XXXI Domenica Tempo Ordinario            3.11.2013

 

Sapienza 11,22 – 12,2

Seconda Lettera ai Tessalonicesi 1,11 – 2,2

Vangelo secondo Luca 19,1-10

 

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

 

Come Gesù salva

 

“Salvezza”. Quante volte abbiamo sostato a riflettere su questo tema per nulla indifferente, quante volte abbiamo creduto d’aver trovato un po’ di luce, poi rivelatasi inadeguata a sciogliere i nostri dubbi interiori? Quante volte ci siamo limitati a ricercare con la mente, senza ascoltare il nostro cuore?

“Salvezza o perdizione” è una questione d’importanza tale da non tollerare il rimanere alla superficie di noi stessi. E, per andare in profondità, occorre passare dalla testa al cuore; non fermarci nella luce delle verità “chiare e distinte”, ma procedere verso quelle ragioni che spingono ad agire, attingere a quelle energie che scaturiscono da un cuore che ama. In questo cammino è essenziale l’apporto della Parola che, quando viene accolta con fede sincera, illumina e muove all’azione. Questa Parola, infatti, mira a raggiungere il centro del nostro io profondo e a disporlo alla decisione.

Sotto la sua azione, la domanda sulla salvezza diventa esigente: non si ferma a risposte di superficie, a elaborazioni teoriche, ma coinvolge la nostra verità interiore a compiere quei passi che costituiscono la risposta più credibile: a cambiare vita. Questo è quanto accadde a Zaccheo, quel giorno in cui Gesù passò da Gerico.

In un primo momento, Zaccheo sembra mosso da curiosità, oltre che dal sincero desiderio di vedere Gesù. Essendo piccolo, si ingegna persino a salire su un albero, lungo la via. Il vangelo definisce anche la sua posizione religiosa: è un pubblicano, fa l’esattore delle tasse, il che equivale ad essere un pubblico peccatore, poiché quel mestiere lo espone al sopruso e all’indebito profitto. E all’odio della gente. Ma Zaccheo non sa soltanto far di conto e intascare. Ha una coscienza, mai del tutto addomesticata. Fino a quando riuscirà ad ignorare quella voce interiore che, pur flebile, sempre di nuovo si fa sentire?

Fino a che non passa sotto quell’albero un uomo di nome Gesù; non un semplice rabbi, ma colui che racchiude nel proprio nome il mistero del divino e una specifica missione. Gesù è “Il-Dio-che-salva”. Proprio quest’uomo passa di là e lo chiama per nome.

“Dio salva” si auto-invita a casa sua. Va deciso nella casa di un peccatore; senza riguardi verso l’ospite e neppure verso la gente, che mormora scandalizzata. Un gesto d’importanza decisiva.

In Zaccheo, alla curiosità subentra la gioia; in lui, il sentimento di contentezza che esplode nell’allegria prende il posto della curiosità che si appaga soltanto di “vedere”. E comincia a muovere i passi che lo fanno entrare nella salvezza. Passi di conversione: “Se ho frodato, restituisco. Se ho accumulato, distribuisco ai poveri”.

La curiosità iniziale è stata superata, l’uomo è cambiato. Ora, proprio la conclusione di Gesù rivela che cos’è la salvezza: lui stesso è salvezza; lui è il “Dio-che-salva” che va incontro a quell’uomo – ad ogni uomo – e lo raggiunge nel suo ambiente e nella sua situazione personale di peccatore. Zaccheo non ha invitato il rabbi per discutere teoricamente su una salvezza che non ha fatto nulla per “meritare”. L’ha soltanto desiderata, pur inconsciamente, ma quando si è presentata, l’ha accolta.

Quel “piccolo uomo” ci insegna che Gesù offre delle opportunità. Ci precede col suo amore non perché siamo buoni e meritevoli di perdono, ma perché, amandoci per primo, possiamo trovare l’occasione per cambiare e divenire capaci di amare come lui ha fatto.

 

P. Carlo