DOMENICA DI PASQUA                        24.04.2011

 

Atti 10,34.37-43

Lettera ai Colossesi 3,1-4

Vangelo secondo Giovanni 20,1-9

 

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 

Doveva risorgere

 

La fede della Chiesa e, in essa, del cristiano si regge se si apre alla luce della risurrezione di Gesù, altrimenti cade. Questo principio può spiegare (almeno in parte) il fenomeno, sempre più macroscopico, dell’affievolimento della fede in questa parte del mondo occidentale. Alla proclamazione della risurrezione di Gesù e, di conseguenza, della nostra risurrezione finale, molti si comportano come gli ateniesi che si erano riuniti sull’Areopago per ascoltare san Paolo: si mettono a sorridere, e tolgono il disturbo.

Tuttavia, questa difficoltà non è tipica del nostro tempo. Non possiamo prendercela con la modernità e con il suo codazzo di ideologie e di idolatrie, in particolare col secolarismo. È di ogni tempo, come già appare dal passo del Vangelo di Giovanni che leggiamo oggi. Maria Maddalena pensa che abbiano trafugato il cadavere del crocefisso; i due discepoli non hanno ancora “compreso le Scritture”. Non pensavano certo alla risurrezione – e avevano condiviso tre anni al seguito di Gesù!

D’altra parte, anche noi facciamo fatica a credere… perciò, cerchiamo almeno di chiarirci qualche punto.

Anzitutto, la risurrezione di Gesù non è un miracolo; è la conclusione logica della sua vita. Dio non opera normalmente attraverso i miracoli. Il Figlio di Dio che aveva assunto la nostra natura e condizione umana, e aveva condiviso la nostra esistenza interpretandola come “dono d’amore”, ha voluto amarci sino in fondo, entrando nella nostra stessa morte. Perciò, la risurrezione è la solenne proclamazione che il dono totale di sé è la via che ci spalanca le porte alla pienezza della vita.

Credere nel Figlio di Dio, vivere come lui, seguirlo per la sua stessa via della croce: questo ci fa partecipi della sua stessa risurrezione – e non soltanto alla fine dei tempi, ma a partire da ora, poiché sin d’ora la nostra umanità appartiene al Risorto, al Figlio di Dio.

Credere nella risurrezione del Crocefisso, allora, significa permettergli di risorgere nuovamente in ciascuno di noi. Se apriamo il nostro spirito alla speranza, allora la nostra esistenza non scivola più inesorabilmente verso la morte, che mira ad annullarci; al contrario, si dirige pazientemente e infallibilmente dalla morte alla vita. La risurrezione di Gesù diventa “nostra”, quando ci affidiamo al suo Spirito. Questi, infatti – come afferma il card. Martini – “risorge in tutti noi. Risorge ogni giorno, risorge quando preghiamo, quando ci comunichiamo mangiando il pane e bevendo il vino del Signore, quando risorgono in noi la carità e la speranza del futuro, quello terreno e quello extraterreno. La storia del mondo non sarebbe quella che è se la speranza non alimentasse i nostri sforzi e la carità non illuminasse la nostra vita quotidiana. La Risurrezione dello Spirito è la fiamma che spinge le ruote del mondo”.

La risurrezione non è un miracolo, è una necessità. E Cristo chiede solo questo: che troviamo il coraggio di tuffarci anche noi con lui nell’abisso della morte, accompagnati soltanto da quella fede nuda, non miracolistica, ma profondamente divina, che chiamiamo speranza.

P. Carlo