XXXI
Domenica Tempo Ordinario 10.11.2013
Maccabei 7,1-2.9-14
Seconda Lettera ai
Tessalonicesi 2,16
– 3,5
Vangelo secondo Luca
20,27-38
Si avvicinarono [a Gesù] alcuni sadducei
– i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro,
Mosè ci ha prescritto: Se muore il
fratello di qualcuno che ha moglie,
ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al
proprio fratello. C’erano dunque sette
fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese
il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli.
Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà
moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I
figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono
giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono
né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli
angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i
morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice:
Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché
tutti vivono per lui».
Figli della risurrezione
La risurrezione, tema dominante nelle letture di questa domenica, è una verità centrale della fede cristiana, tanto che san Paolo può dichiarare: «Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede». E ancora: «Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo».
La salvezza del cristiano è dunque strettamente congiunta alla pubblica confessione della fede nella risurrezione. Perché, allora, vi sono tante e forti resistenze contro questa verità basilare della nostra fede? Non c’è da stupirsene: anche Gesù le ha ritrovate tra la sua stessa gente, come appare dalla lettura evangelica odierna.
Stando alle parole di Gesù rivolte ai sadducei, la risposta cristiana a queste resistenze si basa non tanto su certezze psicologiche, su convinzioni filosofiche o su affermazioni astratte, bensì su ragioni di fede: «Dio non è dei morti, ma dei viventi»: il nostro Dio è Amore che dona la Vita e la custodisce per l’eternità.
Per il cristiano la risurrezione non significa in alcun modo un prolungamento dell’esistenza presente, e neppure è la rianimazione di un cadavere. Significa invece rinascere a vita nuova, trasformati dallo Spirito di Dio. Tutto il nostro essere risorge: spirito anima e corpo, la nostra persona, l’identità che abbiamo ora. Il Padre celeste ci ha voluti come suoi figli e come tali ci ama pienamente, personalmente e per sempre. Se ci ha creati così strutturati, vuol dire che così ci vuole per l’eternità.
La risurrezione
personale avviene perché
tutti apparteniamo a Cristo, Figlio di Dio e fratello di ogni uomo. Il Padre ci
ha affidati a lui, e Cristo ci fa partecipi della propria morte e risurrezione.
Perciò, la fede nella risurrezione è una questione d’amore del Padre verso di
noi, e, da parte nostra, di fiducia e di speranza nel Figlio. Siamo figli di un
Padre che gioisce per la nostra vita e vuol essere tutto in tutti (cf. 1Cor
15,28), di un Padre che ci attende nella sua Casa per far festa con noi – con
persone vere, nella loro unità personale, non con una parte di esse, fosse pure l’anima.
In questa prospettiva, la morte è soltanto un
passaggio ad un nuovo modo di essere: quello “da risorti”, uniti per l’eternità
al Cristo risorto, viventi come lui e per grazia sua.
Partendo da questo nucleo di fede si può
capire come il credere nella risurrezione di Cristo, e nella nostra, sia la
fonte segreta dell’azione del cristiano nel mondo: da essa egli attinge le forze
per un sempre rinnovato impegno per la vita e la dignità di ogni essere vivente.
Quei
sadducei erano ammalati di un razionalismo e materialismo eccessivi – malattia
ancora virulenta ai nostri giorni, malattia che uccide la speranza. Gesù ci dona
speranza perché ci riconduce al cuore del mistero della vita, al Dio che ama
l’uomo e non lo abbandona in potere della morte; al Dio che gli spalanca
davanti un altro mondo, nel quale entra nella sua completezza. Come il Cristo risorto.
P. Carlo