XXXIII
Domenica Tempo Ordinario 17.11.2013
Malachia 3,19-20
Seconda Lettera ai
Tessalonicesi 3,7-12
Vangelo secondo Luca
21,5-19
Mentre alcuni parlavano del tempio, che
era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà
distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque
accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per
accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno
nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a
loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine… sarete odiati da
tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà
perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
L’attesa del Signore
Il passo del vangelo che oggi la liturgia ci propone, come tutti gli altri di genere apocalittico, non è semplice. Fa parte della “grande apocalissi” di Luca, cioè della parola ultima di Gesù sul mondo: sulla fine del vecchio mondo e la manifestazione del nuovo.
Qui occorre fare molta attenzione. Le immagini catastrofiche di cui leggiamo (guerre, rivoluzioni, pestilenze, terremoti…) non sono la previsione, tanto meno la minaccia, di ciò che accadrà. Gli eventi tragici sono sempre stati all’ordine del giorno nella storia dell’umanità e, di per sé, non rimandano a nulla di nuovo. Di null’altro sono segno se non della violenza che il male ha introdotto nel mondo mediante il peccato. Sono parte del “vecchio”, di ciò che verrà superato.
Gesù spinge il nostro sguardo non sugli avvenimenti finali della storia, ma in altra direzione: su quanto sta sorgendo ora, sul “regno di Dio” che si sta manifestando, sul nuovo mondo che egli è venuto a inaugurare e sui segni che accompagnano questo evento.
I segni per eccellenza sono la croce e la diffusione del vangelo mediante la predicazione dei discepoli. La loro azione nella storia sta operando un giudizio, sta originando una nuova nascita. Il giudizio consiste nel fatto che la croce smaschera e condanna l’incredulità del mondo, radice del male e di ogni violenza. La nascita consiste nell’evento della fede, suscitata dalla predicazione del vangelo, che crea una nuova comunione di vita col Risorto.
Il male viene posto sotto il segno della croce, sotto il suo giudizio. Ciò significa che, mentre dal cuore dell’uomo egoista escono le violenze, le guerre, le ingiustizie e tutte le altre distruzioni che causano ogni genere di sofferenze, il Figlio di Dio prende su di sé il male e lo inchioda alla propria croce per aprire all’uomo una nuova possibilità di rinascita.
Il suo è il giudizio dell’amore di Dio sul male del mondo.
L’annuncio di questo vangelo causa ai discepoli la persecuzione del mondo, ma, allo stesso tempo, è segno che qualcosa di nuovo sta realizzandosi: un “mondo nuovo” nel quale male, violenza e morte non sono più l’ultima parola sull’esistenza e sulla storia degli uomini. L’ultima Parola è Gesù stesso, colui che ha vinto e il male e la morte.
Noi, ora, stiamo vivendo in questo “frattempo” tra la risurrezione di Cristo e la sua piena manifestazione che avverrà alla fine della storia. Viviamo dunque nel tempo del giudizio, che è tempo di ricerca e di scelte, tempo di discernimento e di speranza. Un tempo da non sciupare correndo dietro a fantasie sulla “fine del mondo” o scappando chissà dove per paura. A questo proposito, ancora una volta Gesù ci ripete: “Non lasciatevi ingannare”.
Non lasciamoci ingannare da coloro che insegnano a vivere come se Dio non esistesse; da coloro che speculano sulla paura, parlando di “fine del mondo imminente”, preannunciata dalle guerre, dalle distruzioni o da chissà quali altri “prodigi”…
Con il suo discorso apocalittico, Gesù non vuole soddisfare le nostre curiosità sul “come” e sul “quando”… Desidera invece suscitare speranza e fiducia in Dio, alimentare il nostro impegno ad accogliere il suo Regno e a rendere migliore il mondo in cui abitiamo.
Il cristiano attende il Signore non fantasticando sulla “fine del mondo”, ma perseverando nella fede e con la testimonianza di una vita attiva e serena, come già suggeriva san Paolo ai quei cristiani di Tessalonica che stavano in ozio e continua agitazione a causa delle loro fantasie sulla fine: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi”!
P. Carlo