Solennità di Tutti i Santi                       01.11.2012

 

Apocalisse 7,2-4.9-14

Prima Lettera di Giovanni 3,1-3

Vangelo secondo Matteo 5,1-12a

 

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

 

Beati, cioè felici!

 

Che ne è della felicità, di questo tesoro che sogniamo ad occhi aperti, la cui ricerca dà senso alla nostra intera esistenza, ma il cui spessore sembra evanescente come quello del sogno?… A dispetto della mentalità comune che ritiene che la felicità derivi dal possesso delle cose, per noi cristiani non è l’ingordigia che sazia sino alla nausea a dare felicità, quanto piuttosto la virtù che dona.

La felicità è frutto della giusta relazione che si sa instaurare con le cose e della capacità di saperne davvero fruire, una relazione che si fonda nella comunione con Dio, sommo Bene e fonte di ogni bene, e nella fraternità con gli altri uomini, riconosciuti come il “luogo” in cui questo bene mette radici nel mondo.

Da questo punto di vista, la felicità non cessa di essere un sentimento e, allo stesso tempo, si fa vedere per ciò che è: un bene stabile.

Tutto pacifico, dunque? volesse il cielo!

Un giorno mi capita tra le mani una raccolta di testi sulla felicità, introdotta da un’intervista al curatore. «Come mai tra gli autori che hai scelto non c’è neanche un cristiano? Nemmeno san Francesco?», gli veniva chiesto. E la risposta: «Perché il cristianesimo è rinunciatario, e la letizia francescana non è la felicità».

Risposta assolutamente rozza. Passato il fastidio iniziale e a una riflessione più pacata, mi è apparso chiaro che la sua concezione di felicità era molto diversa da quella che circola in casa cristiana e francescana. La sua idea di fondo era: la felicità è connessa al benessere, al successo, ai propri desideri soddisfatti… praticamente, un prodotto dell’amore per se stessi, di quell’amore che si misura esclusivamente sulla propria realizzazione.

Ma l’uomo amante di sé non può essere felice; in fondo, è un uomo insicuro, sempre bisognoso di credere in qualcosa che gli dia tranquillità e costantemente esposto all’invidia, causa scatenante della competizione e della frustrazione. Perciò, della tristezza.

La felicità è strettamente congiunta con la fede vissuta; più che un bene posseduto, acquisito una volta per tutte, è una conquista quotidiana: siamo felici nella misura in cui costruiamo positive e genuine relazioni con Dio e con il nostro prossimo.

Strano, ma alla coerenza con questa visione ci richiama pure un personaggio insospettabile: F. Nietzsche, padre del nichilismo contemporaneo. Ricordate l’ironia sferzante con cui si rivolgeva ai cristiani del suo tempo? Li rimproverava di non mostrare affatto un volto da persone salvate: «Canti migliori dovrebbero cantarmi, perché io impari a credere al loro redentore: più redenti dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli». Parole sante! Provate a verificarne l’attualità, una domenica qualsiasi, alle porte della chiesa: osservate le persone che escono da messa. I loro volti esprimono la gioia dell’incontro con il Risorto? Sono “facce da salvati”? E, per par condicio, spostatevi anche alla porta della sagrestia: com’è il volto del prete che ha appena celebrato?...

Troppi volti spenti dichiarano una cosa sola: certi cristiani vivono la “buona novella” come un peso insopportabile. Sono andati al banchetto di nozze, ma, una volta sedutosi a tavola, hanno preferito sfamarsi con un tozzo di pane raffermo portato da casa. Poi, sono usciti con i pensieri cupi in compagnia dei quali erano entrati...

Cristiani che non si sono abbeverati alla sorgente della gioia, a “Cristo nostra felicità” (M. Hubaut) e alle sue Beatitudini!

P. Carlo