OFS Ferrara – Incontro del 17.03.2007 – Corpus Domini

 

 

 

 

«Nostro»

ovvero: l’uomo fraterno

 

 

 

Gesù ci insegna chi sia veramente Dio per noi e chi siamo noi per lui: egli è il nostro Padre celeste e noi siamo i suoi figli amati. Scompare dalla nostra relazione con Dio il rapporto servo-padrone. Gesù stesso, il Figlio di Dio, diceva: “Non vi chiamo più servi, ma amici…”, e san Paolo scriveva: “Non avete ricevuto uno spirito da schiavi, ma da figli…”.(Rm 8,15-16). In comunione con Cristo ci è dato dunque di vivere in una nuova relazione con Dio. Questa nuova condizione implica non solo la nuova coscienza di noi stessi, ma anche e soprattutto un cambiamento radicale nei nostri rapporti con gli esseri umani e con il creato: siamo tutti fratelli.

Un cambiamento sostenuto anche dalla preghiera di Gesù: non solo ci insegna a rivolgerci a Dio col nome di Padre, ma a invocarlo come il Padre “nostro”. Se si volesse sottolineare il passaggio con una battuta, potremmo dire che, con Gesù, si passa dal “Dio mio” al “Padre nostro”. E la differenza non è di poco conto, anche se nella nostra preghiera personale, fatta con semplicità e amore, sopravvive ancora la prima dicitura.

 

La condizione di figli illumina la nostra vita di credenti e, come primo passo, ci fa prendere coscienza che non siamo soltanto oggetti creati (non siamo soltanto le “creature di Dio”), ma esistiamo per un atto d’amore: dal Padre gratuitamente e liberamente voluti, amati, accolti per noi stessi, così come siamo, come lo sono tutti i figli dell’amore. Per questa ragione, non consideriamo più il nostro Dio, in modo generico, come il «padre dell’umanità», ma come il «Padre di me, di te, di lui», un Padre che chiama ciascuno per nome e che ciascuno di noi può invocare, con tutta verità, «Padre mio!» o, come Gesù preferiva, «Papà mio!». Allo stesso tempo, però, diamo un nuovo significato a questo “mio”, un significato che supera la barriera dell’egoismo possessivo (come se si dicesse: egli appartiene a me), per approdare a un nuovo senso: noi apparteniamo a lui.

Questa consapevolezza di fede ci spinge in modo naturale verso i nostri simili, visti ora come figli dello stesso Padre nostro, figli che portano in se stessi l’immagine del volto del Padre, figli che hanno in se stessi il luogo dove il Padre abita.

Il possessivo «nostro» esprime dunque il rapporto concreto e particolare che ciascun uomo ha con il Padre del cielo. Di conseguenza, il suo significato dovrà escludere ogni interpretazione in senso restrittivo, come quando si intende il “nostro” come riferito soltanto al “nostro gruppo” o anche alla “nostra Chiesa”. Il Padre è «nostro» perché lo è tanto dei nostri fratelli di fede, quanto di tutti gli altri uomini e donne che mai ne hanno sentito parlare o che credono in un altro dio.

Tutti personalmente apparteniamo a lui, e lui appartiene a tutti e ad ognuno. Senza differenze di persona.

 

Da questo Padre noi veniamo e a lui torniamo; non solo da lui abbiamo l’essere e la vita, ma la nostra stessa esistenza non ha senso se non viene vissuta nella sua luce e non trova in lui il suo porto ultimo.

Ora, viviamo da figli quando accogliamo gioiosamente questa dipendenza, rifiutando di farci padroni di noi stessi, dei nostri fratelli, del mondo, perché sarebbe la menzogna più grande. E viviamo da figli anche quando acconsentiamo alla sua autorità paterna, riconoscendo il Padre come l’origine di tutto ciò che di bene, di vero, di bello esiste. In quanto da lui tutto ciò proviene, è colui che può guidare con le sue leggi la nostra vita.

Se tutto sgorga dal suo amore, in quest’amore noi possiamo accettarne l’autorità e donargli  la nostra vita. Qui si cela la ragione profonda per cui Gesù ci ha insegnato ad amare Dio e il prossimo sopra ogni cosa.

Da parte nostra si esige dunque l’obbedienza: siamo sempre e comunque figli. Vivendo liberamente nell’amore obbediente si gode della libertà dei figli di Dio.

Quando dunque chiamiamo Dio Padre “nostro”, ci impegniamo ad assomigliargli, collaborando alla sua incessante comunicazione di vita all’umanità, e perciò ci impegniamo a divenire artefici e difensori della vita in tutte le sue forme ed espressioni, e a cimentarci nella sua stessa perfezione (cf. Mt 5,48: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”). La perfezione a cui invita Gesù è la pienezza dell’amore per l’umanità (cf. Lc 6,36), è la perfezione della paternità nel dono della vita e dell’amore. Siamo dunque sollecitati ad essere nel mondo l’immagine della paternità di Dio, a portare sul nostro volto il riflesso del volto del Padre, ad essere disposti a vivere un amore che non esclude nessuno, neanche il nemico.

Appunto perché Dio è Padre nostro noi possiamo riconoscerci tutti fratelli. Con questo Dio nessuna relazione individualistica è possibile. La relazione è sempre personale, aperta cioè al riconoscimento degli altri come “fratelli che il Padre ama come ama me” (cf. 1Gv 4,10).

Il Padre nostro, preghiera che crea fraternità

 

Il Padre nostro è la preghiera dei figli e dei fratelli; è la preghiera che coinvolge il Padre in favore di tutti. È la “preghiera fraterna” per eccellenza, quella che costruisce la famiglia dei figli di Dio. Crea comunione. Pregare Dio Padre chiamandolo “nostro”, infatti, è un invito e un impegno a fare unità con tutti gli altri fratelli (cf. Gv 17,21), a manifestare la paternità di Dio trattando gli altri da figli dello stesso Padre. Perciò chi lo prega costruisce la fraternità, e dal momento che lo prega assieme ai fratelli, confessa di appartenere ad una fraternità concreta, proiettata a dimensione universale, chiamata a divenire il “volto di Dio” nel mondo.

La fraternità che scaturisce da questa preghiera forma l’essenza stessa della Chiesa. È una fraternità che si basa non su un’idea, su usanze, su tradizioni, sull’interesse di un gruppo, su una fede qualsiasi o su qualcos’altro ancora; affonda le proprie radici soltanto nell’opera del Padre che agisce per il bene di tutti i suoi figli. La fraternità, nel suo mettere le radici nella nostra storia, rivela al mondo la Chiesa come famiglia dei figli di Dio, una comunione di vita che è obbedienza filiale al Padre e amore condiviso con i fratelli, nella gratuità e nella reciprocità. Questa fraternità degli uomini manifesta la paternità di Dio (1Gv 4,12).

 

San Francesco

 

La “fraternità” è una realtà dinamica, sempre da riscoprire e da reinventare nelle concrete e sempre nuove situazioni di vita della nostra esistenza. Non basta infatti sapere che siamo tutti figli di Dio; occorre liberare in noi la capacità di riconoscersi fratelli diventando il prossimo gli uni degli altri, custodi del fratello, responsabili nei suoi confronti, capaci di dono e di salvezza. Come Cristo lo è stato per noi.

Per questo motivo noi francescani sentiamo la necessità di ritornare sempre all’ispirazione e al carisma che hanno guidato san Francesco. Vogliamo ispirarci a lui, vogliamo imparare da lui a realizzare questa esigenza profonda che sgorga da Cristo e che facciamo nostra ogni volta che preghiamo col Padre nostro.

 

Francesco arriva alla scoperta di Dio come Padre perché guidato animato dallo Spirito del Signore, che è essenzialmente lo “Spirito del Figlio”, quello Spirito che lo unisce a Cristo e unisce Cristo a lui in un reciproco dimorare l’uno nell’altro, che costituisce il mistero dell’esperienza mistica di Francesco.

Riconoscendosi figlio di Dio in Cristo, Francesco viene a trovarsi nella condizione ottimale per riconoscere gli altri uomini come fratelli di Cristo e fratelli suoi. Questo notiamo, costantemente, a partire dallo spogliamento delle vesti sino alla fine. Possiamo allora intuire come sulle sue labbra il possessivo “nostro” assuma un significato nuovo: poiché tutti dimoriamo e viviamo immersi nel mondo del Figlio di Dio, tutti siamo legati tra noi in una fraternità che ha per confini il mondo intero, una fraternità universale.

 

Cosa intende Francesco con fraternità? Negli Scritti, questo termine viene sempre utilizzato per indicare il gruppo dei frati. Noi, oggi, lo utilizziamo normalmente con un significato diverso: quello di attitudine fraterna nei confronti degli altri. Ora, questo significato è presente, e abbondantemente, negli Scritti; solo che occorre fare attenzione a quanto Francesco dice utilizzando altri termini, quali: fratello, amore, amare, servire… e simili.

Anche ad uno sguardo veloce appare che Francesco, a partire dall’incontro con il lebbroso, ai primi compagni e sino alla crisi con i suoi frati, negli ultimi anni di esistenza, vive la propria esistenza in rapporto con gli altri.

I tantissimi episodi che testimoniano questa proiezione verso i fratelli ed anche il suo costante insegnamento, fanno emergere una particolarità: egli vive lo spirito di fraternità come conseguenza del suo rapporto con Dio Padre. Egli vede i fratelli come dono del Padre, il quale glieli dona senza che Francesco li abbia cercati o chiesti. Perciò sono per lui segno della volontà del Padre: il Padre vuole che Francesco espanda in questo mondo il buon profumo della fraternità, come era accaduto agli apostoli agli inizi della Chiesa.

Proprio a causa di questo modo di considerare le cose, il fratello è per Francesco segno della presenza di Dio in mezzo a noi, è sacramento di Dio. Questa convinzione lo sorregge specialmente negli ultimi anni di vita, nei quali la crisi con i frati si fa più acuta e dolorosa. Ne abbiamo un’eco nel famoso racconto della Perfetta letizia.

 

Sulla fraternità

 

Per accostarci al tema della fraternità in san Francesco, più che una riflessione teorica è utile rileggere  qualcuno dei numerosi passi dei suoi Scritti, nei quali egli riversa la sua intuizione di fraternità. Prendiamo, come esempio, un testo tratto dalla Regola non bollata.

 

«E a lui ricorriamo come al pastore e al vescovo delle anime nostre, il quale dice: “lo sono il buon Pastore, che pascolo le mie pecore e do la mia vita per le mie pecore”. “Voi siete tutti fratelli. Non vogliate chiamare nessuno padre vostro sulla terra, perché uno solo è il vostro Padre, quello che è nei cieli. Né fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro maestro, che è nei cieli, [Cristo]”. “Se rimarrete in me e rimarranno in voi le mie parole, doman­derete quel che vorrete e vi sarà fatto. Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, ci sono io in mezzo a loro. Ecco, io sono con voi fino alla fine dei seco­li. Le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Io sono la via, la verità e la vita”» (Rnb 22,32-40: FF 61).

 

Come possiamo constatare sono un insieme di citazioni evangeliche, ma organizzate da Francesco per farle parlare in un modo nuovo. I punti emergenti sono:

 

-         Al centro c’è Cristo, il quale

-         Ama fino alla morte.

-         Noi siamo radunati da lui e attorno a lui

-         Per formare una comunità di uguali

-         Che hanno solo Dio per Padre e solo Cristo per Maestro

-         E tra loro sono tutti fratelli.

 

Francesco fa parlare la Parola di Dio e la pone come regola di vita. Estrapolando da altri suoi scritti, possiamo aggiungere, a queste, altre sottolineature.

 

-         La legge della fraternità è l’amore: Rnb 11,5: FF 37; 2Lf 26-27: FF 190; Pater 5: FF 270.

-         Si predica l’amore di Dio non a parole, ma attraverso le opere; è la “predica della fraternità francescana” che annuncia vivendo: Rnb 11,6: FF 37; Rnb 4,4: FF 13.

-         Amando il prossimo: i fratelli vicini, prima di tutto, con amore materno: Rnb 9,10-11: FF 32; Rb 6,8: FF 91.

-         Non è un amore idilliaco o platonico. Francesco conosce le difficoltà che si incontrano nella vita di fraternità. Le Ammonizioni, in particolare, si soffermano proprio su questo aspetto: Am 3: FF 148-151; 8: FF 157; 14: FF 163; 17: FF 166; 18: FF 167-168.

-         Il grado supremo dell’amore è quello verso i nemici: Rb 10,10: FF 104; Rnb 23,8: FF 69; Pater 8: FF 273.

-         Un amore che travalica i confini della fraternità: Rnb 7,14: FF 40; Rnb 16,1-6: FF 42-43.

-         La benevolenza, lo sguardo positivo, la disposizione a fare del bene, il servizio non devono mai venire meno, neanche di fronte al brigante e all’infedele: Rnb 11,1-11: FF 37.

 

Possiamo limitarci a questi passi. Per altri riferimenti rimando al riquadro più avanti.

 

Come conclusione

 

Vorrei trarre soltanto qualche conseguenza dalle sottolineature fatte.

 

La fraternità è seconda

 

La fraternità, nella vita francescana, è seconda: il primato appartiene alla relazione con Dio Padre. La fraternità nasce dal riconoscersi tutti figli del Padre celeste e fratelli tra di noi.

Nella vita di fraternità è dunque necessario che al primo posto sia il cuore sempre rivolto all’unico Padre, all’unico Maestro e Signore, all’unico Spirito.

Emerge evidentissimo lo spirito che deve animare la vita di fraternità: l’umiltà, che altro non è che l’accettazione della povertà dell’essere. Se tutto appartiene a Dio, compreso noi stessi; se tutto siamo chiamati a restituirgli senza impossessarci di nulla, allora anche il nostro stesso essere non ci appartiene più e dobbiamo farne dono al Padre, mediante il dono al fratello.

“Essere dono”: mediante la presenza fraterna, gratuita, portatrice di pace e gioia. Farsi presenti gli uni agli altri come Cristo è presente fra noi. Farsi presenti con amore non soltanto fraterno, ma «materno», cioè con tenerezza, poiché noi stessi l’abbiamo attinto e accolto dal Padre, fonte dell’amore e della tenerezza.

 

La fraternità è universale

 

La fraternità, concretamente intesa, è vera quando non si racchiude nel recinto del piccolo gruppo, ma viene vissuta nella sua necessaria dimensione universale.

Necessaria, poiché la fonte della fraternità è Dio, che in sé stesso è relazione di Persone unite nell’amore della Trinità. Egli ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza. Ciò significa che anche l’uomo è persona, essere in relazione con l’altro: con Dio e con i propri simili.

Per noi, persone e figli di Dio, la relazione costituisce l’essere, non il mezzo. Nella relazione, infatti, è coinvolto non soltanto lo spirito (che è per essenza relazione, perché amore), ma anche il corpo.

Voler essere troppo «spiritualisti» si diventa disincarnati e ci si salva soltanto a metà, cioè non ci si salva per nulla, poiché nella salvezza vale la legge del o tutto o niente.

Nella relazione, l’uomo scopre che non è un’isola, ma un arcipelago, un mondo.

La relazione che Cristo ci propone e alla quale ci apre è quella dell’essere figli di Dio, fratelli del Figlio, fratelli tra noi, fratelli di tutte le creature.

 

La fraternità è basata sulla reciprocità

 

È una forma di convivenza basata sull’ “invicem: l’un l’altro”, secondo la parola del Signore che invita a lavarsi i piedi gli uni gli altri. La fraternità, infatti, deve ripetere nella sua struttura sociale quella forma di convivenza che è frutto del prenderci cura del fratello come la madre del proprio figlio. In questa fraternità concreta, il fratello è costituito responsabile dell’altro. La sua attuazione viene a costituire come l’ossigeno e il clima che rende possibile il libero espandersi dei singoli nella loro vocazione personale, per sé diversificata e irriducibile.

 

La fraternità è grazia di partenza

 

In questa prospettiva la fraternità, che è certamente frutto di un modo nuovo di vivere le relazioni reciproche e punto di arrivo di un lungo cammino di conversione, è anche e soprattutto il punto di partenza per realizzare la sequela di Cristo. È punto di partenza poiché è essenzialmente grazia, dono di Dio, sul quale soltanto ci è dato di costruire con sicurezza la casa della nostra esistenza cristiana.

Ed è grazia di partenza anche la fraternità intesa come luogo (nel senso appunto in cui l’intende Francesco), poiché è lì che noi viviamo la comunione nella quale opera lo Spirito del Signore, luogo nel quale diamo concretamente il nostro contributo alla crescita della fraternità stessa.

È lì che “ripariamo la Chiesa” e facciamo esperienza della profonda verità delle ultime parole di Francesco: “Io ho fatto la mia parte. La vostra ve l’insegni Cristo”.

 

 

 


Sullo spirito di fraternità

 

 

Per approfondire il tema della fraternità leggere i passi seguenti:

 

- L’uomo fraterno:

+ Rnb 22,32-40: FF 61.

+ Rnb 11,5-6: FF 37.

+ 2Lf 26-27: FF 190.

+ Pater 5: FF 270.

+ Rnb 4,4  e  9,11: FF 13. 32.

+ Rnb 11,1-11: FF 36-37.

 

- Servizio alla fraternità universale:

+ Reg OFS 13

 

- Accoglienza: «accolgano tutti... come dono del Signore»

+ «Il Signore mi diede dei fratelli»: Test 14: FF 116.

+ Gv 17,6: «Erano tuoi… li hai dati a me»: Rnb 22,42ss: FF 62.

+ Dio è Padre di tutti e tutti sono figli nel Figlio

+ Tutti portano scolpita in sé l’immagine, il volto del Figlio

+ Accogliere il fratello significa imitare Cristo che si è fatto nostro Prossimo.

 

- Per accogliere, occorre lasciarsi convertire all’amore:

+ Test 1-3: FF 110: la capacità di accoglienza nasce da un cuore aperto alla misericordia e da occhi illuminati dalla grazia.

+ Il muro di estraneità cade quando assumiamo la regola d’oro evangelica: «Tutto quanto desiderate gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo agli altri» (cf. Mt 7,12). Francesco traduce: Chiedi a te stesso come vorresti essere accolto, servito, perdonato, e dalla tua attesa impara come accogliere e servire il fratello. Trasforma l’attesa in capacità di dono.

+ Nell’amore materno Francesco scopre oblatività e concretezza esemplare (cf. Rnb 9,11: FF 32). Il modello è sempre Cristo che si è fatto servo di tutti. Francesco traduce: i fratelli si obbediscano vicendevolmente (Rnb 5,14-15: FF 20).

+ Accogliere con bontà chiunque venga a noi (Rnb 7,14: FF 26).

+ Servi di ogni creatura: mettersi alla pari per servire (Rnb 7,13: FF 26. Cf. i ladroni di Monte Casale: Compilatio Assisiensis 103: FF 1669; Spec 66: FF 1759).

+ Restituire a ogni uomo la sua dignità, come Cristo ha fatto con noi.

 

- Responsabilità nella costruzione della casa comune (Reg OFS 14)

+ «Costruire un mondo più fraterno ed evangelico»:

+ Diventare «esperti in umanità», per lavorare assieme agli altri uomini nella costruzione del mondo più fraterno.

+ Essere coraggiosi e umili, consapevoli dei doni ricevuti, responsabili di fronte a Dio e al mondo, pronti sempre a restituire a Dio quanto da lui ricevuto.

+ Per costruire un mondo fraterno, vivendo in fraternità con gli uomini e le creature: mediante l’esercizio della riconciliazione, il costruire sempre nuovi patti di pace e di solidarietà, in spirito evangelico di servizio.