OFS Ferrara – Incontro del 08.2.2009 – San Francesco

 

Appunti di p. Carlo Dallari

 

 

IL REGNO DI DIO ATTRAVERSO IL SÌ DI MARIA

 

 

 

 

 

Gesù ci ha insegnato a chiedere al Padre «Venga il tuo Regno». Con questa semplice richiesta di fede riconosciamo che questo Regno è sempre dono: viene dal Padre come grazia sempre disponibile ma costantemente da realizzare, nella consapevolezza che, mentre il Regno di Dio sarà sempre «di Dio», le nostre attuazioni saranno sempre «dell’uomo»: ogni nostra possibile realizzazione sarà in ogni caso un regno segnato dalle ferite dei nostri limiti.

Tuttavia, quando i nostri progetti e i nostri tentativi di attuarlo saranno portati sotto il giudizio di Dio – e il giudizio di Dio sulla nostra umanità è la croce del Figlio suo Gesù Cristo – allora potrà esservi comunicazione tra il suo regno e le nostre attuazioni. In che senso? Nel senso che il Regno di Dio si offre come necessaria forza di conversione e di riforma per i nostri «regni», sempre limitati, sempre imperfetti e, dunque, sempre da trasformare.

Questa semplice verità ha conseguenze notevoli. Ad esempio, non potrà esservi identificazione tout court tra Regno di Dio e i regni dell’uomo, fossero pure, questi, realizzati dai credenti più illuminati, secondo i progetti più perfetti. «Il mio Regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Ancor più, il Regno di Dio non può essere o divenire una struttura sociale, politica, storica, in modo che si possa dire: «Eccolo qui», o «Eccolo là» (cf. Lc 17,21).

Se Gesù ci ha insegnato a chiedere «Venga il tuo Regno», vorrà dire che il nostro rapporto con questo Regno passa attraverso la nostra coscienza, il nostro cuore, le nostre scelte. È questo il luogo dove si gioca la verità delle nostre realizzazioni; è questo il luogo in cui Dio deve regnare. Estromesso da noi, Dio continuerà a regnare, ma le nostre opere non hanno più nulla a che fare con il suo Regno. E fuori di Dio, nulla ha più senso, nulla di duraturo si può costruire.

 

Se guardiamo a Maria possiamo scoprire il modo per corrispondere alla domanda che facciamo al Padre, il modo per concretizzare secondo verità nella nostra vita di credenti il rapporto con il Regno di Dio.

 

«31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,31-38.

 

L’angelo aveva preannunciato a Maria che il Figlio suo sarebbe stato “grande”, Dio gli avrebbe dato il trono di Davide suo padre ed egli avrebbe regnato per sempre su Israele. Un Messia regale, dunque, secondo la più pura tradizione biblica e secondo le attese del popolo.

Come ha inteso Maria quelle parole? In un senso che non lascia dubbi.

Poteva chiedere, come controparte per accettare di essere la madre del Messia, che il regno di Davide fosse ripristinato. Ne aveva il diritto. Luca riferisce, infatti, che Maria era sposa di un discendente della casa reale di Davide, e dunque beneficiario di antiche promesse. E Matteo, da parte sua, annette una certa importanza al particolare della discendenza davidica di Gesù; dopo aver collegato Gesù al re David mediante la genealogia, cita le parole del profeta Michea: “Da te, Betlemme, uscirà un capo che pascerà il mio popolo, Israele”. Tuttavia, Maria non avanza alcuna rivendicazione: non chiede regni, non gloria, non ricchezza e onori e potere per essere la Madre del Signore del mondo. Semplicemente, rimane l’umile “serva del Signore”. Questa è la sua risposta alla promessa riguardante la regalità del proprio Figlio. Una risposta fatta di adesione pronta e inequivocabile al Regno che fa la sua irruzione nel suo seno, nella sua vita, nella nostra umanità.

Maria, umile ancella di un Regno, il cui re affermerà: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27), come colui che non ha diritti, ma deve soltanto accettare le decisioni del padrone e fare quello che egli vuole.

 

In presenza del regno di Dio che si impianta nella nostra storia, Maria risponde con un atteggiamento di profonda povertà – povertà da intendersi secondo la tradizione dei “poveri del Signore”, di cui parla la Bibbia, o dei “poveri secondo lo spirito” che Gesù proclama beati: persone in cui prevale la disposizione interiore, umana e spirituale, a far posto a Dio nella propria vita. È con questa disponibilità che Maria riceve il Figlio di Dio, pronta ad amarlo, educarlo, accompagnarlo maternamente nella sua crescita umana, senza reclamare nulla per sé. È con questa disponibilità che Maria accoglie il regno di Dio.

 

 

Ecco la serva del Signore

 

Ecco una delle espressioni più belle di tutta la Scrittura.

Maria aveva già detto sì a Giuseppe (è stato il suo primo sì). Ora dice un altro sì, altrettanto convinto e gioioso, a Dio.

Lei è piena di grazia, ricolma del favore di Dio e, allo stesso tempo, il suo cuore è pieno d’amore per Giuseppe e per Dio:

 

-         In lei non si agita il conflitto, tanto meno la contraddizione.

-         Il suo, è un solo amore, totale.

-         Per questo motivo, la sua vita sarà piena, santa.

-         Una beatitudine anticipata, pur nei tempi lenti, silenziosi, dolorosi della vita…

 

“Serva”, cioè donna di fede: come gli uomini e le donne che, a partire da Abramo, hanno preparato la venuta di Cristo, e come quelli che ne hanno seguito le orme nel nuovo Popolo di Dio.

Per fede Maria ha scelto la via della povertà, condividendola con il Figlio; per fede ha seguito la via dell’umiltà, senza pretendere alcun privilegio; per fede ha affrontato i lunghi anni di silenzio accanto al Figlio che cresceva, senza rivendicare per lui il trono di Davide e per sé quello della regina-madre; per fede gli è stata accanto nell’ora dolorosa del venerdì santo; per fede ha sostenuto il grande silenzio del sabato santo, il silenzio del Padre e quello del Figlio custodito nel sepolcro; per fede ha saputo gioire dell’alba della risurrezione ed è rimasta accanto ai discepoli che attendevano lo Spirito promesso da Gesù...

 

Con il suo sì Maria ha spalancato a Dio le porte della nostra umanità e ha reso possibile l’incarnazione del Verbo / Figlio di Dio, ha reso possibile a Dio di venire ad abitare in noi e di cambiare il corso della nostra storia.

 

“Ecco la serva del Signore”.

Ecco la donna pienamente disponibile a lasciare spazio alla Parola, a permetterle di metter radici nella sua carne, nella carne della nostra umanità; a permetterle di  diventare vita della nostra vita.

 

Ecco la donna che, con la sua dichiarazione, compie il miracolo assoluto: quello di “piegare” Dio a diventare servo dell’uomo. Noi vorremmo avere Dio al nostro servizio; Maria ha sperimentato che l’unica via per realizzare questo desiderio è quello di permettere al sogno di Dio di realizzarsi. Questo sogno è bene espresso da san Paolo ai Filippesi (cap. 2): quello di farsi nostro servo, manifestarsi ai nostri occhi senza che noi moriamo, prenderci per mano e farci entrare nella sua casa.

 

Ecco. Con Maria

 

-         l’attesa di Dio è finita: ora può irrompere nel tempo;

-         ed anche l’attesa dell’uomo è finita: ora può accogliere Dio.

-         Ora l’uomo può donargli il proprio cuore nella fedeltà di tanti, piccoli sì quotidiani.

 

Dio non si merita, si accoglie.

Dove Dio arriva porta se stesso, porta vita.

La sua presenza non divide l’uomo in se stesso. Lo separa soltanto dal suo peccato.

Ricordiamoci che, in quanto creature e figli di Dio, siamo un dono di Dio per noi stessi e per i fratelli. Ognuno di noi siamo una Parola di Dio incarnata; una Parola unica e irrepetibile che Dio ha pronunciato una volta per tutte; una Parola che deve ritornare a lui dopo aver compiuto ciò per cui fu mandata (Isaia 55, 10ss.). La Parola che noi siamo (e anche quella che è stata seminata in noi), chiede di ritornare al Padre, destinatario ultimo di tutto il bene. Chiede di essere restituita come un talento fatto fruttare.

Anche noi siamo uomini e donne di fede, persone che lentamente stiamo imparando cosa significhi lasciarci catturare dall’amore di Dio.

Una fede che non è “credenza”, quanto piuttosto – come direbbe la Merini – “una mano che ti prende le viscere e ti fa partorire”.

Come Maria, anche noi, con il nostro sì diamo la possibilità a Dio di abitare in noi, nella casa in cui ama essere, e di continuare ad agire in mezzo a noi mediante la carne stessa della nostra umanità.

Così, siamo noi il suo cielo.

Con il nostro sì, anche noi diventiamo “madri di Cristo”. E lo siamo “quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio.” (FF 178/2).

 

Il nostro sì ci dice che il divino cresce non a prezzo della diminuzione dell’umano che è in noi, ma cresce assieme all’umano e nella misura in cui l’umano stesso matura.

Non è la tua mortificazione o il tuo cambiamento ciò che fa decidere a Dio di venire in te; piuttosto, è l’incontro con Dio che ti dona la capacità di cambiare la tua vita.

Un giorno, egli prende l’iniziativa. Dopo di che tu non sei più lo stesso.

 

Il tuo sì sarà vero nella misura in cui sarà la risposta al sì che prima Dio ha detto a te.

Attraverso questa via, la via del sì di Maria e del nostro sì, Dio radica il suo Regno nel nostro mondo.