FEDELI
ALLA MISERICORDIA DI DIO
Prendere
sul serio il peccato
Appunti
di p. Carlo Dallari per l’incontro OFS – Ferrara 22.5.2016
Nella sua stupenda e preziosa Vita del beatissimo Francesco,
recentemente scoperta, Tommaso da Celano riporta l’episodio di un certo frate
Rizzerio, il quale desiderava ardentemente che Francesco gli manifestasse una particolare
benevolenza, convinto che, se ciò fosse accaduto, egli «sarebbe stato degno
della grazia divina». Va dunque a trovare san Francesco, il quale lo accoglie
con molto affetto e benevolenza. Celano così conclude il racconto: «Quel frate
fu allietato e insieme meravigliato e in seguito, reso più sicuro dalla grazia
del santo padre, cominciò a affidarsi con maggiore fedeltà alla misericordia
di Dio» (n. 26).
Essere più fedeli nell’affidarsi alla
misericordia di Dio: ecco un bel proposito da accogliere come
frutto di questo anno giubilare. Affidarci non soltanto quando ne abbiamo
bisogno, quando ci sentiamo oppressi dai peccati nostri e altrui… ma lungo
tutta la nostra esistenza, ogni giorno, ogni momento, con atti di fede e di
obbedienza, con atti di amore e di abbandono al “Dio Padre di misericordia”!
Non sentiremmo la necessità di affidarci
più fedelmente alla misericordia di Dio, se non fossimo in una condizione
di peccato. Siamo peccatori, sempre bisognosi di misericordia, ma incapaci di
affidarci realmente a questa
misericordia, proprio perché il peccato ci estranea dalla comunione con il
Padre. Siamo in una via senza uscita? Dipende.
Comunemente pensiamo d’essere capaci da
noi stessi, con le sole nostre forze, di convincere Dio ad essere
misericordioso nei nostri confronti. Siamo convinti di essere in grado di
“impietosire” il Padre data la nostra condizione di peccatori. Ma questo
modo di pensare non ci libera dal peccato, poiché non fa altro che racchiuderci
ancor più in noi stessi. È una via senza uscita.
Tuttavia, se facciamo attenzione a quanto
ci insegna la Parola (cf. ad es. la parabola del padre misericordioso), vediamo
che Dio ci offre una via diversa. Scopriamo di essere amati da un amore che ci precede
sempre: siamo amati dal Padre a prescindere dalla nostra condizione di
peccatori; siamo amati perché suoi figli, e Lui viene incontro a
ciascuno di noi per aiutarci a vincere il nostro peccato proprio perché Lui è
nostro Padre. Siamo di fronte a un capovolgimento della nostra mentalità: non
c’è prima il peccato e poi il perdono, ma è vero il contrario.
Ciò che è veramente originale (vale a
dire, che sta all’inizio di tutto) è la sua grazia, la sua misericordia, il suo
perdono, non il nostro peccato – a
partire da quello dei progenitori! La
grazia della salvezza precede il peccato e costituisce il nucleo radicale del
progetto divino che riguarda la nostra creazione e la nostra redenzione. In
principio è il perdono.
Dunque, Dio Padre, nella sua misericordia,
prende di mira il nostro peccato per distruggerlo mediante il perdono. Questa
iniziativa ci obbliga a chiederci quale sia la vera natura del peccato. È
un passo necessario, questo, poiché senza una chiara coscienza di ciò che
significa essere in peccato, rischieremmo di non aprirci pienamente alla
misericordia di Dio, così che questa rimarrebbe alla superficie di noi stessi e
noi impediremmo a Dio di raggiungerci e di guarirci.
Dio nostro Padre non si limita, infatti,
a “stendere un velo pietoso” sul nostro peccato; vuole sradicarlo dal nostro
cuore per sanarci e farci diventare persone “nuove”. Tutta la sua opera mira liberarci
da quella schiavitù che abbiamo imposto a noi stessi e al mondo, sin dagli
inizi della nostra esistenza, quando abbiamo voluto cedere alla tentazione primordiale,
a quella che prometteva: «sarete come Dio» (Gen 3,5) – tentazione che, da
allora, insidia la libertà e la dignità di ogni uomo. E per realizzare questo
scopo Dio ha bisogno di raggiungere le radici del nostro essere, e lì colpire
il nostro peccato.
Se ben guardiamo dentro di noi, vediamo
che dal profondo di noi stessi siamo assetati di libertà, di potenza e di
sapienza, e questa sete ci spinge a voler essere «come Dio»: liberi, onnipotenti
e onniscienti. Ma, ecco la trappola: per realizzare questo nostro progetto ci
ispiriamo a un’immagine di Dio profondamente perversa, e proprio questa immagine
falsa corrompe il nostro rapporto con Dio, con noi stessi e con l’intero creato.
Cerchiamo libertà e realizzazione di noi stessi, ma ci ingabbiamo in una
prigione dalla quale non riusciamo più a liberarci. Per raggiungere le radici
del nostro essere, Dio ha bisogno che noi prendiamo coscienza di questo stato
di impotenza a salvarci da soli.
Siamo incapaci perché il peccato lacera
la nostra relazione con Dio, crea una rottura che interessa non solo la
nostra interiorità, ma anche la nostra relazione con il mondo. A questo
proposito, papa Francesco osserva concisamente: «L’armonia tra il Creatore,
l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere
il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate» (Enciclica Laudato
si’, n. 66). Ecco la verità.
Con ciò, siamo arrivati al
cuore del problema. Il peccato appare nella sua vera natura: è rottura della relazione con Dio, in quanto
l’uomo si ripiega su se se stesso, vuole farsi
da sé e vivere solo per sé. Allora, se vogliamo riconoscere il nostro peccato non
è sufficiente che ci mettiamo davanti a una norma o a un comando, oppure che chiediamo
al nostro io di ripiegarsi su di sé o che ci esaminiamo sui nostri sensi di
colpa… Occorre invece che osserviamo il nostro modo di vivere alla presenza di
Dio, nella fede che egli ci ha donato e nell’amore che ha effuso nel nostro
essere, e consideriamo quale posto gli riserviamo nella nostra esistenza.
In altri termini, la coscienza del
peccato è questione di fede. Chi “elimina” Dio
dall’orizzonte della propria coscienza (atei militanti, agnostici, indifferenti,
fautori della cosiddetta “morte di Dio”…), perde immediatamente anche la coscienza
del peccato. Anche se parla di “peccato”, tutt’al più ne offre una comprensione
psicologica: lo intende come senso o sentimento di colpa”; ma qui
siamo lontani dal significato che il credente attribuisce a questo termine!
A questo proposito, papa
Benedetto ha scritto: «Come quando si nasconde il sole, spariscono le ombre (l’ombra
appare solo se c’è il sole), così l’eclissi di Dio comporta necessariamente
l’eclissi del peccato. Perciò il senso del peccato si acquista
riscoprendo il senso di Dio. Lo esprime il Salmo Miserere,
attribuito al re Davide in occasione del suo duplice peccato di adulterio e di
omicidio: "Contro di te – dice Davide rivolgendosi a Dio – contro te solo
ho peccato"».
Ecco dunque indicata la via
da percorrere: se vogliamo che il nostro Dio di misericordia ci risani dalla
nostra condizione di figli peccatori e bisognosi di guarigione, occorre che con
un umile atto di fiducia ci consegniamo al suo amore e ci lasciamo guidare
dalla sua Parola, perché è proprio questa Parola che, accolta nella fede, ci
rivela la vera natura del peccato. Soffermiamoci dunque su quanto essa dice
riguardo al peccato.
In via generale, l’AT intende
“peccato” non solo come trasgressione di una norma, ma come “ribellione
e infedeltà” all’alleanza stabilita da Dio con Israele, un’azione non riuscita,
una strada o una direzione sbagliata, un venir meno, un perdere, una delusione
per non aver raggiunto la meta buona che si desiderava… In questa condizione il
peccatore (popolo o singolo individuo) appare come un essere mancato e
deluso, sia nei confronti di Dio (che resta deluso anch’egli dalla sua
creatura), sia nei confronti di se stesso. Come dire: il peccato delude Dio
e delude l’uomo.
Sostiamo brevemente sul Salmo
51, indicato come preghiera di pentimento che il re Davide rivolge a Dio, dopo
la “carognata” compiuta nei confronti di Uria.
3 Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
4 Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
5 Sì, le mie iniquità io le
riconosco,
il mio peccato mi sta sempre
dinanzi.
6 Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi
occhi, io l’ho fatto:
così sei giusto nella tua sentenza,
sei retto nel tuo giudizio.
7 Ecco, nella colpa io sono
nato,
nel peccato mi ha concepito mia
madre. […]
11 Distogli
lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
Questo salmo presenta il
peccato contro Uria come offesa fatta a Dio (“Contro te, contro te solo ho
peccato”); perciò il perdono va chiesto primariamente a lui.
Contiene anche l’idea che il
peccato è talmente radicato nella vita dell’uomo, sin dalla nascita, e radicato
nella sua storia, sin dall’inizio dei tempi, che soltanto Dio può salvarlo.
Perciò, il perdono non basta; occorre che l’uomo sia trasformato in profondità in
tutto il proprio essere, spirito anima e corpo, sentire e agire. È quanto chiamiamo
comunemente con conversione, o nuova creazione.
Il libro della Genesi (capitolo
3,1-24) da parte sua ci un altro elemento per la comprensione del
peccato.
Il serpente era il più astuto di tutti gli
animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha
detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna
al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma
del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete
mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse
alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne
mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene
e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole
agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne
mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò.
Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi;
intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture… (Gen 3,1ss).
Questo è un racconto sapienziale che pone
all’inizio dei tempi quello che è l’esperienza comune dello scrittore biblico e
del suo popolo. Per sommi capi, questo testo ci dice che:
1. Il male viene dall’uomo,
non da Dio. È l’uomo che, storicamente, ha usato male la propria libertà per
rendersi autonomo da Dio. Conseguentemente, è l’uomo che dovrà vigilare contro
la possibilità di tradire Dio e dovrà opporsi con lo Spirito del Signore e con tutti
i mezzi della grazia al
male che ha introdotto nel mondo.
Questa riflessione di Genesi sul peccato degli inizi è
interessante: non è un atto di accusa all’uomo “che ha disobbedito” (come
troppe volte dichiariamo), bensì è un richiamo a porre la nostra attenzione
all’azione di Dio, il quale non agisce per vendetta, ma partecipa benevolmente
alla sofferenza della sua creatura e, come una madre di fronte al figlio
ferito, gli presta i primi soccorsi! Per il nostro Dio la salvezza dell’uomo ha
sempre la precedenza.
2. Il peccato originale che i
progenitori ci lasciano in eredità non è considerato come il primo peccato o
come la causa di tutti gli altri, bensì come il modello di ogni altro peccato. In quanto
modello, è un peccato incompleto: manca in esso la nostra scelta libera; sarà
perciò portato a compimento dai singoli peccati degli uomini, i quali ne
ripeteranno i tratti fondamentali. Questi tratti consistono principalmente in
un atto di sfiducia nella bontà di Dio, nel ritenere che Dio imponga
la sua legge per impedire all’uomo di diventare simile a lui. Facciamo
attenzione all’opera del serpente e alla sua abilità a distorcere l’immagine di
Dio. Lo presenta infatti come:
-
un dio che comanda/ordina in assoluto: “nessun
albero”…
-
un dio che dice falsità: “dice che morirete, ma
non morirete affatto”
-
un dio che vuol salvare i propri privilegi e
teme che l’uomo “diventerete come dio, conoscendo il bene e il male”
Inoltre, fa di tutto per rendere
allettante la tentazione… Con tutto ciò, il serpente alimenta nell’uomo il suo
desiderio di autonomia e il desiderio di sapere, ma suscita anche diffidenza e
sfiducia nei confronti di Dio, spingendolo, così, ad agire a prescindere dalla
sua Parola.
3. Il peccato ha una dimensione sociale. Anche
il più segreto non resta mai del tutto chiuso nel cuore dell’uomo. Nessun
peccato è mai esclusivamente “privato”, ce lo ricorda papa Benedetto XVI:
«Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo» (Spe salvi, 48). Tende perciò a
trasformarsi in abitudini, costumi, mentalità, culture e strutture sociali. Ogni
uomo che nasce alla vita rimane avviluppato in questo ambiente corrotto e non
trova più la forza per uscirne. Il peccato è un’eredità che crea storia.
Potremmo esclamare con san Paolo: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo
di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (Rm
7,24s). Solo lui ci salva.
Questi due testi della Bibbia sono
importanti, ma non unici, e vanno integrati con tutto l’insegnamento biblico –
che è obbligo, qui, riassumere in estrema sintesi.
Il senso del peccato diventa chiaro solo alla
luce della rivelazione di Dio e all’interno di un’autentica esperienza di fede.
Perciò:
1. Occorre incontrarsi con il Dio dell’alleanza
e della misericordia e fare esperienza della sua fedeltà e della sua giustizia
che egli riversa su di noi con il perdono (cf. 1Gv 5,ss). Solo di fronte a questo
Dio arriviamo a scoprire la vera natura del peccato.
2. Il peccato si rivela come una
difformità che non scorgiamo semplicemente confrontandoci con noi stessi o con
una nostra idea di Dio, bensì con quel Dio che usa misericordia e che
abbiamo imparato a conoscere credendo in Gesù.
Siamo stati creati a immagine e
somiglianza del Figlio di Dio, vero Dio e vero Uomo, perciò dobbiamo
confrontarci con lui, che è l’immagine divina per eccellenza. Da questo confronto
emergerà l’accordo o il disaccordo tra noi e l’immagine di Dio. Chi pretende di
chiudersi in se stesso, nella propria autosufficienza, per scoprire il proprio
peccato, si illude – gli accade di operare come il malvagio che, non vedendo il
male che è nel suo cuore
«s’illude con se stesso, davanti ai
suoi occhi,
nel non trovare la sua colpa e
odiarla» (Sal 36,3).
3. In forza dell’alleanza con cui Dio
lega a sé Israele e dell’Incarnazione del Figlio di Dio, anche se la forza
distruttiva del peccato pare essere una potenza “orizzontale” sempre più dominante
sulle vicende umane, il peccato viene smascherato nella sua realtà “verticale”:
è radicalmente contro Dio anche quando sembra solo contro l’uomo. Corrompendo,
infatti, l’immagine di Dio che è l’uomo, offende Dio stesso.
Qualsiasi azione contro l’uomo o contro
le creature si ripercuote su Cristo, il quale ha assunto la nostra carne e
quindi si è fatto “raggiungibile” dal nostro peccato. In altri termini, il
peccato è contro Dio in Cristo.
4.
Ma il peccato è anche contro l’uomo, poiché lo conduce alla separazione dalla
comunione con Dio, cioè alla morte fisica e spirituale.
-
Porta con sé la distruzione e il castigo.
Quando si parla di castigo occorre capirsi bene. Dio dà delle opportunità;
perderle è il nostro castigo. Nella parabola del padre misericordioso (Lc 15),
il figlio minore ha perso l’eredità. Questo è il suo castigo, perché dovrà
farne senza. Il servo fannullone (Mt 25) ha perso l’occasione di far fruttare
il talento; il suo castigo è che da ora dovrà farne senza… Le azioni umane
portano in sé la loro ricompensa o il loro castigo, portano l’uomo lontano da
Dio e da se stesso, immagine di Dio. Il castigo è sempre in vista della salvezza
(non è una vendetta); è un gesto d’amore. La sofferenza è la situazione in cui
Dio si inserisce per risvegliare il peccatore e usare verso di lui misericordia.
-
Mortifica la vocazione dell’uomo e produce
infelicità.
-
La sofferenza, introdotta nel mondo per il
peccato degli inizi, non è semplicemente “il castigo per il male commesso”,
poiché essa non è causata solo dai
peccati. Potrebbe essere anche redentiva, quando, ad esempio, è trasformata in
un gesto d’amore, come ha fatto Gesù.
5. Stando al racconto della Genesi, il vero peccato dell’uomo non è stato
l’aver disubbidito a un comando di Dio, ma di aver creduto all’immagine
deformata di Dio proposta dal Tentatore (Gen 3), cioè all’immagine di un dio
antagonista invidioso dell’uomo, divieto invalicabile, datore di leggi non
contrattabili e arbitrarie. Questa deformazione ha dato origine all’incredulità, cioè alla convinzione che l’obbedienza al
Signore sia causa di degradazione della dignità umana. «Il male non fu
la volontà di essere come lui, ma la non-conoscenza di chi è lui, che condusse
a un uso negativo della libertà» (Fausti, Elogio
del nostro tempo, 91). Infatti, l’uomo già era stato creato “come immagine
di Dio”; ma egli ha voluto diventare un dio pensato arbitrariamente a propria
immagine. Di Dio ne ha fatto un idolo bello, buono e utile.
Seguendo questo modello, anche noi ci
costruiamo delle immagini di Dio. Queste possono essere vere soltanto se, e in quanto, corrispondono a ciò che Cristo
rivela; altrimenti sono idolatriche, perfettamente
corrispondenti a quella suggerita dal tentatore (cf. il mio libro Dio. Il silenzio e l’immagine).
A partire da queste veloci
osservazioni sulla natura del peccato secondo la Scrittura, ecco alcuni
elementi utili per la riflessione.
Il vero peccato non sono le
trasgressioni. Queste sono la manifestazione della presenza del peccato
nell’uomo. Il peccato sta dietro le trasgressioni, sta in profondità, le
origina. Per guarire o esserne liberati, occorre raggiungere questa realtà ed
eliminarla. Questo è possibile soltanto se ci si apre alla misericordia e al
perdono di Dio. Cristo, nella sua sapienza e nel suo amore per tutti, ha
consegnato alla sua Chiesa il sacramento della penitenza come “segno e mezzo”
che ci libera dal peccato e restaura in noi la comunione col Padre. Cristo è il
nostro vero medico!
La reale radice di ogni
peccato è l’idolatria nella quale precipita l’uomo quando rifiuta Dio. Mancando
la fede, l’uomo si crede autosufficiente, pretende d’essere come Dio e fare di
sé la misura del bene e del male. Dio viene avvertito come un impedimento alla propria
felicità, alla propria libertà, alla propria crescita. Persa la fiducia, l’uomo
comincia ad appoggiarsi a qualcosa fuori della parola di Dio: qualunque cosa
può servire da dio, quando Dio manca. In questo contesto, si potrebbe dire che
l’ateo vero non esiste: appena ci si libera di Dio, si apre la porta a
un’infinità di altri dèi. L’uomo si mette sempre alle dipendenza di un qualche
dio. Tutto sta a vedere se sceglie il Dio che esalta la sua vera libertà, o colui
che lo asservisce a sé…
Anche per l’evangelista
Giovanni il peccato è il rifiuto di Gesù. Lo rigetti? Ecco pronto chi vuol prenderne
il posto: «Pilato
disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”. Ma quelli gridarono: “Via! Via!
Crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?”. Risposero
i capi dei sacerdoti: “Non abbiamo altro re che Cesare”» (Gv 19,15).
Appunto!
La tentazione di farsi «come
Dio» è presente in ogni uomo – anche in quello religioso, quando ad esempio,
crede di essere giusto perché si dedica alla fanatica e puntigliosa osservanza
dei comandamenti e delle prescrizioni. In effetti, vuol essere giusto con le
sue sole forze. E questo non è altro che il tentativo orgoglioso dell’uomo di
sempre di dare la scalata al cielo…
Al termine di queste annotazioni,
potremmo raccogliere in una battuta quanto sinora esposto.
Peccato è tutto ciò che mortifica la misericordia
di Dio verso di noi e la misericordia che mettiamo in atto verso il nostro
prossimo e l’intero creato.
Solo mediante la fede possiamo acquistare
una coscienza retta del nostro peccato, poiché la fede ci rivela se la
nostra relazione con Dio è giusta o sbagliata e, allo stesso tempo, ci annuncia
anche la buona notizia della sua misericordia che si manifesta con il perdono e
la grazia della conversione. Coscienza del peccato e del perdono vanno dunque
di pari passo. Papa Francesco scrive: «Dinanzi
alla gravità del peccato,
Dio risponde con la pienezza
del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato,
e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona» (Misericordiae vultus, 3);
ed anche: Dio nostro Padre «non si dà mai per vinto fino a quando
non ha dissolto il peccato
e vinto il rifiuto, con la
compassione e la misericordia» (Misericordiae
vultus, 9). Così, l’uomo che ha fatto esperienza del peccato e della
misericordia di Dio scopre che l’immagine che si era fatta di un dio che gode
nel punire mortificare l’uomo peccatore era del tutto perversa.
Il cristiano è destinatario e portatore di
una buona notizia, sintetizzata nealle parole di Gesù: «Andate a imparare che
cosa vuol dire: Misericordia io voglio e
non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i
peccatori» (Mt 9,13), e: «Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si
converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di
conversione» (Lc 15,7).
Giustizia
e misericordia
Secondo Misericordiae vultus, 20-22
Giustizia e misericordia sono due
dimensioni di un’unica realtà.
Nella Scrittura la giustizia viene
concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio, ad
esempio, attraverso l’osservanza della legge. Da parte sua, Gesù ci insegna che
Dio dà a ciascuno misericordia e perdono secondo il suo bisogno. Egli ricerca i
peccatori per offrire loro perdono e salvezza.
Gesù promuove il primato della
misericordia; Paolo, da parte sua, afferma che non è l’osservanza della legge
che salva, ma la fede in Gesù. Perciò la giustizia di Dio è il suo perdono. Con
la misericordia Dio offre ai peccatori la possibilità di ravvedersi,
convertirsi e credere.
Chi dunque si oppone a questo dato
evangelico e pretende che Dio pareggi i conti col peccatore mediante un
adeguato castigo, dimentica la parola di Osea: «Sono Dio, non uomo!» (Os 11,8-9).
«Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come
tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non
basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di
distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il
perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al
contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine,
ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono.
Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore
dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia» (MV 21).