XXXIV
Domenica Tempo Ordinario 24.11.2013
Secondo Libro di
Samuele 5,1-3
Lettera ai Colossesi
1,12-20
Vangelo secondo Luca
23,35-43
In quel tempo, il popolo stava a vedere;
i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è
lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si
accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei,
salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei
Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo
insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo
rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla
stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per
le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù,
ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti
dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Cristo Re dell’Universo
Con la solennità di Cristo, re dell’universo si conclude l’anno liturgico. Il Cristo morto
e risorto, unico Salvatore del mondo, ora viene celebrato come il Signore al
quale tutto appartiene.
Il significato dell’espressione “re” dell’universo è
abbastanza chiaro per il credente o per chi abbia una pur minima conoscenza del
vangelo, il quale presenta innanzitutto la regalità di Cristo attraverso l’evento
della crocifissione. «Questi è Gesù il nazareno, re dei giudei», era scritto
sulla croce.
Re non solo di un popolo, ma di tutti. Che sorta di regno è il suo?
I nostri “regni” sono l’espressione infinitamente
varia non solo della nostra capacità di organizzare la vita sociale, ma anche
della sete di potere e degli artifici che mettiamo in atto per impadronircene,
tenerlo saldamente, potenziarlo e difenderlo. Abbattiamo regni e li sostituiamo
con altri, a seconda delle esigenze, della potenza e della fortuna. Tuttavia,
dopo aver investito tanto in termini di energie e di risorse, arriva il momento
in cui l’impero si logora e cade. Di esso non rimane altro che qualche sommario
ricordo sui libri di storia o qualche frantumo finito in un museo.
Ma questa idea di regno non coincide affatto con
quella di Gesù, con buona pace di tutti coloro che, per una specie di istinto
riflesso, ogni volta che sentono qualche “uomo di chiesa” parlare di potere, o
accostare “regno” e “Dio”, evocano i fantasmi del fondamentalismo religioso,
dell’ingerenza della Chiesa negli affari dello Stato… Costoro fanno buona compagnia
a Pilato e ai sadducei!
Per avvicinarci a quanto Gesù intende per “regno”, è
necessario chiedersi in via preliminare: fino a che punto sono veramente disposto
ad accettare che Cristo sia al centro del mio essere e del mio esistere? Fino a
che punto lo lascio “regnare” nella mia coscienza e nel mio ordine di valori,
affinché la sua Parola guidi il desiderio e la finalità di ogni mia azione? Fino
a che punto sono disposto a rinunciare alla logica dei regni di questo mondo,
dove il potere conta più del servizio, la forza più della debolezza, la
vittoria più della sconfitta, il denaro più della povertà, la furbizia più
della semplicità, il chiasso più del silenzio?…
Del suo regno
più d’una volta Gesù non esita a chiarire il senso e la portata. A chi gli
tendeva tranelli per avere di che accusarlo davanti al procuratore romano, egli
dice che “bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare”, senza mescolare
indebitamente il potere politico con quello di Dio. Tradotto davanti al governatore
romano, attento a verificare l’esatta pericolosità di quell’uomo, egli chiarirà
ancora meglio la sua posizione: “Il mio regno non è di questo mondo”. Pilato è
costretto a constatare che quel “re” non è più pericoloso di un agnello – anche
se, poi, non si fa scrupolo di eliminarlo e, per prendersi beffe di lui, fa apporre
sulla croce l’iscrizione: «Questi è il re dei giudei». Beffa nelle intenzioni
di Pilato, ma profezia in realtà!
«Il popolo stava a guardare» la scena della
crocifissione, dice il vangelo. Quel popolo siamo noi. Osserviamo lo scherno
dei capi religiosi, che sfidano Dio; la viltà dei soldati, che fanno i forti
con i deboli; gli insulti del bandito, che non può più far violenze… e
contempliamo come, su quella croce, Gesù sia re in un senso del tutto diverso e
nuovo. La sua regalità risplende nel rifiuto di servirsi «della sua potenza
divina per salvare se stesso, per sottrarsi al completo dono di sé, per
costringere coloro che lo rifiutano ad ammettere il loro torto» (Maggioni).
Giustamente, oggi, la liturgia parla del «regno
universale ed eterno di Cristo» come «regno di verità e di vita, regno di
santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio).
P. Carlo