V Domenica di
Pasqua 29.04.2012
Atti 9,26-31
Prima Lettera di Giovanni 3,18-24
Vangelo secondo Giovanni 15,1-8
«Io sono la
vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta
frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più
frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete
in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non
rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi
i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me
non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e
secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me
e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate
miei discepoli».
Autonomia e libertà
Già con il passo del vangelo di Giovanni letto domenica scorsa ci siamo addentrati in un tema affascinante: la necessità di fare riferimento, come uomini, a Cristo “Buon Pastore”, vero modello di umanità, modello da rivivere in noi per una vera nostra crescita umana e cristiana. Noi gli apparteniamo, perciò è essenziale che impariamo a riconoscerne la voce per poterlo seguire.
Anche il vangelo di oggi ci pone nella stessa direzione. Attraverso l’immagine della vite e dei tralci, Gesù vuole farci comprendere che è necessario vivere in lui, altrimenti non portiamo alcun frutto e dissecchiamo. Parole, queste, che forse possono destare perplessità. In tempi in cui da tante parti si grida al lupo, pardon, al “fondamentalismo”, una pretesa così chiara come quella che Gesù esprime nelle parole: «senza di me non potete far nulla», desterà sicuramente più di un sospetto. Non per questo dobbiamo lasciarla cadere, anzi!
Anzitutto, Gesù ci ricorda che, in quanto creature, non possiamo essere pienamente indipendenti. A partire dal nostro ingresso nella vita, dipendiamo da tutto, sin’anche dall’aria che respiriamo. Sognare l’indipendenza (perfino quella politica!) può farci sentire eroi, ma poi al risveglio udiamo tutt’altra musica. Ed è bene ricordarlo, per tenere i piedi per terra.
Non possiamo neppure essere pienamente autonomi. Qui occorre intenderci. Se pensiamo all’“autonomia” come alla capacità di badare a sé, allora l’avvertiamo subito come umanamente necessaria; altrimenti, resteremmo eternamente bambini (o “bamboccioni” che dir si voglia). Ma se l’intendiamo secondo il significato espresso dall’etimologia (significa “essere legge a se stessi”), allora non ci siamo più, se non altro perché è chiaro che i miei diritti terminano dove iniziano i tuoi, mentre i tuoi e i miei doveri non hanno confini!
Allora,
conviene ricordare la saggezza di quelle parole che scrisse papa Benedetto XVI
poco tempo fa: «Nessun uomo
è una monade chiusa in se stessa. Le nostre esistenze sono in profonda
comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono concatenate una con l’altra.
Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo.
Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico,
faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male
come nel bene» (Spe salvi, 48)
Partendo da queste semplici osservazioni, possiamo capire, ora, l’importanza di quelle parole di Gesù? Lui la vite, noi i tralci. Uniti a lui possiamo portare frutti buoni, primo dei quali ritrovare il senso della nostra vita, illuminata e nutrita da Cristo: è lui il nostro senso ultimo, da cui deriva tutto il bene che siamo, abbiamo e facciamo.
Se alimentiamo in noi questo senso di appartenenza possiamo fare un paio di scoperte interessanti. Per un verso, essere di Cristo non ci mette al riparo dalle prove della vita (le “potature” di cui ci parla Gesù). Siamo sempre a rischio di diventare rami secchi, improduttivi. Perciò mettiamo in conto la presenza del peccato nella nostra risposta al dono di Dio, ma anche l’aiuto che da Cristo può venire a noi.
Per un altro verso, la rinuncia all’autonomia ad ogni costo non ci fa diventare servi. Tutt’altro! La comunione di vita con Cristo, infatti, alimenta la nostra libertà, poiché ci appoggiamo a lui non tanto come il servo al proprio padrone, ma con la fede, che è essenzialmente risposta di libertà, di fiducia e di amicizia.
P. Carlo