Domenica delle Palme                          01.04.2012

 

Isaia 50, 4-7

Lettera ai Filippesi 2,6-11

 

Passione secondo Marco (14,1­­-15,47):

Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire…

 

Il volto di Dio

 

La liturgia ci introduce nella Settimana Santa con il racconto dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme.

La gente acclama Gesù: “Osanna! Benedetto colui che viene! Benedetto il Regno che viene!...”, mentre Gesù avanza tra la folla seduto su un’umile cavalcatura. Colpisce il contrasto. Sembra uno scherzo, invece è la chiave di lettura che apre alla comprensione di tutto ciò che accadrà a partire da quel momento.

Alle attese trionfalistiche della gente, che ama sognare eroi, conquistatori e trionfatori, e dunque si aspetta un messia vincitore sui nemici di Israele, Gesù oppone una scelta di povertà e di mitezza. Atteggiamento orribile e insulso per chi coltiva sogni di gloria, a quei tempi come in tutti i tempi.

La sua scelta sembra dire: potete comprendere qualcosa del regno di Dio, che voi aspettate e invocate, solo se gettate lo sguardo del vostro cuore nell’abisso d’amore che sto riversando su di voi.

Per avviarci a questa comprensione, la liturgia fa seguire al racconto dell’entrata di Gesù in Gerusalemme l’immagine del “Servo del Signore”, tratta dal profeta Isaia. Questo servo dice: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori… non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi…”. Profezia della passione di Gesù, di questo re che cavalca un asinello e si avvia al trono della croce; profezia della com-passione di Dio che non si sottrae alle sofferenze più atroci per amore di ognuno di noi.

Poi, il racconto della passione, letta dal vangelo secondo Marco. Un testo sobrio, che merita di essere meditato in silenzio, a lungo. A questo racconto appongo solamente qualche sottolineatura.

Potremmo soffermarci sul volto di Cristo. È la sintesi della sua storia, è il volto umano di Dio. Un Dio che si rivela a noi che, in quanto uomini, non abbiamo occhi che possano vedere il “divino”. Il Dio visibile in Gesù non è soltanto, e principalmente, il volto del Bambino di Betlemme; è prima di tutto il volto del Crocifisso. Là, su quella croce, finalmente Dio si mostra in tutta la sua “gloria”: è un Dio che è passione e compassione per ogni uomo, un Dio che non esita ad affrontare la crudeltà umana e la morte per poter abbracciare tutti noi e donarci la pienezza della vita; è un Dio che perdona chi lo inchioda al legno e gli toglie la luce degli occhi, al fine di dargli la luce infinita, e non solo a lui, ma anche ad ogni uomo, a tutti gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo.

“Amare significa patire e appassionarsi – diceva sant’Agostino –. E chi ama di più si prepari a patire di più”. In tempi, come i nostri, dove “amare” è sempre più sinonimo di “godermela fin che mi va”, quelle parole, che rievocano il mistero di Cristo, rischiano di essere incomprensibili ai più. E questo è molto triste.

Il racconto della morte di Gesù si conclude con un’inaspettata professione di fede: è quella del centurione romano, l’ufficiale che comandava il plotone di esecuzione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio”, dice. Tutto era compiuto: il volere dei nemici di Gesù, il verdetto di Pilato, la missione del “Servo del Signore”. Ma a quel soldato, avvezzo al morire di nemici e commilitoni e condannati a morte, quell’uomo, quel Gesù che portava la scritta irrisoria “Questi è il re dei giudei”, deve essere apparso in una luce assolutamente nuova.

In quella morte ha visto Dio: morire in quel modo lo può soltanto un Dio. Non urla, non bestemmie, ma un amore versato goccia a goccia, su tutti, sulla Madre, sul discepolo, sui ladroni che morivano accanto a lui, su coloro che lo beffeggiavano sfidandolo a scendere dalla croce… su tutti faceva scendere il suo perdono.

Inaudito.

Solo un Dio sa consegnarsi alla morte per amore. E questo è già risurrezione.

 

P. Carlo