra e collegate tramite una scala, sistemata all’interno di una muraglia che permetteva loro di incontrarsi in questa provvidenziale scala senza che Bianca lo sapesse. Se questa giungeva durante la giornata, gli uscieri, dandosi la voce, con una verga bussavano sia alla porta dell’appartamento del Re che alla porta dell’appartamento della Regina, così i due giovani si separavano in fretta, raggiungendo ciascuno la propria camera”. Quattordici anni più tardi, essi erano così teneramente uniti e così entrambi devoti che non potevano che partire insieme alla volta della riconquista del Sepolcro di Cristo.
Al suono del Veni Creator, stando sul ponte della Montjoie, la bella nave dalle grandi vele marchiate dal tessuto rosso dei crociati, vera fortezza navigante, il Re salpò il 25 agosto 1248. Fece vela verso Damietta, un porto al di là del Nilo. In effetti, Luigi voleva attendere il Sultano in Egitto, là dove si trovava il centro della sua potenza. I Crociati, invece, si erano raggruppati a Cipro, dove trascorsero l’inverno.

La presa di Damietta

Fu solo a Pasqua, però, che la loro flotta si presentò davanti a Damietta, città che essi presero dopo violenti combattimenti, i quali causarono morti, feriti e prigionieri. Con misericordia il Re si sforzava di alleviare le sofferenze, sia dei Saraceni come dei cristiani.
Malgrado i consigli del Maestro dei Templari, Guglielmo di Sonnac, che propose di fermarsi là per un po' di tempo, Roberto d’Artois, fratello del Re, pieno di foga trascinò l’avanguardia dell’armata a prendere il solido bastione di Mansourah per difendere la strada del Cairo.
Fu la disfatta. Roberto venne ammazzato, l’armata fu decimata dai Saraceni e dal tifo. I prigionieri e i malati furono massacrati dalle truppe del Sultano quando non potevano pagare un consistente riscatto. Essendo caduto prigioniero anche il Re, furono la presenza di spirito e l’autorità della Regina Margherita che riuscirono ad arrestare la ritirata dei soldati, trasformatasi in sfacelo a causa del panico. Così si poté conservare Damietta, che servì a pagare parte del riscatto del Re, che fu effettuato non senza difficoltà. Quando Luigi seppe che i suoi mandanti erano riusciti ad imbrogliare i musulmani di 20.000 libbre sulle 200.000 pattuite per il pagamento, montò in collera, reputando che “la sua parola doveva essere salvaguardata, anche se era stata data a miscredenti” e fece loro restituire il denaro sottratto.
Dopo essere stato più volte minacciato di morte, poiché si rifiutava di abiurare la fede cattolica, dicendo “ il mio corpo potete metterlo a morte, ma l’anima voi non potrete ucciderla”, egli fu finalmente liberato.

Il Re s’imbarca per San Giovanni d’Acri

Ammirato per le sue qualità morali, dagli stessi Saraceni fu soprannominato “Sultano giusto”. Nell’agosto del 1250, da Acri, mediante una lettera dal carattere del tutto nuovo destinata all’opinione pubblica francese, il Re annunciò al suo popolo la decisione di fermarsi ancora in Terra Santa.
Egli rinviò in Francia i due fratelli Alfonso e Carlo per sostenere la regina Bianca, dicendo: ” Sono persuaso che, se mi fermo ancora qui, non c’è alcun pericolo che il mio regno si perda, poiché la Regina Bianca di Castiglia può contare su molte persone per difenderlo”.
Egli poté giungere in Terra Santa, ma non a Gerusalemme. Nel 1251 compì il pellegrinaggio a Nazareth e fece fortificare le piazzeforti tenute dai baroni Ospitalieri e dai Templari. Una volta ancora, si vide il Re pagare di persona, lavorare ai bastioni, aiutare a sotterrare i cadaveri in putrefazione. ” Non lasciatevi abbattere da questi corpi, perché sono i corpi di martiri che ora sono in Paradiso”: diceva a quanti erano con lui.
Più tardi, egli raccontò ad un suo fedele compagno le lunghe conversazioni con il Sultano sulla fede cristiana e la fede musulmana, nella speranza di convertire gli infedeli, a cui andava ripetendo: “L’Onnipotente sa che io sono venuto dalla Francia fin qui non certo per ottenere delle terre o del denaro a mio vantaggio, ma solamente per guadagnare a Dio le vostre anime, che sono in pericolo”.

Ma i luoghi santi non furono liberati

San Luigi accettò la disfatta con umiltà, come una punizione meritata a causa dei suoi peccati e come un giusto castigo del Cielo.
Nella primavera del 1253 egli apprese la notizia della morte della Reggente, deceduta il 27 novembre 1252. Per qualche giorno si abbandonò a manifestazioni di dolore, poi decise di rientrare in Francia.
Solo il 24 aprile 1254 poté finalmente imbarcarsi. Qualche giorno più tardi, però, la sua nave si incagliò su di un banco di sabbia, che danneggiò la chiglia dell’imbarcazione. Si temette il naufragio, ma Luigi rifiutò di abbandonare la nave, poiché tutti coloro che erano a bordo non avrebbero potuto, come lui, essere raccolti su altre navi. Così proseguì il viaggio, confidando nell’aiuto di Dio, che non gli mancò dal momento che riuscì a sbarcare a Salins d’Hyères il 10 luglio, mentre solo il 5 settembre raggiunse Vincennes.

Luigi IX, uomo di pace

Luigi non aveva fatto guerra che per pacificare il suo regno e per difendere il Sepolcro di Gesù Cristo. In realtà, egli fu un grande uomo di pace. Nel 1257 proibì le guerre private in Francia. Nel 1258, contro il parere dei suoi consiglieri, mediante il famoso trattato di Parigi, regolò il conflitto anglo-francese dichiarando: “ Le terre che dò al Re d’Inghilterra io gliele dono senza esservi veramente obbligato, ma per mettere amore estremo tra i miei figli ed i suoi, che sono primi cugini”. In effetti, Enrico III otteneva una somma di 134.000 libbre nel corso di due anni, da impiegare solo al servizio di Dio, della Chiesa e a profitto del regno d’Inghilterra, più i domini del Re di Francia nelle diocesi di Limoges, Cahors e Périgueux. In cambio, egli rinunciava al beneficio della Francia e alle sue pretese sulla Normandia, l’Angiò, la Maine e il Poitou.
Il 4 dicembre 1259, il Re d’Inghilterra, nel giardino del Palazzo, poneva le sue mani in quelle di Luigi IX per prestargli l’omaggio dei suoi possedimenti in Francia, sigillando così la riconciliazione della Casata di Francia e della Casata d’Inghilterra.
Al di fuori del Regno, il Re di Francia svolse opera di arbitro: l’editto di Péronne riportò la pace tra le contee di Fiandra e di Hainaut. Egli assicurò la concordia all’interno della propria famiglia tra il fratello Carlo d’Angiò e la suocera di quest’ultimo, Beatrice di Savoia. I Papi stessi, Alessandro IV e Urbano IV fecero appello a lui riguardo alle loro contese con i conti di Champagne e gli imperatori Federico II e Corrado IV di Hohenstaufen.
Molti partiti e molti uomini in conflitto si affidarono allo spirito di giustizia e all’amore per la pace del Re di Francia.

...E uomo di giustizia

Nel suo paese egli era assai preoccupato della giustizia. “Molte volte capitò che d’estate andasse a sedersi nel bosco di Vincennes, appoggiandosi ad una quercia, e tutti quelli che avevano dei problemi andavano a parlargli senza impedimento di usciere o d’altro”: così scriveva Epinal per esprimere che la giustizia del Re Luigi era una giustizia di prossimità, semplice e bonaria.
Ma l’opera estremamente più importante in questo campo fu la seguente: egli organizzò una sezione giudiziaria della corte del Re. Si trattava del Parlamento di Parigi, che avrebbe avuto una grande influenza nella storia.
Bisognava sorvegliare i balivi, i siniscalchi e i capi della polizia per mezzo di inquirenti reali, incaricati, prima della sua partenza per la Crociata, di raccogliere le lamentele dei suoi sudditi contro gli abusi, ivi compresi quelli dei re suoi predecessori. Questi inquirenti dovevano ascoltare gli abitanti di ciascun villaggio e rendere giustizia ad ognuno, senza esitare a punire i colpevoli sul campo.
Egli voleva giustizia per tutti e sorvegliava i giudizi dei suoi vassalli, non esitando a condannarli a pesanti pene. Per aver fatto impiccare tre giovani, colpevoli di aver ammazzato dei conigli in un bosco, il signore di Coucy fu arrestato, condannato a pagare una forte ammenda (il buon Re prese il denaro dell’ammenda, ma non lo mise affatto nel suo tesoro, anzi lo convertì in buone opere) e a fondare tre cappelle in espiazione del suo crimine. Di più, il Re gli ritirò il diritto di fare giustizia nelle sue terre, cosa che costituiva la più grande umiliazione per un signore.
Soppresse il duello giudiziario e impose ai suoi vassalli la “ quarantena del Re”, che proibiva all’offeso di attaccare i parenti prossimi dell’offensore presenti all’offesa, prima di un periodo di quaranta giorni, al fine di evitare le desolanti guerre tra signore e signore, che creavano una continua instabilità ed opprimevano il paese.
In ogni situazione egli voleva proteggere il debole contro il forte, sicuro che ciò fosse suo dovere di Re retto. “Caro figlio, raccomandava a suo figlio il futuro Filippo III, sforzati di avere le qualità che si addicono ad un re, cioè di essere giusto e, qualunque cosa ti accada, non allontanarti mai dalla giustizia... Sostieni di preferenza il povero contro il ricco fino a quando tu non sappia la verità e, quando la conoscerai, fai giustizia.”.
Mediante un’ordinanza egli garantì il titolo della “buona moneta”, stabilendo che la moneta del re doveva essere ricevuta in pagamento dall’intero regno e che nessuno era autorizzato a “traboccare”, cioè a pesare le monete per assicurarsi che avessero il peso richiesto, dovendo bastare, a loro garanzia, l’impronta che esse portavano. Punì severamente gli imbroglioni.
Così tutti i suoi sforzi tesero a pacificare e ad unificare il regno.

Luigi e la sua famiglia

Le prove personali furono numerose. Perse tre degli undici figli che gli aveva dato la moglie Margherita di Provenza. La morte, a 17 anni, del delfino Luigi, giovane principe dotato di tutte le qualità richieste per farne un grande re, aveva profondamente segnato la coppia reale, molta attenta alla felicità e all’educazione dei numerosi figli. Il Re stesso, prima che questi la sera andassero a letto, insegnava loro la storia, mediante letture devote e faceva loro recitare una preghiera alla Vergine. Insegnava a detestare il male, ad avere orrore del peccato e ad amare Dio. “Caro figlio, la prima cosa che ti insegno è che tu disponga il tuo cuore ad amare Dio, perché senza ciò nessuno può essere salvato. Stai attento a non fare nulla che dispiaccia a Dio, in particolare il peccato mortale...Se Dio ti manda qualche avversità, ricevila con pazienza e rendi grazie a Nostro Signore...Abbi il cuore dolce, compassionevole verso i poveri, i disgraziati e gli afflitti e confortali ed aiutali secondo le tue possibilità...”: questo insegnava ai figli e questo lui stesso metteva in pratica con umiltà e pietà.

Luigi e il suo popolo

In seguito alla sua guarigione miracolosa, Luigi si era sentito investito di una missione divina, ma il disastro della Crociata d’Egitto lo condusse a non volersi occupare più d’altro se non della salvezza personale e del suo compito di re.
Da allora la sua pietà, fatta di rigore e di mortificazione, rinforzò l’immagine della sua santità, così spesso evocata da coloro che gli vivevano accanto. “Egli non portava più che del panno al posto della seta e non dormiva che su di un letto di legno, coperto da un materasso di cotone e non di piume”.
Sempre preoccupato di evitare lo scandalo sotto i suoi occhi, poiché, secondo lui, tollerare il male equivaleva a dargli consenso, si diede la pena, un giorno, di correggere pubblicamente una dama della sua corte, che gli sembrava aver oltrepassato i limiti della modestia e del buon gusto nel modo di abbigliarsi. Rimproverandola per avere dedicato troppa cura al suo aspetto le disse: ”Signora, vorrei ricordarvi una cosa utile per la vostra salvezza. Si dice che una volta voi siate stata una bella donna, ma quel tempo è passato, come voi ben sapete. Potete dunque comprendere che quella bellezza è vana e inutile, poiché passa veloce e, come un fior, sfiorisce immediatamente e non dura. E voi non potreste in alcun modo fermare questa bellezza, quali che siano i trattamenti e le cure impiegati. Vi conviene, dunque, acquistare quell’altra bellezza, quella dell’anima, per la quale potete implorare il nostro Creatore e compensarlo della vostra negligenza a questo riguardo manifestata nel passato”.

La sua pietà

Luigi IX aveva progettato anche di rinunciare alla corona per farsi religioso: la regina Margherita, sua moglie, e suo fratello Carlo però lo dissuasero.
Egli assisteva alla Messa in piedi o in ginocchio su un tappeto e, se era ammalato, faceva celebrare la Messa vicino al letto. La mattina si alzava presto per recitare il Mattutino insieme ai suoi cappellani; come i monaci, era assiduo alla recita delle sette Ore canoniche e alla predica.
Durante l’Avvento e la Quaresima, i Mercoledì, Venerdì e Sabati riceveva tredici poveri alla sua tavola e li serviva personalmente. Offriva la minestra, tagliava la carne come un semplice scudiero, puliva il pesce per i ciechi e presentava loro i bocconi, tagliava il pane e, dopo il pasto, dava a ciascuno dodici denari e due pani. Il Sabato sceglieva i più diseredati, i più sporchi, i più straccioni, lavava loro le mani e i piedi e li abbracciava senza repulsione, poiché “ ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, ho avuto sete e mi hai dato da bere” dice il Vangelo (Matteo 25-35).
Si assisteva ad una vera ed autentica spiritualità della beneficenza verso i poveri, soccorsi per amore di Colui che non ebbe “ dove riposare il capo”. In ogni situazione Luigi si sforzava di vivere il Vangelo nella quotidianità, come meglio gli era possibile. A Joinville che gli diceva “che avrebbe preferito commettere trenta peccati mortali piuttosto che essere lebbroso”, egli rispose un giorno con vivacità: “Voi parlate senza riflettere, come uno sventato perditempo, poiché non c’è peggior lebbra dell’essere in peccato, in quanto l’anima che si trova in questo stato è simile al diavolo”.
Aveva anche orrore della bestemmia. Quando, cavalcando per Parigi, sentiva un abitante bestemmiare il nome di Dio, lo faceva immediatamente prendere e gli faceva marchiare con un ferro rovente un fiore di giglio sulle labbra. Egli dichiarò ad alta voce “che avrebbe desiderato ricevere lo stesso trattamento purché questo cattivo vizio e peccato fosse stato estirpato dal regno”.

La partenza per l’ottava Crociata

La sua grande pietà e la sofferenza di sapere che la tomba di Cristo era nelle mani degli infedeli, che continuavano ad impedire i pellegrinaggi al Santo Sepolcro, lo condussero a proclamare davanti ai suoi baroni, il 25 marzo 1267 festa dell’Annunciazione, nella cappella alta della Sainte Chapelle, il suo desiderio di riprendere la Croce. E, nonostante il consiglio del Papa, le reticenze dei signori e la sua cattiva salute, a 53 anni, il giorno di Pentecoste era nell’isola Notre-Dame - oggi isola di San Luigi- dove, insieme ai suoi tre figli e a numerosi cavalieri, dalle mani del legato del papa Clemente IV ricevette la croce di lana rossa sulla spalla destra, come la portavano i crociati, per il motivo che “Gesù aveva portato la sua croce sulla spalla destra”.
Come per la settima Crociata, ai preparativi, che durarono tre anni, il re unì ardenti preghiere alle quali associava il suo popolo.
Intraprese dei pellegrinaggi nei diversi santuari intitolati a Nostra Signora e ai Santi protettori della Francia: San Martino, San Dionigi, Santa Genoveffa. Si recò a Chartres, a Tours, alle spiagge del monte Saint-Michel, dove, come per miracolo, ritrovò le forze per andare a piedi nudi sulle sabbie mobili e per salire senza aiuto fino alla “ Merveille”, la chiesa vertiginosa arroccata sulla roccia. Egli implorò l’Arcangelo dei combattimenti, non per la vittoria terrestre, ma per il combattimento spirituale che doveva portare alla conversione degli infedeli. Fu il 14 marzo 1270 che il Re “ alzò l’orifiamma” a Saint-Denis e ricevette il bordone del pellegrino prima di imbarcarsi nuovamente ad Aigues-Mortes, ancora sulla Montjoie; questa volta, però, su consiglio del fratello Carlo, alla volta di Tunisi. Il viaggio fu drammatico: ci furono tempeste, malattie, difficoltà di approvvigionamento. Il Re, commosso da tanta disperazione, ritenendo ormai prossima la sua fine, affidò il comando dell’esercito al figlio Filippo.
Incontrando poca resistenza al momento dello sbarco a Tunisi, i Crociati avanzarono fino alla piana di Cartagine, dove il re pose il suo accampamento. Là i Saraceni non diedero loro tregua mentre il caldo torrido li debilitava. L’acqua dei pozzi contaminati e il cibo guasto causarono una epidemia di tifo che decimò l’esercito. Il figlio del Re, Gian Tristano, conte di Nevers, morì. Nell’apprendere questa morte, che gli era stata tenuta nascosta per molti giorni, Luigi non ebbe alcun moto di ribellione. Piangendo, offrì il sacrificio di suo figlio prima di pronunciare le parole di Giobbe: “ Il Signore me l’ha dato, il Signore me l’ha tolto. Che il nome del Signore sia benedetto”.

L’epidemia di tifo investe Luigi ed il figlio Filippo

Il Re ed il figlio Filippo caddero malati a loro volta. Sentendosi perduto, Luigi si preparò alla morte con fede e coraggio e consegnò al figlio le sue ultime commoventi volontà: “ Carissimo figlio, ti dò tutte le benedizioni che un buon padre può dare a suo figlio: che la benedetta Trinità e tutti i Santi ti custodiscano e ti difendano da tutti i mali, e che Dio ti doni la grazia di fare sempre la Sua santa volontà, affinché Egli sia onorato da te e che tu ed io possiamo, dopo questa vita mortale, essere insieme con Lui e lodarLo senza fine. Amen”.
Questa esortazione completa l’insegnamento in cui tra le altre cose egli diceva: ” Guardati dal fare cosa che dispiaccia a Dio. Se Egli ti concede la prosperità, ringraziaLo umilmente. Confessati spesso... Partecipa alle celebrazioni liturgiche della santa Chiesa, con devozione, senza chiacchierare, ma prega Dio con il cuore e con la bocca, specialmente al momento della consacrazione durante la Messa. Abbi il cuore dolce e compassionevole verso i poveri, i disgraziati e gli afflitti... Nel fare giustizia ed applicare il diritto, sii leale ed inflessibile verso i tuoi sudditi, senza voltarti né a destra né a sinistra, ma dritto davanti a te, e sostieni la causa dei poveri fino a quando non emerga la verità”.

La morte del Re

Con gli occhi rivolti unicamente verso il suo confessore Guglielmo di Machaux, che gli stava accanto, il Re ricevette il Sacramento dell’Estrema Unzione con devozione, rispondendo lui stesso ai versetti dei Salmi e non smettendo mai di pregare per il suo popolo e per i soldati che avevano preso la Croce, supplicando Dio di ricondurli nel loro paese e di non consegnarli nelle mani dei nemici. Lo si sentì invocare San Giacomo e Santa Genoveffa. Il mattino del 25 agosto 1270, nell’accampamento posto nei pressi di Cartagine, sotto il sole implacabile che faceva salire dal lago di Tunisi dei vapori afosi e delle maleodoranti esalazioni, sempre più debilitato dai digiuni e dalla malattia, il Re chiese di essere disteso su di un letto di cenere in forma di croce e là “attese il trapasso e mai - secondo le testimonianze della suo seguito - egli apparve più bello e più sereno...”.
Poi, dopo aver pronunciato le medesime parole dette da Gesù Cristo sulla Croce il Venerdì Santo: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, ”la sua anima lasciò il corpo per essere associata alla compagnia dei martiri”, come ci riporta questa toccante espressione del tempo.

Santo per il popolo...

“Possiamo testimoniare, scriveva Thibaut a Eudes di Châteauroux (legato del papa nella settima crociata), che mai in tutta la nostra vita abbiamo visto una morte così santa, così devota”.
Luigi aveva 55 anni e regnava da più di 43. L’ottava crociata era finita. Fu l’ultima ed il sepolcro di Cristo rimase nelle mani degli infedeli, nonostante quasi duecento anni di lotte.
Il giorno dopo la morte, si dovette procedere ai macabri preparativi destinati a rendere trasportabile il corpo. Si fece bollire il cadavere del Re in una miscela d’acqua e di vino. Le interiora e le carni furono deposte in un sepolcro nella cattedrale di Monreale, in Sicilia, mentre le ossa e il cuore furono sistemati in un reliquiario portato in Francia per essere affidato all’abbazia di Saint-Denis, necropoli reale.
Il nuovo re Filippo III, la famiglia reale e il poco che restava dell’esercito accompagnarono le spoglie del re Luigi. Lungo tutto il cammino di ritorno, in Italia e durante la lenta traversata del regno di Francia, la folla si accalcava davanti al corteo funebre e pregava per l’anima del Re morto. I malati toccavano il reliquiario che racchiudeva i suoi resti. “ Il Figlio di Dio, che il beato Re aveva amato con tutto il cuore, volle che la sua santità fosse manifesta al mondo: volle che risplendesse con i miracoli, così come aveva rifulso per le virtù. Ecco perché il Re restituì l’uso degli arti a chi l’aveva perso, raddrizzò coloro i cui corpi erano curvi fino a terra, sanò i gobbi, i gottosi, coloro che avevano perso la memoria, restituì la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, agli zoppi la facoltà di camminare, ai morti la vita. Mediante questi miracoli e molti altri ancora la santità del beato Luigi rifulse con chiarezza, come attestano le affermazioni di Guglielmo di Pathus, il quale raccontò ben sessantacinque fatti miracolosi prodottisi sulla tomba di Luigi IX Re di Francia”.

...Luigi IX diventa San Luigi

A seguito di questi miracoli la canonizzazione del Re fu richiesta da tutti: il re Filippo III, i suoi baroni, i prelati, coloro che avevano seguito o avvicinatio il Re e il popolo che lo amava. Una prima inchiesta fu fatta dal 1273 al 1280 per ordine di papa Nicola III, poi una seconda fu prescritta nel 1282. Tra i numerosi testimoni ascoltati, il signor Joinville, che aveva accompagnato San Luigi per tanti anni, depose per due giorni su ciò che sapeva della sua vita e dei suoi miracoli. Il 6 agosto 1267 il papa Bonifacio VIII rilasciò la bolla di canonizzazione, dichiarando: “ Questa è una grande gioia per tutto il regno di Francia e un grande onore per quelli della sua discendenza che vorranno imitarlo nel fare il bene...”.
Il 25 agosto 1298, il giorno stesso della festa di San Luigi, nell’abbazia di Saint-Denis, per ordine e alla presenza del nipote Filippo IV il Bello, ebbe luogo la traslazione delle reliquie in una cassa d’oro, che fu posta su un altare appositamente costruito.
Qualche anno più tardi, Filippo il Bello richiese all’abbazia di Saint-Denis l’autorizzazione a riportare la cassa a Parigi. Questa traslazione ebbe luogo il 17 maggio 1306 con il concorso di un gran numero di prelati, di baroni del regno e di una folla considerevole.
Per tutta la sua vita San Luigi ha voluto conciliare gli imperativi della vita cristiana con quelli della vita del mondo. Egli non è stato un santo di vetro! La sua santità è stata conquistata per mezzo di continui sforzi di autocontrollo. Essa si è forgiata a contatto della dura realtà, delle emozioni, dei lutti, degli insuccessi e delle gioie. Non è stato un eroe tutto d’un pezzo che abbia raggiunto di botto la perfezione; è stato un uomo alle prese con le contraddizioni, le prove, le difficoltà di un’epoca appassionante, ma che non ha risparmiato né guerre, né crisi economiche, né rivolte sociali, né conflitti nell’ambito della cultura.
Questo uomo è stato compenetrato dalla dignità della sua corona, dall’eccezionale investitura e dalla pesante responsabilità che gli derivava dalla sua consacrazione. Egli ha voluto essere un figlio devoto della Santa Chiesa e, nello stesso tempo, il custode dei diritti della monarchia francese.
E’ stato un operatore di pace e un appassionato della giustizia, potendo così lasciare a suo figlio un regno ricco, in cui l’autorità regale non era più contestata né in Francia né all’estero. San Luigi ha pensato anche alla salvezza delle anime del suo popolo, dei cristiani e anche degli infedeli. Ha voluto, bandendo la bestemmia, la prostituzione, il gioco, l’ingiustizia, la violenza, l’usura, ed esaltando invece la gloria e la misericordia di Dio, condurre al Giudizio finale un popolo purificato.

LUIGI FU RE, SANTO E UOMO

Bibliografia

Richard Le Goff, Saint Louis, Gallimard.
Jean Richard, Saint Louis, Fayard.
Régine Pernoud, La Reine Blanche, Albin Michel.
Jean Sire De Joinville, Histoire de Saint Louis, Jean de Bonnot.
Guillain De Benouville, Saint Louis ou le printemps de la France, Didier Toulouse.
Les propos de Saint Louis, presentes par David O’Connell, Archives Gallimard / Julliard.

 

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Santa Elisabetta d'Ungheria

Biografia scritta da Mary Germaine MICM
[Traduzione dall'inglese di Lisa Terrasi]


Un nuovo ordine sociale

Arricchita dalla fede Cattolica, l’Europa giunse a nuovi gradi di civilizzazione e cultura sulle rovine dell’antica Roma pagana. Un nuovo ordine sociale ricevette la sua vitalità dalle virtù sociali e personali adottate nella vita della famiglia cristiana. Ciò non fu mai così chiaro come nel Medio Evo, quando nelle case reali d’Europa ci furono sovrani che erano dei santi.
Questi uomini e donne - valorosi e virtuosi - valutarono la loro santità come apice della loro nobiltà. Le nazioni cattoliche o prosperarono con la benedizione di Dio, o pagarono le conseguenze dell’ infedeltà nei confronti dei loro doveri sacri.
In testimonianza della forza della Grazia di Dio, i guerrieri magiari, una delle comunità più violente e più difficili da sottomettere, diedero alla Cristianità alcuni dei suoi più santi monarchi. Questa linea reale iniziò con la conversione del capo dei Magiari, Geza, nel 975 AC , il cui figlio, S.Stefano, divenne re d’Ungheria e regnò dal 1000 al 1038. Stefano e i suoi discendenti fecero di tutto per estendere l’influenza della fede cristiana anche al di fuori del loro paese e in tutta Europa.
S.Elisabetta d’Ungheria brilla in questa famiglia come una delle stelle più lucenti. Nel breve arco di tempo della sua vita terrena, 24 anni, realizzò mirabilmente i disegni di Dio prima come principessa, poi come moglie, madre e vedova, insegnando a se stessa e trasmettendo alle generazioni seguenti l’incomparabile valore della rinuncia a se stessi e della carità al servizio di Dio.

Stella Meravigliosa

Il padre di S.Elisabetta, Andrea II, ricco e potente re d’Ungheria, Galizia e Lodomeria, iniziò a regnare nel 1205. Era descritto come "valoroso, intraprendente, pio, generoso ed ottimista, che non ha mai pensato al domani". Per rinforzare i legami politici sposò la contessa tedesca Gertrude di Andechs-Meran, diretta discendente di Carlo Magno. La sorella della regina Gertrude, Hedwig, moglie del duca di Slesia, fu proclamata Santa. Un’altra sorella era Badessa Benedettina e due fratelli erano cardinali, meglio detti "principi della Chiesa".
Elisabetta nacque verso la metà del 1207, nel palazzo reale a Pozsony, odierna Bratislava, sul Danubio. I suoi primi tre anni passarono felicemente con la sorella Maria e il fratello Bela, che un giorno sarebbe succeduto al padre come re Bela IV. Fin dalla sua più tenera età Elisabetta amò la musica, la danza e giocare in campagna, ma la sua più grande gioia era fare l’elemosina per alleviare le sofferenze dei poveri.
L’amore di Elisabetta bambina per la virtù e la preghiera corrisponde perfettamente al suo nome, che in ebraico significa "adoratrice di Dio" o "consacrata a Dio". Ma non c’era per Elisabetta neanche la più remota opportunità di seguire la strada della zia materna, la badessa Benedettina. Seguendo il costume di quel tempo, suo padre, per ragioni politiche, combinò il suo matrimonio quando lei era ancora neonata. Stabilì che Elisabetta sarebbe diventata Duchessa di Thuringia.
Hermann I, Langravio (Conte) di Thuringia, regione della Germania orientale, era patrono delle arti e uno dei sovrani più ricchi ed influenti di tutta Europa al principio del XIII secolo. Era cugino dell’imperatore del Sacro Romano impero, Federico II. Il Wartburg, suo storico castello, era centro di magnificenza e cultura. Ma nonostante la gloria del suo regno, questo era pieno di scompiglio: i principi feudali erano in guerra l’un l’altro ed in conflitto con le autorità reali ed imperiali. Le relazioni amichevoli e il supporto alle potenti nazioni straniere erano importanti allora come non mai. Hermann non aveva perso tempo nel raccogliere informazioni su possibili alleanze vantaggiose cercando una moglie appropriata per il suo giovane figlio Ludwig [Ludovico]. La felice realizzazione di tale intento giunse piuttosto inaspettata. Un pomeriggio, il grande Kingslohr, padrone dei "minnesingers", o trovatori tedeschi, intimorì tutti al castello di Wartburg con una sbalorditiva profezia: "Vedo una meravigliosa stella brillare in Ungheria" - disse in trance - "i suoi raggi giungono fino a Marburg, e da qui si estendono in tutto il mondo. Sappiate inoltre che lì è nata al mio signore, re d’Ungheria, una figlia il cui nome è Elisabetta. Lei sarà data in matrimonio al figlio del vostro principe, diventerà una Santa e la sua santità allieterà tutta la Cristianità".
Il Langravio Hermann prese le parole di Kingslohr molto sul serio, e iniziò un’indagine scrupolosa tra tutti coloro che venivano dall’Ungheria, per sapere di quella principessa nata in quella notte. Compiaciuto di tutto ciò che udiva di lei, iniziò a fare progetti per il fidanzamento di Elisabetta con suo figlio.
Felicemente inconsapevole di tutte le strategie politiche che la circondavano, Elisabetta, a soli quattro anni, dovette all'improvviso rinunciare alle gioie dell’infanzia innocente. Giunse infatti dalla lontana Turingia un drappello di cavalieri per prendere la principessa e portarla alla sua nuova casa. Secondo i costumi dell’epoca, sarebbe cresciuta lì con il suo futuro marito e la sua famiglia, così avrebbe appreso quell'educazione e modi convenzionali tipici di una corte reale per poter diventare una buona moglie per il futuro sovrano.
I cavalieri di Thuringia scortavano un’ambasciata con due carrozze al seguito. Dopo tre giorni di feste e di servizi religiosi, lasciarono l’Ungheria con tredici carrozze, caricate con la dote di Elisabetta e i magnifici doni per la corte di Turingia. Come ricordano antiche cronache: "Molti e meravigliosi vasi d’oro e d’argento; i più preziosi diademi, anelli, collane, cinture piene di gioielli; un bagno d’argento, innumerevoli vestiti, cuscini e copriletti di seta color porpora; cose di un tale valore e bellezza che mai erano state viste nella terra di Thuringia."
Oltre queste meravigliose cose, vi erano sei stupendi cavalli arabi per Elisabetta, insieme ad attendenti e cavalieri. Al suo seguito c'erano anche servitori ungheresi così come le sue personali ancelle, due delle quali le rimarranno amiche fedeli fino alla fine. E' a loro che siamo debitori di molte informazioni biografiche su Santa Elisabetta.
Prima di partire, re Andrea pose sua figlia, "luce dei suoi occhi e gioia della sua vita," nelle mani del conte Walter di Varila: "Promettimi sulla fede di cavaliere cristiano che sarai sempre un vero amico della mia bambina e che la proteggerai." Varila promise: "La proteggerò e le sarò sempre fedele." La regina Gertrude diede il suo addio alla sua bambina piuttosto freddamente, dicendo: "Agisci come una principessa." Successivamente la bambina saprà che la madre due anni dopo era stata uccisa da un gruppo di ribelli.
Il viaggio dal suo luogo natale alla sua nuova casa, la città di Eisenach, in Turingia, durò diversi mesi, poiché l’entourage reale fu salutato lungo la strada con molte feste. Alla fine giunsero al castello di Wartburg, una costruzione sulla vetta di una montagna circondata da più di cento miglia di scura foresta, massiccio castello centenario che serviva da fortificazione per i villaggi circostanti. Le pareti esterne erano spesse dieci piedi e quelle interne sei. Così viene descritto: "Mura di pietre con pesanti cancelli e torri di controllo, il ponte levatoio, gli inaccessibili parapetti, una prigione sotterranea, una fortificazione stretta, alta, dove ci sono preziosi possessi e gli approvvigionamenti extra sono immagazzinati su diversi piani con coperture a volta, cantine scure ed umide, cucine e panetteria, stanze dei servi e giardini e stalle…"
Al suo arrivo la principessa fu accolta dal Langravio Hermann Langrave e da sua moglie Sophia, che le presentò la sua nuova famiglia: il suo fidanzato, Ludwig, di undici anni, e gli altri suoi figli, Hermann, 10 anni, Agnes, 4, Hermann Raspe e Conrad. A questa famiglia si aggiunsero altri sei bambini nobili di Thuringia, come compagni di gioco di Elisabetta. Due, chiamati Guda e Isentrude, saranno i suoi più cari amici per tutta la vita. Il fidanzamento ufficiale dei due ragazzi ebbe luogo nella Cappella del castello, dove il vescovo benedì Elisabetta e Ludwig.
Fu "amore a prima vista", per quanto possibile tra bambini. Tra loro si chiamavano "fratello e sorella." La loro gioia era farsi compagnia e quando erano piccoli trascorsero quanto più tempo possibile insieme, ma come futuri sovrani di un regno potente entrambi avevano molto da imparare.
Sotto la tutela della madre di Ludwig, Sophia, Elisabetta e le sue compagne studiarono tedesco, francese, latino, la storia del reame, musica, letteratura e ricamo, così come la cura dei lini, tappezzerie e guardaroba. Di
Nel frattempo Ludwig effettuava i suoi esercizi come futuro sovrano di Thuringia. Come era tradizione per chi doveva divenire cavaliere, divenne "paggio" all’età di sette anni. Imparò a servire i signori e le dame con modi perfetti. Come cavaliere, avrebbe avuto i propri attendenti, un’armatura ed un cavallo. Anche a lui fu insegnato il latino, francese, musica, matematica, abilità equestri e le arti militari.
Si dice che Ludwig fosse ineguagliabile dal punto di vista fisico e mentale. Era il ritratto perfetto di un cavaliere medievale: "alto, ben proporzionato, affascinante, attirava chiunque gli si avvicinasse, abile nei discorsi, prode ed intrepido." Fu Elisabetta ad elevare queste qualità ad un livello soprannaturale, insegnando a Ludwig ad agire per amore di Dio.
Questa è una delle caratteristiche che contraddistingue la Santa che diventerà Elisabetta. Lei non ha mai voluto, neanche per un minuto, qualcosa che non fosse in conformità alla volontà di Dio, e ha sempre sentito che la sua unione con Ludwig era voluta dal Signore. Amando Ludwig, obbediva alla volontà Divina, quindi, amava Dio.
Automaticamente questo spostò il loro amore su un altro piano, tenendolo lontano dall’essere macchiato dal mero affetto carnale. Erano pronti ad acquisire la santità voluta per loro dall’Eccelso Dio.
Fu provvidenziale che Ludwig avesse preso il suo addestramento educativo così seriamente, poiché dovette iniziare a regnare in giovane età, a causa della morte del padre nel 1217. La causa della tragica morte del vecchio Landgrave è attribuibile alle sue difficoltà politiche ed alle sue alleanze contro la Chiesa, che sfociarono nella sua scomunica. Nel medioevo la scomunica era considerata una punizione estrema. Questa censura più seria fu imposta per la correzione dell’offensore e per la difesa del fedele.
Per un sovrano la scomunica significava esclusione da tutti i servizi divini, dalla preghiera pubblica e dai sacramenti della Chiesa, e se avesse perseverato sarebbe stato costretto a perdere il suo ufficio, ed i suoi sudditi sarebbero stati sciolti dall’obbligo di fedeltà a lui. Questo colpo, insieme alla perdita di suo figlio Hermann, lo fecero uscire di senno e per qualche tempo Ludwig ha dovuto agire al suo posto. Poi un giorno Landgrave andò a cavalcare e non tornò mai più.
Elisabetta fu molto colpita per la morte di suo suocero, per chi cioè, oltre Ludwig, l'aveva amata più di chiunque altro. Pregò intensamente per la sua anima. Elisabetta e Ludwig piansero sulla seguente preghiera trovata nel libro delle preghiere di Sophia Landgrave: "A Te, Gesù, raccomando l’anima del Tuo servo, Hermann, che anche se si è macchiato di qualche crimine o peccato, è ancora una Tua creatura per cui il Sacro Sangue di Cristo è stato versato e che ripone in Te le sue speranze. Proteggilo dal male oggi e sempre. Rendilo libero dal potere e dalla violenza dei suoi nemici. Salvalo dalla paura del corpo e dall’improvvisa morte. Lo raccomando a Te con la speranza e la fede che possa essere salvato."
Dopo un periodo di lutto, Ludwig fu fatto cavaliere all’età di diciotto anni, piuttosto che all’età consueta di ventuno, e prese il nome di Ludwig IV [Ludovico IV], Landgrave di Thuringia. Il vescovo di Naumberg presiedette l’elaborata cerimonia. Secondo l'uso del tempo feudale, Ludwig pagò l’omaggio a Federico II come suo vassallo e a sua volta ricevette l'omaggio dei suoi nobili sudditi.
Conosciuto per la sua onestà e nobiltà d’animo, il giovane Langravio fu molto rispettato dagli altri sovrani. Il suo cappellano privato lo descriveva come "allegro, coraggioso, pio, modesto, casto e solo." Elisabetta fu felice del pegno di Ludwig: "La mia anima appartiene a Dio, la mia vita al mio sovrano, il mio cuore alla mia signora, Elisabetta, ed il mio onore a me stesso." Per rispetto ai poveri, ordinò che la tradizionale cerimonia fosse ridotta ad un banchetto. Ciò irritò la corte, che lo accusò di essere stato influenzato da Elisabetta.

Santa nella Corte del Sovrano

Fin dal principio, Elisabetta disprezzò le vanità della vita di corte. Fu spesso rimproverata per la sua mancanza di attenzione ai dettagli tradizionali. Ma non fu la noncuranza che la rese diversa, ma piuttosto la sua profonda spiritualità, che le fecero apparire le vanità del mondo insignificanti e senza importanza. Come sacrificio, non avrebbe voluto indossare alcun segno distintivo del suo rango nei giorni Santi. In quanto principessa aveva un guardaroba pieno di splendidi abiti, che indossava solo per adempiere agli obblighi del suo stato e per compiacere suo marito. Anche quando appariva in abiti splendenti, le donne al suo servizio sapevano che sotto portava una camicia penitenziale, per non permetterle di divenire troppo attaccata alle vanità terrene.
Già a dodici anni Elisabetta stupì la corte per la sua noncuranza nei confronti di sfarzi e feste. Nella festa dell’Assunzione fu obbligata a partecipare alla Messa solenne in abiti magnifici: "Ciò significava che lei e le principesse sarebbero state vestite con ricchi abiti di seta e velluto, lunghe maniche ricamate e sopravvesti con pelliccia, con magnifici lunghi mantelli portati dai paggi, guanti cuciti con perle e pietre preziose, e le loro persone sarebbero state adornate con catene d’oro e gioielli. Le giovani principesse probabilmente non indossavano il tradizionale cappuccio di lino ma veli sciolti e coroncine sui capelli fluenti. Entrando nella Chiesa adornata si inginocchiarono prima dinanzi il crocifisso, poi Elisabetta, invece di raggiungere il suo posto d’onore insieme agli altri, si tolse la corona lasciandola dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto."
Tutti gli occhi si voltarono verso la futura sposa di Landgrave. Quando sua madre la corresse così come voleva il protocollo, Elisabetta rispose, "Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re, Gesù Cristo, coronato con delle spine?"
Con tutto il suo cuore desiderava ricevere il Nostro Divino Signore nella Santa Comunione, ma doveva aspettare, così come richiesto dalla tradizione, che fosse dodicenne. Solo a Guda, la sua più cara amica, confidò che Gesù si era mostrato a lei molte volte nell’Eucarestia e nella povertà. Un giorno, mentre distribuiva il cibo al cancello del castello, vide Gesù tra i mendicanti. Lui toccò quelli intorno a Lui ed i loro volti cambiarono in Lui, mostrandole che poteva vederlo nei poveri, negli ammalati, deformi ed indesiderati. Non poteva più permettere che la sua naturale ripugnanza la tenesse lontana dai poveri, o che fosse respinta dalla loro sporcizia o bruttezza. Sapeva per certo che Nostro Signore le stava chiedendo di prendersi cura degli afflitti. Questo causò un tumulto a corte, dove già la consideravano una straniera e la chiamarono la "piccola zingara ungherese". Se non fosse stato per il fidanzamento con Ludwig, che perorò la sua causa, la vita le sarebbe stata insopportabile.
Ad alcuni amici Elisabetta confidò che durante la sua infanzia più volte il Bambino Gesù era venuto a giocare con lei.
La pietà di Elisabetta era così presente nelle sue azioni che avrebbe persino potuto giocare nella consapevole presenza di Cristo. Oltrepassate le mura esterne della cappella del castello, avrebbe baciato riverentemente le pietre. Siccome cresceva in maturità, questo irritava le donne di corte, le imbarazzava e borbottavano che era troppo santa, pregava troppo e sarebbe dovuta diventare una suora invece di fidanzarsi con un principe.
A questo punto giunse la notizia che le cose in Ungheria non andavano molto bene. Suo padre, re Andrea, che aveva promesso di condurre una Crociata, aveva invece fatto una spedizione pacifica attraverso Gerico ed il Mar Rosso, e si ritirò dopo un breve incontro con i Saraceni. Tale umiliazione, insieme alla sua incapacità di restituire il denaro che avevo preso in prestito per la spedizione, fu la causa della sua caduta. Ora l’alleanza ungherese non sembrava più così promettente per i Thuringiani e così cominciarono a riconsiderare la scelta di Elisabetta come partito per il futuro Landgrave.
La questione cominciò ad essere ampiamente discussa e subito la madre di Ludwig convocò un Consiglio a sua insaputa. Il principale rimprovero nei confronti di Elisabetta fu la sua pietà e la sua prodigalità verso i poveri. Non le potevano essere affidati dei soldi per il bene del reame. Elisabetta venne a conoscenza del Consiglio e si difese da sola. Dopo aver pregato per molte ore, confidò a Walter de Varila, il cavaliere a cui era stata affidata dal padre, che temeva una cospirazione per separarla dal suo amato Ludwig.
Varila aggirò il Consiglio di corte e chiese direttamente a Ludwig quali fossero le sue intenzioni riguardo la sorte di Elisabetta. Ludwig, puntando ad una delle vette più alte di Thuringia, disse che anche se quell’intera montagna fosse diventata oro, lui non l’avrebbe scambiata con la sua Elisabetta. "Mi è cara più di ogni altra cosa sulla terra e non avrò nessun’altra come sposa se non lei."
Quando la determinazione di Ludwig fu manifesta, il mormorio cessò ed Elisabetta fu trattata più gentilmente. Altre prove però cominciarono ad intervenire, creando molti ostacoli per le nozze. La più grande fu la falsa scomunica di Ludwig da parte di un arcivescovo che aveva tentato di prendersi le sue terre. Ludwig rifiutò di cedere ai suoi diritti per delle richieste ingiuste e raggruppò le sue truppe per combattere, costringendo il prelato ad ammettere il suo errore e ad estinguere la scomunica per lui e suo padre.

Un santo matrimonio

Finalmente, nella primavera del 1221, Elisabetta e Ludwig si sposarono. Lei aveva quattordici anni mentre lui ne aveva ventuno. L’intero regno era presente, così come un corteo di inviati del Regno Magiaro, che recarono doni dalla terra natia della sposa. Elisabetta era ora una "Langravia di Turingia" nonché "Signora di Wartburg". Dopo una settimana di feste, la vita tornò alla normalità e la nuova coppia fu libera di governare il castello senza l’interferenza della madre di Ludwig, ritiratasi alla vita monastica nel convento cistercense di Santa Caterina, costruito da suo marito.
Il castello di Wartburg ancora una volta divenne il centro di attività ed allegria. Questo subì dei cambiamenti da parte dei nuovi Landgrave, inclusa una stanza dei banchetti più grande. Tornarono i trovatori e ricominciarono tempi felici, senza le stravaganze del regno precedente. Ludwig era molto fiero di sua moglie prodigamente vestita, ma era inconsapevole dei motivi religiosi che si celavano dietro la sua apparenza.
"Non è per il piacere carnale o la vanità che io mi adorno così," confidò, "Dio mi è testimone, ma solo attraverso la carità cristiana posso rimuovere da mio fratello [dal mio sposo] tutte le occasioni di scontentezza o peccato, se qualcosa in me potesse dispiacergli, e lui può amare me nel Signore, e Dio, che ha consacrato le nostre vite sulla terra, può unirci in Paradiso." Ed ancora: "È in Dio che io amo mio marito; possa Lui, che santificò il matrimonio, concederci la vita eterna."
Molteplici erano le attività caritative di Elisabetta verso i suoi sudditi.
La santità di questa giovane sposa è meglio descritta da San Francesco da Sales che disse di lei: "Giocava e danzava ed era presente alle riunioni di ricreazione, senza pregiudizio per la sua devozione, che era profondamente radicata nella sua anima. La sua devozione crebbe tra le feste e le vanità cui la sua condizione sociale la espose. I grandi fuochi sono alimentati dal vento, mentre quelli piccoli sono estinti, se non protetti da questo."
La nuova sala per i banchetti dava loro nuove opportunità di intrattenere. Una notte un narratore tedesco di storie apparve nell’abito grigio dell’ordine appena fondato dei Frati Minori. Intrattenne la festa con i suoi racconti del "povero piccolo ricco uomo" chiamato Francesco e del suo nuovo ordine. Elisabetta fu favorevolmente scossa da tutto ciò che aveva udito e desiderò diventare una seguace di San Francesco ed aiutarlo a ricostruire la Chiesa. Trovò la sua strada nell’aiutare i poveri.

I poveri

Quando Ludwig era assente lei si toglieva i suoi ricchi abiti e vestiva come una contadina in lutto. Poi andava per il villaggio ad aiutare i suoi sudditi e ad ascoltare i loro problemi. Vide come vivevano ed apprese cosa realmente pensavano dei loro sovrani; apprese come odiavano le persone ricche che lo diventavano a loro spese. I contadini lavoravano duramente, dovevano pagare tasse pesanti e spesso dai nobili erano trattati male. Le sue ancelle la accompagnavano in queste missioni di misericordia… finché, da sola, andò alla colonia dei lebbrosi. Portò cibo e vestiti, ma - cosa ancora più importante - portò l’amore e la consolazione dell’insegnamento Cattolico.
Era il ritratto perfetto della Carità Cristiana, ed usò i molti mezzi a sua disposizione per pagare debiti, comprare cibo e vestiti e per pulire, prendersi cura e seppellire i morti. La sua carità sfidò l’intero sistema feudale. Sicuramente le azioni di Elisabetta non accrebbero la sua popolarità a corte. Ancora una volta vinse il pettegolezzo.
Elisabetta cominciò a sentire un grande conflitto dentro di sé e si sentì come se stesse conducendo una doppia vita. Nonostante lei e Ludwig partecipassero ogni giorno alla Messa, c’erano molti doveri mondani cui badare. Temeva che il suo amore per suo marito competesse con quello per Dio. Un giorno durante la Messa cominciò a piangere mentre fissava Ludwig durante la Benedizione. Ludwig, inconsapevole del motivo del suo dolore, lasciò la cappella e al suo ritornò la trovò ancora in lacrime. Anche lui iniziò a piangere quando lei gli spiegò il motivo della sua tristezza. Fu profondamente colpito dalla purezza del suo animo.
Si mortificava spesso alzandosi nel mezzo della notte per pregare al lato del letto. Ludwig, allungandosi, trovava le sue fredde mani strette alla coperta, e cingendole con le sue diceva: "Risparmiati, piccola sorella."
Una volta la incontrò mentre correva per la strada con il suo grembiule pieno di pane per i poveri. Quando le chiese cosa stesse portando, lei lasciò cadere il grembiule… ed invece di pane comparvero magnifiche e fresche rose...
Una volta, dopo aver trascorso tutto il giorno distribuendo elemosina tra i poveri, a Ludwig accadde di ritornare con un seguito di nobili ungheresi, venuti nel nome del re Andrea per sondare la situazione della figlia e per invitare la nuova coppia in Ungheria. Elisabetta aveva appena dato via tutti i suoi bellissimi abiti ed indossava una grezza camicia di lana. Vedendo la preoccupazione di Ludwig, disse: "Non mi sono mai vantata di ciò che indossavo. Ma parlerò di ciò con Dio, cosicché possa darsi che non notino i miei vestiti." Quando entrò nella grande sala, gli Ungheresi la guardarono compiaciuti poiché "i suoi abiti erano di seta, giacinto e brillavano come una rugiada di perle!" Successivamente, quando Ludwig la interrogò, lei rispose dolcemente: "Quando piace a Dio, Lui sa il modo per fare tali cose."
Ludwig ed Elisabetta accettarono l’invito di recarsi in Ungheria, ed abitarono nel Castello di Pozsony, dove lei era nata. Fu festeggiata e lodata con regali da suo padre, che non avrebbe mai più rivisto. Nonostante il felice ritorno a casa, Elisabetta fu in pensiero perché sapeva che i soldi utilizzati per questo viaggio provenivano dai soldi delle tasse prelevate dai poveri del regno. Fu affranta all’idea che i sovrani pensassero più al potere, alla comodità e al denaro piuttosto che ai loro sudditi. Desiderò condurre una vita semplice e cercò di convincere Ludwig ad accettare i suoi desideri. Lui le spiegò gentilmente che era loro dovere governare e che i loro sudditi non li avrebbero rispettati se avessero vissuto con meno dispendio.

Avanzando nella Santità

In quegli anni i Frati Minori giunsero in Germania con il loro appello a tutti i Cristiani di praticare la carità verso i poveri. Furono invitati da Elisabetta e Ludwig al loro castello, dove cercarono di aiutarli in ogni modo possibile. Elisabetta costruì una cappella per i frati, e per gratitudine San Francesco le mandò il suo mantello logoro per ringraziarla. Divenne uno dei più grandi tesori di Elisabetta. In risposta alle sue preghiere, uno dei frati divenne suo maestro spirituale. Sotto la sua guida lei si avvicinò sempre di più a Nostro Signore, la cui Passione era la sua devozione primaria e la fonte della sua forza.
Il 28 Marzo 1222, mentre il marito non c’era, nacque il primo figlio di Elisabetta. Ludwig fu immensamente felice quando apprese la notizia. Lo chiamarono Hermann, come suo padre. Appena possibile, la giovane madre portò il figlio alla cappella di Santa Caterina, per presentarlo a Dio. Lo portò nella stessa culla d’argento che aveva portato lei a Thuringia dieci anni prima.
Ora la preoccupazione che questo figlio potesse essere un legame verso la terra, tenendo il suo cuore lontano da Dio, la ossessionava, ma il suo confessore le disse: "Il tuo dovere ora è verso tuo figlio… Dio si rallegra se ognuno pratica la virtù secondo la sua posizione di vita. Tu sei una sovrana, una moglie ed una madre. È molto difficile, ma non impossibile praticare la povertà pur essendo un ricco sovrano. Ma tu potrai praticare altre virtù come la pazienza, l’umiltà e la carità così come fai ora. Potrebbe essere la volontà di Dio che tu rimanga così come sei. La tua più grande offerta potrebbe essere rinunciare alla tua volontà."
Seguendo questo buon consiglio, divenne una vera seguace di San Francesco. Uno dei suoi preferiti atti di carità era verso i lebbrosi, ed una volta sua cognata, Agnes, incontrò Ludwig al suo ritorno a casa per dirgli che Elisabetta era andata troppo oltre con la sua carità. Entrarono in casa e chiusero le tende, per mostrare a Ludwig che il suo letto era stato dato ad un lebbroso. Nel momento in cui lui fissò l’uomo, i lineamenti sfigurati cambiarono dinanzi ai loro occhi nel volto di Cristo. Ludwig disse gentilmente: "Elisabetta, cara sorella, è Cristo che hai lavato, cibato e di cui ti sei presa cura. Facciamo tutti e due ciò che possiamo per servirlo, servendolo nei Suoi poveri che soffrono." Così costruirono un ospedale per i lebbrosi.
Ludwig si accorse che non aveva a che fare con una donna comune, e qualche volta i suoi miracoli lo spaventavano. Scrisse al Papa per chiedere un direttore spirituale per lei e che fosse inviato Padre Conrad. Ma prima del suo arrivo nacque un altro figlio, una bambina che chiamarono Sophia, come la madre di Ludwig. Elisabetta "era il ritratto perfetto della Carità Cristiana..."
Diversamente dai Francescani, il nuovo confessore di Elisabetta provò ad essere aspro e severo. Con il permesso di Ludwig ed in sua presenza, Elisabetta promise a Padre Conrad che gli avrebbe obbedito in tutto tranne in ciò che riguardava i suoi obblighi matrimoniali. Fece anche il voto di osservare la castità perpetua nel caso in cui fosse divenuta vedova. Conrad rivelò, dopo la morte di Elisabetta, che nel momento in cui fece questo voto, Dio gli permise di vedere la radiosità della sua anima in tutta la sua bellezza. Lui pregò perché avesse la capacità di guidare una tale anima, affidata alle sue cure. Una volta le fece promettere di non mangiare alcun cibo proveniente dal lavoro ingiusto del contadino o che fosse cresciuto su terre prese con forza.
Nell’inverno del 1225, Agnes, la sorella di Ludwig, lasciò Watburg per sposarsi. Questo liberò Elisabetta dalla lunga pena della presenza della cognata. Comunque una nuova prova la attendeva. Quell’inverno fu uno dei peggiori nella storia dell’Europa a causa di allagamenti, carestia, peste e vaiolo. Ludwig era fuori al servizio dell’imperatore, lasciando così nelle mani di Elisabetta, che aveva solo 19 anni, la responsabilità di castelli, villaggi e vassalli.
Appena l’inverno terminò, i contadini presero d’assalto il castello di Wartburg per il grano. Gli amministratori sbarrarono la strada. Quando Elisabetta udì ciò pianse e andò personalmente nei villaggi per distribuire quanto più cibo possibile. Gli amministratori non le disobbedirono completamente, ma furono determinati affinché non desse via la riserva di grano.
Disperata, la regina Landgrave vendette i suoi gioielli di famiglia per comprare del cibo e quando questo finì, ordinò che i granai fossero aperti. "Non moriremo di fame se saremo generosi. Dobbiamo avere fede", diceva. Ma i cavalieri e le dame di corte reagirono contro Elisabetta e si unirono agli amministratori e al Balivo nel bloccare la linea di condotta della regina. Lei pregò, e finalmente il Balivo aprì le porte. Elisabetta ottenne quindi 900 pagnotte di pane cotte al forno ogni giorno, furono aperte cucine per le zuppe e fu costituito un ospizio per bambini e ragazzi.
Finalmente il crudele inverno passò, ma fu seguito subito da un’epidemia di vaiolo. I defunti giacevano per le strade. Elisabetta portò i suoi bambini nella loro cappella privata e pregarono: "Signore Dio, affido me stessa, i miei bambini e tutta la mia famiglia a Te. Proteggimi mentre compio la Tua volontà e concedimi la forza per farlo." Così uscì per curare i malati e seppellire i morti, rendendo sudari i veli che indossava.
Nelle aree rurali, le donne ed i loro servi la saiutavano ed Elisabetta costruì un piccolo ospedale sulla strada situata ai piedi del castello. In Germania fu il primo ospedale costruito da laici. Giunse l’estate e per le strade il calore rese insopportabile l’odore delle malattie e della morte. Ma ciò non ostacolò Elisabetta nel compimento della sua opera di carità che portò avanti fin quando la piaga terminò.
Con l’arrivo dell’autunno, un nuovo raccolto e il ritorno di Ludwig erano la promessa di un inverno migliore. Ma appena si avvicinò alla città, il Maresciallo ed il Balivo lo informarono del grano distribuito e lo avvertirono delle sue perdite. Dopo aver ascoltato i loro reclami, chiese loro: "Mia moglie sta bene? Questo è tutto ciò che voglio sapere; il resto non ha importanza. Lasciate che dia ai poveri ciò che vuole; fin quando avrò il suo amore, sono contento." Poi andò con loro ai granai. Quando li aprirono si accorsero che erano miracolosamente pieni fino all’orlo. La spiegazione di Elisabetta fu: "Ho dato a Dio ciò che è di Dio e Lui ha conservato ciò che è vostro e mio."

La croce di Elisabetta

Ciò di cui Ludwig non parlò alla moglie al suo ritorno fu della disastrosa situazione politica dell’imperatore. Allora Federico era minacciato di essere scomunicato, per non aver adempiuto alla promessa fatta di condurre una Crociata una volta eletto imperatore. Il dovere di Ludwig era ora di impegnarsi prontamente nel seguire l'imperatore ed indossare la Croce del Crociato.
Lui non voleva comunicare la notizia alla sua amata moglie, ma quando lei lo scoprì casualmente, anche se in qualche modo aveva il sospetto che sarebbe successo, quasi svenne dal dolore. Ludwig la consolò, ricordandole che quando erano giovani avevano parlato di diventare crociati e che era una tradizione per i sovrani di Turingia difendere la Terra Santa. La sua eroica moglie rispose: "Non ti tratterrò. È la volontà di Dio. Ho dato tutta me stessa a Lui ed ora devo dare anche te."
Prima di partire, Ludwig radunò cavalieri e vassalli che sarebbero rimasti e ordinò loro di prendersi cura delle donne e dei bambini. "Il nostro paese è in pace," disse, "Ora lascio il mio pacifico regno, la mia amata moglie, i miei piccoli bambini, tutto ciò che mi è caro, e parto come pellegrino di Cristo. Vi imploro di pregare per me ogni giorno, cosicché, secondo la volontà di Dio, possa tornare sano e salvo al mio regno." Padre Conrad fu reso responsabile delle chiese e dei monasteri del regno. Ludwig richiamò sua madre affinché potesse aiutare a prendersi cura della sua famiglia ed in modo particolare di Elisabetta, che era in attesa del loro terzo figlio. Lasciò poi tutto ciò che riguardava i suoi affari nelle mani del fratello Enrico.
Alla vigilia di San Giovanni Battista, il 23 Giugno del 1227, giunse il momento di dirsi addio. Ludwig baciò sua madre e benedì i suoi figli, ma Elisabetta non riuscì a staccarsi da lui. Cavalcò con lui per due giorni sino ai confini della Turingia, dove Ludwig le disse di ritornare, poiché doveva assumere il comando delle truppe che lì si erano riunite. Data la separazione molto dolorosa, lui le mostrò il suo anello, e le disse di credere a qualunque messaggio lei ricevesse da parte sua se accompagnato dall’anello. "Possa Dio che è in cielo benedirti, piccola sorella. Possa Lui benedire il bambino che stai per partorire. Con il Suo aiuto sarai capace di portare avanti ciò di cui eravamo d’accordo. Ricorda la nostra vita felice, il nostro santo amore, e non dimenticarmi mai nelle tue preghiere."
Lei lo seguì con gli occhi, molto tristi, finché non riuscì più a vederlo, ed al ritorno i suoi occhi si trasformarono in ornamenti del dolore. Trascorse i suoi giorni aspettando la nascita del suo nuovo bambino, pregando, facendo penitenza e prendendosi cura dei poveri e dei malati.
Nel frattempo, dopo un lungo ed arduo viaggio attraverso le Alpi, Ludwig e le sue truppe incontrarono l’imperatore in Italia, a Brindisi. La febbre decimò le truppe, ma loro continuarono verso Otranto. Lì Ludwig stesso morì e gli furono impartiti gli Ultimi Riti della Chiesa. Quando stava per morire, diede il suo anello ad un cavaliere fidato, ordinandogli di darlo a sua moglie e di riferirle della sua morte. Morì l'11 Settembre del 1227, all’età di ventisette anni. La sua ultima volontà fu di essere seppellito in Turingia.
Dopo un difficile viaggio i cavalieri giunsero con la cattiva notizia della morte di Ludwig quando Elisabetta aveva dato alla luce il loro terzo figlio, una bambina che venne chiamata Gertrude. Aspettarono prima di darle la notizia.
Quando infine la udì urlò: "Non questo! È morto! È morto! Il mio caro fratello è morto! Ora per me tutto il mondo e le sue gioie sono morte." Svenne e fu riportata a letto. Per otto giorni pianse in solitudine. L’intero castello pianse la perdita del suo amato sovrano, ma il suo dolore era impareggiabile. Alla fine Elisabetta, fortificata dalle preghiere, superò il suo dolore, e chiamò il cavaliere affinché le raccontasse i dettagli delle ultime ore del suo caro marito.

Cacciata dal castello

Prima che la pesante neve dell’inverno cadesse nel 1227, il cognato di Elisabetta prese piena autorità del regno come erede, dichiarandosi ufficialmente Langravio, annunciando al popolo che era stato forzato a fare questo perché la regina era un’incompetente e una gran spendacciona. Non disse loro però che aveva prelevato tutti i fondi di Elisabetta e dei suoi bambini.
Chiaramente, i nobili lo supportarono e continuarono a parlare crudelmente di lei, ora che Ludwig non era più lì per difenderla. Alla fine Elisabetta fu cacciata dal castello di Wartburg e lasciata per le strade del villaggio. Neanche un’anima venne in sua difesa. Alle persone del villaggio, molte delle quali erano state aiutate da lei, fu ordinato di rifiutarle l’ospitalità.
Trascorse la sua prima notte in una fattoria dove i maiali erano stati messi fuori per far posto a lei e ai suoi figli. Le sue ancelle fedeli le rimasero accanto, ma i suoi tre bambini furono affidati alle cure degli amici di Ludwig. Per vari mesi lei sopportò questo duro trattamento, sostenendosi tessendo, filando e vivendo ovunque fosse accolta.
Alla fine questa situazione scandalosa fu rettificata grazie all’insistenza dello zio materno di Elisabetta, l’abate di Kitzingen, e di suo fratello, il vescovo di Bamberg, che mandarono a prendere lei ed i suoi bambini e li accolsero in convento.
Dopo l'opportuno soccorso ed il soggiorno al convento, che divenne per tutta la vita la casa della piccola Sofia, lo zio di Elisabetta la chiamò al castello di Pottenstein, tra le montagne di Franconia. Questo potente prelato sperava di far sposare sua nipote ventunenne con l’imperatore Federico, da poco vedovo, non avendo alcuna idea del precedente voto di Elisabetta. All’udire i suoi piani Elisabetta ricorse alla preghiera, e lasciò il suo bell’abito da sposa all’altare di Nostra Signora, in un monastero vicino, come pegno della sua determinazione nel mantenere il suo voto.
Le sue preghiere ebbero subito risposta, poiché improvvisamente fu richiamata a Turingia per la sepoltura dei resti di suo marito. La nera bara, coperta da una croce, fu aperta e lei fissò le ossa imbiancate del suo caro Ludwig. Quando recuperò la forza di parlare, pregò ad alta voce: "Signore, Ti ringrazio per avermi confortato con la vista da lungo desiderata delle ossa di mio marito. Sai che sebbene lo abbia amato così profondamente, non mi rammarico per il sacrificio che il mio caro ha offerto a Te, e che anche io ho offerto a te. Darei il mondo intero per riaverlo, implorerei volentieri il mio pane con lui, ma Ti prendo come testimone del fatto che contro la Tua volontà non lo richiamerò in vita anche se potessi farlo al prezzo di un solo capello. Ora rimetto lui e me nella Tua misericordia. Possa la Tua volontà essere portata a termine in noi."
Dopo la morte del marito, Elisabetta venne cacciata dal castello, abbandonata nelle strade del villaggio, e col divieto a chiunque di ospitarla... Elisabetta, che era ancora regina, chiamò in causa i vassalli ed i cavalieri fedeli che avevano riportato a casa il corpo del marito. Li ringraziò per la loro fedeltà e li informò su quanto era accaduto dopo la morte del loro signore. Loro si impegnarono a difendere i suoi diritti e quelli dei suoi bambini, ed obbligarono Enrico a restituire ad Elisabetta la posizione che le spettava di diritto. Elisabetta però rifiutò di vivere di nuovo a Wartburg, e si ritirò nel castello di famiglia a Marbourg-Hess, con un reddito appropriato e ciò che rimaneva della sua dote, che era ormai trascurabile.

Ultimi giorni di gloria

Padre Conrad, sua guida spirituale, ha scritto riguardo a questo periodo: "Dopo la morte di suo marito, Elisabetta tendeva alla più alta perfezione, e mi chiedeva come poteva fare per essere più meritevole, diventando un’eremita, stando in un convento o in qualche altro modo. La sua mente era fissa sul desiderio di implorare porta a porta, e con molte lacrime mi implorò di permetterle di farlo." Ma P.Conrad le ordinò di prendere tutto ciò che aveva ed usarlo per i poveri. Le fu permesso di unirsi al Terz'Ordine di San Francesco, ad essere la prima donna a farlo, e due suoi compagni fedeli la seguirono.
A quel tempo il Terz'Ordine era conosciuto come "Fratelli e le Sorelle della penitenza" ed era più severo di oggi. I membri indossavano abiti grezzi, recitavano l’ora canonica, digiunavano la maggior parte dell’anno e si astenevano dal mangiare carne quattro giorni a settimana. Elisabetta si adeguò perfettamente a queste penitenze e prese i voti il Venerdì Santo, rinunciando a tutto. Quanto ai suoi figli, Hermann andò al castello Kreuzburg per essere educato e addestrato come Langravio, e le due ragazze furono mandate in convento.
Non è sorprendente che re Andrea mandasse a chiamare sua figlia affinché tornasse a vivere comodamente in Ungheria. Lei rispose con questo messaggio: "Dite a mio padre che sono più felice qui che nel mio castello. Chiedigli di pregare per me e di chiedere alla corte di fare lo stesso. Di' al mio buon padre che io pregherò sempre per lui."
Suo padre provò a convincerla di tornare una seconda volta, mandandole il fidato cavaliere Walter di Varila, che cercò di riportarla a casa. Come atto finale di rinuncia, Padre Conrad le ordinò di mandare via i due servi fedeli, che erano stati la sua unica consolazione umana, e li sostituì con una contadina grezza e scostumata ed una vecchia sorda.
Nel Novembre del 1231 Padre Conrad fu sul punto di morire. La sua preoccupazione principale era la cura dell’anima di Elisabetta. Lei lo rassicurò con queste parole: "Caro Padre, non avrò bisogno di protezione. Non sei tu che morirai, ma io."
Quattro giorni dopo Elisabetta fu colpita dalla febbre. Quando la notizia che lei era gravemente malata si propagò, grandi folle accorsero a vederla. Per dodici giorni si vide un continuo flusso di visitatori. Alla fine Elisabetta chiese che le porte fossero chiuse, per rimanere da sola con Dio e preparare la sua anima. Padre Conrad ascoltò la sua confessione e le diede il Viatico. Guda ed Isentrude, i suoi amici, vennero per dirle addio, e lei diede loro ciò che di più caro possedeva, il mantello di San Francesco. Quando si avvicinò la mezzanotte la sua felicità e la sua gioia crebbero, e disse: "A quest’ora la Vergine Maria diede al mondo il suo Redentore. Parliamo di Dio e del piccolo Gesù, poiché ora è mezzanotte, l’ora in cui Gesù nacque e stette in una mangiatoia, e così creò una nuova stella che non era mai stata vista prima; a quest’ora lui giunse per redimere il mondo; redimerà anche me; a quest’ora uscì dalla morte, e salvò le anime imprigionate; libererà anche la mia da questo mondo miserabile."
Dopo una pausa riprese: "O Maria, assistimi! Il momento è arrivato quando Dio convoca il Suo amico alla festa nuziale. Lo Sposo cerca la sua sposa… Silenzio!... Silenzio!"
Questo accadde la notte del 19 novembre del 1232; lei non aveva ancora ventiquattro anni. Un antico manoscritto riferisce che sua figlia, la piccola Gertrude, di quattro anni e nella lontana Marbourg, disse: "Sento le campane suonare a morto a Marbourg; in questo momento la cara signora, mia buona mamma, è morta."
Nella toga stracciata in cui morì, Elisabetta fu seppellita su sua richiesta nella cappella dell’ospedale da lei fondato.
Poco dopo la sua morte, Padre Conrad scrisse un resoconto dettagliato della vita di Elisabetta, le sue virtù ed i miracoli, in vista dell'investigazione giuridica della Chiesa sulla sua santità.
La morte non bloccò gli atti di carità di Elisabetta verso i bisognosi. I miracoli che lei aveva nascosto durante la sua vita divennero manifesti a tutti coloro che invocarono la sua intercessione, soprattutto a coloro che pregavano presso la sua tomba. I rapporti in cui si mostravano i 130 miracoli attribuiti alla santa furono mandati a Roma per la sua canonizzazione.
Non solo gli ammalati furono guariti e tante difficoltà miracolosamente risolte, ma furono documentati anche miracoli di risurrezione, attribuiti a S.Elisabetta d'Ungheria. Questi testimoniano la sua stupefacente forza di intercessione e la sua grande compassione per i genitori che soffrono per la morte dei loro figli. In cinque casi attestati, i bambini furono restituiti alla vita grazie alle preghiere dei loro genitori rivolte a questa magnifica Santa, unite al voto di fare la carità in suo onore.
La Domenica di Pentecoste del 1235, solo quattro anni dopo la sua morte, Elisabetta fu canonizzata dal Papa Gregorio IX, in presenza della madre di Ludwig e dei due fratelli, dei suoi cari amici Guda ed Isentrude, di Walter di Varila, e dei suoi figli: Hermann di 14 anni, Sophia di 12 e Gertrude di 8.
Nella traslazione delle sue reliquie, nel 1236, giunse l’imperatore Federico, che posò la sua corona sulla sua tomba e disse: "Poiché non ho potuto incoronarla Imperatrice in questo mondo, almeno la incorono oggi come regina immortale nel regno di Dio."

Conclusione

La vita di Santa Elisabetta d'Ungheria è stata un esempio di perfetta conformità alla volontà di Dio e di fedeltà alla propria posizione nella vita. Fu circondata da ricchi, eppure non si lasciò mai distrarre dall’amore verso i poveri. Era profondamente innamorata di un uomo che la ricambiava, eppure non ha mai messo Dio al secondo posto nel suo cuore. Aveva tutto e non sentiva bisogno di nulla; ciò che riceveva lo regalava.
Non fu mai amareggiata quando la fortuna le si voltò contro. Accettò il dolore della morte del marito in maniera realmente cristiana, ed accolse la propria con la medesima rassegnazione.
La sua storia non è una leggenda, ma si pone come una lezione affinché tutti possiamo imitarla. Sia che tu viva in un castello o in un appartamento, S.Elisabetta d'Ungheria ti invita a seguire i suoi passi verso il trono di Dio, accettando la Sua volontà nella tua vita.
Santa Elisabetta d’Ungheria, prega per noi.

 

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  • Ultimo aggiornamento: 6 Luglio 2020