QUINTA DI PASQUA   -  B   -   GESU’ INVITA A  “S T A R E” CON  LUI

 

     Domenica scorsa – detta del BUON PASTORE – l’evangelista Giovanni ci ha fatto conoscere la bella similitudine del Pastore “BUONO”, per darci la misura di come siamo amati da Dio: un amore espresso con un contorno di verbi che esprimono i più svariati servizi: Gesù che conosce le pecore, le protegge, le conduce, cammina avanti a loro, per accompagnarle a pascoli ubertosi e ad acque tranquille. OGGI invece Gesù ci rivolge un pressante invito: “RIMANETE IN ME”. Gesù ci rivolge questo invito per darci la misura del suo amore e per offrire una sorgente inesauribile di vita vera; per farci partecipi della vita stessa di Dio. Nella pagina ascoltata , per ben sette volte viene ripetuto il verbo “rimanere”!

     Per approfondire questo invito di Gesù, a “rimanere in Lui”, vorrei prima rivolgere una domanda molto personale, a cui ciascuno dovrebbe darsi una risposta; chiedo: Quanti tra noi sono davvero convinti che, escludendo Dio dalla propria vita, possono ugualmente realizzarsi e dare frutti buoni?! E ancora: Cosa significa propriamente “rimanere in Lui”? E ci chiediamo:Con la vita frenetica che ci spinge a correre tutto il giorno, con l’ansia di non riuscire a fare tutto, come trovare il tempo di fermarci, per rimanere con il Signore? Eppure Gesù insiste nel dire: “SENZA DI ME NON POTETE FARE NULLA”. Sappiamo che molti riducono la preghiera a un segno di croce, mattino e sera; sono anche fedeli alla Messa festiva; ma Gesù chiede di più; chiede di “rimanere” con Lui!  Il verbo “rimanere” non può risolversi con un saluto veloce; rimanere significa “entrare in casa e fermarsi per un colloquio”; ma significa anche “prendere dimora”, cioè “vivere abitualmente insieme”.

    Gesù non ha inteso che, per riuscire nella vita, l’uomo deve condurre vita da contemplativo; ci chiede invece che la nostra vita scorra in unione con Lui, per reagire al male e trovare conforto nei momenti più difficili e faticosi, sapendo che anche le difficoltà e la malattia sono già “frutti buoni”, quando sono vissuti con amore. Gesù oggi ci dice ancora che, chi vive in unione a Dio, può chiedere le cose buone che desidera, e le riceverà. E, per spiegarsi ancor meglio, Gesù ricorre alla similitudine della vite. Gesù dice: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché, senza di me, non potete far nulla”. Dunque, condizione per dare buoni frutti, è rimanere uniti a Cristo. I buoni frutti non sono da confondersi con l’efficienza. La vita dell’uomo non deve confondersi con un’azienda o un’impresa che dà lavoro;  Gesù ci chiede, in definitiva, di rimanere con Lui in una continua comunione di vita e di intenti; una vita alimentata dalla preghiera, dall’Eucaristia, dalla Parola di Dio..

     Un’ultima condizione ci chiede Gesù: di consentire a mani esperte, di procedere alla potatura di stagione; operazione dolorosa che non viene risparmiata nemmeno a quanti vivono fedeli al santo Vangelo; perché la potatura ha lo scopo di favorire frutti migliori e più abbondanti. La potatura nella nostra vita la si fa quando la coscienza ci rimprovera, quando ci chiede di cambiare strada, mentalità; quando ci si lascia sopraffare dalla sete di guadagno o di carriera. Chi vive con fede e pazienza le potature necessarie, potrà fare esperienza delle promesse di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita”. Invito che viene quasi sempre disatteso, perché abbiamo più fiducia nei sodi e negli appoggi di quelli che contano, piuttosto che nella Parola del Signore.

     Fratelli, se continuiamo a illuderci che possiamo farcela da soli, pensando che con i soldi si può arrivare ovunque, rischiamo la sterilità, la delusione.  Nell’affermare che senza di lui, l’uomo fallisce, Gesù non ha inteso mortificare l’uomo nella sua ricerca di realizzazione; ci ha invece ricordato che nessun uomo può ritenersi onnipotente; noi stessi facciamo spesso esperienza della nostra nativa fragilità, ogni volta che commettiamo peccato, o ci riteniamo falliti. Volesse il Cielo che, dopo ogni peccato o fallimento, potessimo far ritorno alla preghiera. Il mese di Maggio, appena iniziato, ci ricorda che Gesù ci ha lasciato la Madre sua come nostra Madre, perché tutti, nel ritorno alla Casa del Padre, potessero trovare rifugio nell’abbraccio materno di Colei che Dio ha scelto perché fosse per tutti noi Madre di misericordia.  Amen.