SS. TRINITÀ 19.06.2011
Esodo 34,4-6.8-9
Seconda Lettera ai Corinzi 13,11-13
Vangelo secondo Giovanni 3,16-18
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: Dio
ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in
lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il
Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per
mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
Il nostro Dio parte da Tre
La Festa della Trinità santissima fa risplendere tutta la ricchezza del mistero del nostro Dio, “Uno in Tre Persone”. Le letture in particolare ci introducono alla contemplazione di questo mistero.
I lettura: Dio proclama il proprio Nome. Il «nome» indica la persona che si presenta. Proclamando il proprio Nome, Dio non dice tanto il “suo nome proprio”, quello che possiede nell’eternità (poiché essendo eterno rimane per noi inconoscibile), quanto invece chi egli è per noi. Questo nome ci parla di un “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” (Es 34,5-7); un Dio tutt’altro che chiuso in una solitudine sdegnosa e lontana, bensì coinvolto nell’amicizia più forte e generosa che si possa immaginare verso la sua fragile creatura.
Questo
nostro «Dio» è essenzialmente reale;
anzi, è l’unica realtà vera, piena,
assoluta. Non è dunque un’idea, un’astrazione o un’entità simbolica, con le
quali il nostro incontro avverrebbe solo nella nostra mente; e non è neppure
una specie di idolo, con il quale non potrebbe esserci
altro rapporto che l’estraneità o il possesso. Egli è Trinità di Persone unite
nella comunione di un unico Dio: è un Dio «aperto» alla comunicazione, un Dio
che si manifesta per mettersi di fronte a noi come un «Tu» vivente, un Dio che
irradia su di noi il suo mistero
trinitario, che per essenza è dialogo d’amore, amore che ama e che vuol essere
riamato. Il nostro Dio sa che in questo amore ogni uomo ritroverà se stesso e,
perciò, la sua felicità.
Se volessimo tentare un salto nel mistero,
potrebbe farci da guida il testo di san Paolo. Egli ci orienta a seguire questa
via:
Il Padre
è Amore donante. Egli è pura Gratuità; esce da sé mediante il dono.
Il Figlio
è Amore accogliente. Egli è nell’eternità rivolto al Padre: è pura Gratitudine.
Esce da sé mediante l’accoglienza del dono e il riconoscersi Figlio.
Lo Spirito
Santo è Amore unificante. Egli è Comunione infinita, poiché unisce Padre e
Figlio affinché siano l’uno con l’altro, l’uno per l’altro, l’uno nell’altro nella
distinzione di Tre Persone e nell’unità di un solo Dio. Egli è il Dono che si fa
Accoglienza e l’Accoglienza che si fa Dono.
E dunque, per noi cristiani «in principio» non
c’è un “Pensiero pensante che pensa se stesso”, un dio chiuso in sé, immobile e
lontano; ma, “in principio” c’è un “Legame d’Amore”.
Mi spiego.
In principio, c’è Qualcuno che ama, che è amato e
che è essenzialmente – cioè in tutto, simultaneamente, perfettamente – Amore.
C’è una festa che non viene mai meno; una festa creativa che dà origine all’uomo:
“Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, cioè capace di buone
relazioni, di dono e di accoglienza.
Logicamente, quest’uomo ha bisogno di conoscere il
Nome da cui è creato e per il quale vive; senza quel Nome verrebbe meno la sua
stessa realtà di uomo. E potrà conoscerlo soltanto se segue la via che
Dio stesso ha percorso per chiamarlo alla festa della Vita. E allora:
L’uomo conosce Dio attraverso l’amore. Se rifiuta
di amare, si preclude la conoscenza di Dio. Amando solo se stesso, egli rivolge
la propria adorazione all’immagine,
non alla realtà. È un idolatra.
Perciò, cristiano vero è colui che crede nell’Amore
e rifiuta di rinchiudersi nella gabbia dell’egoismo; è colui che, amando ogni
persona e ogni creatura, vede Dio in
ogni uomo. Perciò si affida all’amore come alla guida più sicura per incontrare
Dio.
P. Carlo