V Domenica di Pasqua                            28.4.2013

 

Atti 14,21-27

Apocalisse 21,1-5

Vangelo secondo Giovanni 13,31-33.34-35

 

Quando [Giuda] fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

 

Il comandamento «nuovo»

 

Forse il nostro orecchio è un po’ troppo abituato a udire questo qualificativo, «nuovo», che Gesù applica al suo comandamento. Che sia forse per questo che lo riponiamo così facilmente tra le cose sapute? Non ci sfiora il dubbio che esso non sia – come in realtà non lo è – come la notizia del giornale che, appena pubblicata, è già diventata vecchia? E che non sia neppure un buon consiglio tra i tanti, una ricetta del buon vivere? Non ci viene da pensare che, se era nuovo per i suoi discepoli, nuovo lo rimane anche per noi – visto che la Parola di Dio è sempre attuale – altrimenti sarebbe ridotto alla stregua di un vecchio consiglio polveroso racchiuso nel baule del passato?...

Gesù dice: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Qui sta la vera novità: lui ci ha amato per primo. Amandoci infinitamente, egli riversa in noi la capacità di amare a nostra volta. Solo a questo punto egli mette la clausola: «come io vi ho amato»: noi guardiamo a lui e attingiamo dalla sorgente perenne del suo amore per amarci tra di noi.

E dunque:

Non dice: «come quanto io vi ho amato», poiché è impossibile per noi raggiungere la sua misura. Se ne fossimo capaci, non ci sarebbe stato bisogno che egli donasse la sua vita per noi. Mai nessuno ha amato o amerà come lui, il Figlio di Dio entrato nella nostra fragile umanità e nel nostro peccato, sceso negli inferi della nostra morte per mettersi nel più profondo abisso nel quale noi potremmo mai cacciarci. Ha fatto ciò perché potessimo avere in lui qualcuno sul quale poggiare per poter risorgere.

Amare come Gesù, cioè secondo la modalità sua propria, che è quella dello Spirito – quello Spirito che egli ha inviato a noi, perché potessimo divenire come lui, a sua immagine e somiglianza. Allora, «come Gesù» significa: essere disposti al dono di sé, senza alcun tornaconto; disposti a dare anche la propria vita, se necessario; amare con un grande senso di compassione e di misericordia, secondo la giustizia di Dio che perdona guardando al nostro bisogno, non ai nostri meriti (per fortuna nostra!); amare con lo stile di Gesù, fatto di attenzione alla persona, di tenerezza, di pazienza, di profondo rispetto per la sua dignità.

Un amore pieno di speranza. Chi ama come Gesù, vede Dio nel prossimo, perciò non giudica, fa affidamento sul bene presente in lui; sa attendere fiducioso, incoraggia e accompagna ogni passo, per piccolo che esso sia...

Senza la speranza, infatti, l’amore rimarrebbe chiuso in noi come un vago sentimento, come un’emozione che presto passa, come un ripiegamento del nostro io su se stesso. Senza la speranza, la carità sarebbe semplicemente una filantropia, un’elemosina, un mezzo per soddisfare la sete di autoaffermazione, per scaricare i sensi di colpa di fronte alla miseria e all’emarginazione. Senza la speranza, rimarremmo schiavi di noi stessi e del nostro egoismo, e la nostra volontà diventerebbe fiacca e pigra, incapace di scegliere il bene che pur vogliamo e di attivare le nostre energie per raggiungerlo.

Con la capacità di amare, Dio ha posto in noi il bene più prezioso che mai potesse donarci, riflesso della sua stessa natura divina. Ora, san Paolo dice che niente potrà mai separarci dall’amore di Dio (cf. Rm 8,38-39). Da una cosa soltanto noi siamo inseparabili: dall’amore. Non per nostra abilità, non per nostro merito, ma soltanto per la forza di quel Dio che è soltanto amore e ci ha fatti come lui.

Gesù, col suo comandamento nuovo, ci riporta a questa fonte originaria del nostro essere.

 

P. Carlo