IV DOMENICA  di Pasqua                      25.04.2010

 

Atti 13,14.43-52

Apocalisse 7,9.14-17

Vangelo secondo Giovanni 10,27-30:

 

 

In quel tempo Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

Ascolto

 

Una delle doti più apprezzabili in una persona è la sua capacità di ascolto. «Lui/lei riesce a capirmi! Mi ha ascoltato!». Qualcuno ha fatto una simile esperienza? Oppure, e più spesso, gli è capitato il contrario?…

Saper ascoltare è una virtù rara, specialmente oggigiorno. Più siamo affaccendati nelle mille nostre occupazioni, meno abbiamo tempo da spendere per gli altri. Ma anche se avessimo tempo, non sempre siamo capaci, o disposti, ad ascoltare che ci chiede di parlare con noi.

Perché ascoltare non è semplicemente udire.

Per udire, basta un paio di orecchi; per ascoltare, occorre – anzitutto e gratuitamente, s’intende – la disposizione a dedicare tempo a chi vuole comunicarci qualcosa di sé. Possiamo ascoltare qualcuno come fosse la radio, e al primo sintomo d’impazienza, di fretta, o il guardare l’orologio, si spezzerebbe immediatamente la comunicazione. Non si sta ascoltando col cuore.

L’ascolto implica anche far tacere il nostro Io interiore. Quando si ascolta qualcuno, viene spontaneo seguire le eventuali risposte o i consigli che vorremmo dare, più che il reale messaggio che egli tenta di far arrivare a noi. Tanto che le nostre riposte sono il più delle volte fatte di impressioni nostre, di ricordi nostri, di consigli… non richiesti, chiara testimonianza che non abbiamo “ascoltato” veramente.

Soltanto se riusciremo a entrare in profonda sintonia e simpatia con chi ci parla, potremo riuscire ad ascoltarlo. E costui, a questo punto, potrebbe anche chiederci un consiglio, un aiuto… o anche nulla, avendo egli, il più delle volte, soltanto bisogno di sentirsi accolto e non giudicato.

 

Il passo del vangelo di questa domenica sembra inserirsi proprio su questo punto. Cristo stesso si rivolge a noi perché lo ascoltiamo, e noi abbiamo buoni motivi per essere attenti alla sua voce.

Gesù dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce».

Perché mi ascoltano? Perché quando parlo loro, esse sanno che mi appartengono, sanno di potersi fidare di me, si sentono al sicuro nelle mie mani: «Nessuno può rapirle dalla mia mano e dalla mano del Padre». Sanno che in me trovano rifugio sicuro. Specialmente quando è in gioco la loro stessa vita.

E noi, ci teniamo o no alla nostra vita? Sapendo che Dio stesso mette in gioco la sua, pur di tutelare la nostra, non potremo fidarci di lui? Non lo ascolteremo col cuore?

Sentiamo di essere capiti nelle nostre esigenze, nelle nostre paure, nei nostri dubbi, nei nostri sogni… Perciò ascoltiamo la sua voce. Non abbiamo orecchi per altre voci. Desideriamo che la sua voce penetri nel nostro profondo.

 

Per divenire una sola cosa con Cristo, come Cristo lo è con il Padre (è il tema del contesto di questo breve passo evangelico), i cristiani ha questa possibilità: accogliere docilmente e con gioia l’unica Parola che salva, e seguirla: «obbedire», in altri termini, nel senso bello dell’etimologia di questa parola: udire col cuore chi ci sta di fronte. A costoro Gesù annuncia:

«Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (seconda lettura di questa domenica).

 

P. Carlo