Solennità
della SS. Trinità 3.06.2012
Deuteronomio 4,32-34
Lettera ai Romani 8,14-17
Vangelo secondo Matteo 28,16-20
Gli undici discepoli andarono in
Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si
prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.
Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che
vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del
mondo».
Nel nome della Trinità
«Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Accompagniamo con queste parole il segno della croce: segno che rimanda anzitutto al nostro Dio, - Padre, Figlio e Spirito Santo, Trinità di Persone unite nell’unità di un solo Dio - nel nome del quale tutto ha inizio, tutto vive e sussiste, tutto avrà compimento.
Il segno della croce ci identifica come cristiani (a meno che, qualcuno, non lo esibisca come segno magico o gesto di scaramanzia...). Esso è, in assoluto, la più semplice professione di fede che il cristiano possa fare, sia esso dotto o senza cultura, potente o umile. Nel nome della Trinità iniziamo la giornata, le preghiere e il lavoro; compiamo scelte, prendiamo decisioni, combattiamo il male, benediciamo tutto, suggelliamo le nostre fatiche, la giornata, le liturgie e, alla fine, la nostra avventura terrena. Una professione di fede che è anche genuina testimonianza di speranza, specialmente nell’ora della prova, del dolore o della persecuzione.
È un gesto semplice che, oltretutto, testimonia anche il valore che attribuiamo alla croce di Cristo, dal quale viene la nostra salvezza.
Trinità e croce, professione di fede in Dio uno e trino e in Gesù, unico nostro salvatore: ecco i due tratti che sintetizzano la nostra fede e la nostra storia, il senso della nostra vita di credenti.
A causa di questo intimo legame, la croce è uno dei simboli cristiani per eccellenza, che non ci sogneremo mai di nascondere, tanto meno di cancellare dalla nostra vita. A quanti non tollerano questo simbolo di amore e di vita, possiamo soltanto dire: o non riuscite a comprendere l’importanza storica e sociale di questo simbolo, e dunque informatevi; oppure, prima di gridare all’intolleranza, mettetevi di fronte a uno specchio e poi gridate contro voi stessi.
Togliere dai luoghi del nostro vivere civile i simboli della nostra fede è come cancellare la nostra identità e introdurvi i semi della paura e dell’insicurezza, che - lo sappiamo per esperienza - trasformano ben presto ogni ombra in un pericolo incombente; e innescano la violenza. Se abbiamo ben chiaro chi siamo, ci sarà più facile accogliere lo straniero e i credenti delle altre religioni.
Per
quanto riguarda la «Trinità», per noi non è un’idea o un’entità astratta, con cui
l’incontro avverrebbe solo nella nostra mente. Indica invece il mistero
dell’unico Dio in Tre Persone, o delle tre Persone divine unite nella comunione
di un unico Dio. Se questo linguaggio può apparire oscuro, pensiamo in questi
termini: il nostro Dio è un Dio che non rimane chiuso in se stesso, poiché è in
se stesso aperto alla comunicazione e al dialogo; un Dio che si manifesta per
mettersi di fronte a noi come un «Tu» vivente; un Dio che irradia su di noi il
suo mistero d’amore, poiché ama e vuol essere riamato. Perciò, l’incontro con questo
Dio è essenzialmente personale: se ci
lasciamo amare e gli rispondiamo con l’amore, in questo amore ricevuto e
donato, ritroviamo noi stessi e la nostra felicità.
Carissimi,
affidiamo alla pietà del Signore tutte le vittime del terremoto. Egli infonda conforto
e speranza in tutti coloro che sono stati segnati nel corpo e nello spirito da
una prova così grande. La nostra solidarietà sia un segno concreto della nostra
fede nel Dio d’amore.
P. Carlo