OFS Ferrara – Incontro del 16.12.2006 – San Francesco

 

 

Dio, «Padre del nostro Signore Gesù Cristo»

 

 

 

 

«Chi sei tu o Dio, e chi sono io?». Di fronte al mistero di Dio, «l’Altissimo, onnipotente, bon Signore», il cui santo Nome nessun uomo è degno di nominare (cf. Cant: FF 263 e Rnb 23: FF 66), Francesco anzitutto si pone nell’atteggiamento della più profonda adorazione, ed invita a conservare un umile e rispettoso silenzio.

Nella sua prima Ammonizione egli ci ricorda che 

 

«Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai visto Dio» (Am 1: FF 141).

Egli è «il Dio eterno e vivo, senza inizio e senza fine, immutabile, invisibile, inenarrabile, ineffabile, incomprensibile, insondabile, sublime, elevato» (Rnb 23: FF 71).

 

Ma se Dio è ineffabile, Francesco, grazie all’incarnazione del Figlio e alle segrete ispirazioni dello Spirito, ne ha intravisto qualche tratto.

Nei gesti e nelle parole di Gesù, Francesco scopre che Dio non è un monarca solitario, ma un mistero di relazioni d’amore tra persone vive: tra il «Padre nostro, Santissimo», il Figlio suo e lo Spirito Santo. Egli avverte che con il termine «Padre» tocchiamo il cuore stesso della rivelazione cristiana.

Questo sconvolge Francesco fin dalla sua conversione. Perciò, seguendo Cristo, egli scom­mette la sua vita e il suo avvenire sulla paternità di Dio.

 

Al senso del mistero di Dio Francesco era arrivato attraverso un processo interiore che affondava le radici negli anni della sua conversione, durante i quali aveva fatto la scoperta della paternità di Dio. C’è un episodio significativo. Un giorno fu citato in giudizio dal proprio padre, deciso a togliergli il diritto all’eredità. Giunto alla presenza del vescovo di Assisi, che doveva dirimere la questione, Francesco «non sopporta indugi o esitazioni; non aspetta né fa parole; ma, immediatamente, depone tutti i vestiti e li restituisce al padre. ... Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza”».[1]

In quegli anni, Francesco stava vivendo un passaggio cruciale nell’orientamento della sua vita, sempre alla ricerca, com’era, della propria realizzazione. In un primo tempo aveva inseguito sogni di gloria, sostenuto in ciò dal potere fornitogli dalla ricchezza paterna; in un secondo momento aveva seguito la via della generosità, mediante l’elemosina e le opere buone. Ma era ancora concentrato su se stesso, ancora ammalato di «protagonismo» (diremmo noi oggi). Ora stava risolvendosi alla rinuncia di ogni sicurezza umana mediante la scelta della povertà, stava decidendo di porre Dio al centro del proprio mondo… Stava compiendo il primo, vero e determinante passo verso la conversione: riconoscere la priorità dell’amore di Dio nella propria vita.

Il passo fu effettivamente compiuto con il gesto simbolico della spoliazione delle vesti e la rinuncia all’eredità paterna davanti al vescovo Guido di Assisi. Francesco si libera di ciò che rimanda alla sua condizione di figlio di Pietro Bernardone e indossa i panni della povertà di Cristo, segno del suo essere essenzialmente figlio di Dio. Stava intuendo senso e grandezza della paternità divina: che Dio è il Padre del Signore Gesù Cristo, di colui che gli si era rivelato nel lebbroso e che gli aveva parlato nel crocefisso di San Damiano; ed è anche il Padre di tutti gli uomini, in special modo dei poveri, l’unico tra le cui braccia valga la pena abbandonarsi senza esitazioni.

Il suo gesto esprime un atto di rottura con Pietro Bernardone, un padre che aveva dato corda ai desideri del figlio solo per ricavarne un tornaconto ai propri interessi commerciali. Francesco prende coscienza che la paternità di Dio si pone su un piano che non ha nulla a che vedere con la figura paterna che egli conosce.

Ma ad ogni strappo deve far seguito una riconciliazione. In ogni situazione di vita non ci si può limitare al momento negativo. È interessante notare come Francesco tenti di costruire la pacificazione con la figura paterna. Che l’abbia ricercata col cuore che gli sanguinava ne è segno ciò che accadde poco dopo l’episodio della spoliazione. Narrano i Tre compagni che, dopo l’abbandono della casa paterna, Francesco girava per le strade d’Assisi come un mendicante. Suo padre, per l’umiliazione e il dispiacere che provava al vederlo così malridotto, «lo copriva di maledizioni ogni volta che lo incontrava. Ma l’uomo di Dio, considerando le maledizioni paterne, si prese come padre un poverello disprezzato e gli disse: “Vieni con me, e ti darò parte delle elemosine che riceverò. Quando vedrai mio padre maledirmi, io ti dirò: Benedicimi, o padre! E tu farai su di me il segno della croce e mi benedirai al suo posto”. Mentre il povero lo benediceva così, l’uomo di Dio diceva a suo padre: “Non credi che Dio possa darmi un padre che mi benedica, contro le tue maledizioni?”».[2] Non è difficile sentire, dietro queste parole, l’inizio della Lettera di san Paolo agli Efesini: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef 1,3). Intuizione geniale di Francesco: il padre è «colui che benedice», che dice e fa il bene dei propri figli. Notiamo il suo tentativo di purificare l’immagine negativa di paternità, rappresentata da suo padre, mediante il recupero di un aspetto che appartiene in profondità ad ogni paternità: essere la fonte di ogni benedizione per i figli. Più del proprio padre carnale che lo maledice, il povero che lo benedice incarna l’immagine luminosa della paternità di Dio, di colui che, per eccellenza, è «il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene».

 

Il Padre negli Scritti

 

Pur essendo consapevole dell’assoluta trascendenza di Dio Padre, quando Francesco parla di Dio prova l’irresistibile necessità di celebrarne le lodi con una grande varietà di nomi ed appellativi (circa 86); necessità motivata dal fatto che solo Dio è il Sommo Bene, dal quale deriva all’uomo ogni bene.

Rivisitiamo brevemente i suoi Scritti per renderci conto della centralità della paternità di Dio nel suo pensiero e nella sua spiritualità.

 

Ci soffermiamo anzitutto sui Salmi.

Questi sono preghiere che egli compose utilizzando le parole stesse della Scrittura. Gran parte di questi salmi sono presentati come preghiera di Gesù, la preghiera del Figlio davanti al Padre; altri come la preghiera della Chiesa, che proclama le meraviglie che il Padre ha operato in Gesù. Il protagonista centrale è dunque il Padre. Basti qualche accenno.

 

-         Salmi 1 e 4: sono la preghiera accorata e fiduciosa di Gesù al Padre santo nell’imminenza della passione. Egli fonda la propria speranza sul solo sostegno del Padre. È una preghiera che rivela la relazione unica d’amore che lega il Padre e il Figlio, la grandezza e la santità del Padre.

-         Salmi 2 e 5: sono il grido d’angoscia di Gesù. “Tu sei il santissimo Padre mio”. È una richiesta di aiuto: il giusto perseguitato si rivolge con fiducia filiale e appassionata al Padre santissimo e potente.

-         Salmo 3: è un canto di liberazione, di lode, di ringraziamento a Dio Padre che ha manifestato la sua misericordia e la sua fedeltà.

-         Salmo 6: è un inno trionfale del crocefisso che ha vinto e che è stato glorificato dal Padre.

-         Salmo 7: alla voce di Cristo si aggiunge quella della Chiesa che invita all’esultanza per la glorificazione del suo Signore, operata dal Padre.

-         Gli altri Salmi: la voce della Chiesa si aggiunge a quella di Cristo in preghiera. Essa proclama le meraviglie che il Padre ha compiuto nel Figlio suo ed invita anche il creato a rallegrarsi con lei. Tutti questi Salmi hanno come sfondo la figura del Padre: egli è colui che ama esaudire il Figlio che a lui si rivolge.

 

Sono sufficienti questi pochi cenni per comprendere il senso del cammino di Francesco nella riscoperta del Padre. All’intuizione iniziale ha fatto seguito un approfondimento tale da poter affermare con tutta sicurezza che veramente egli ha posto il Padre al centro della propria vita.

 

Ritroviamo l’eco di questi temi in altri passi degli Scritti.

 

-         Tutto parte da lui e tutto a lui deve ritornare (Rnb: FF 63; Lf: FF 181-184).

-         Il Figlio e lo Spirito Santo partecipano all’opera del Padre e ne manifestano la gloria: fanno conoscere che tutto è del Padre (Rnb: FF 66).

-         Il tutto in un’interdipendenza d’amore, di dono, in una specie di “povertà divina”, per cui il Padre “si perde” nel Figlio e il Figlio nel Padre, mediante lo Spirito, colui che “crea lo spazio in Dio”. Nelle persone divine, nessuna ha qualcosa di proprio, se non la propria identità personale, che si caratterizza comunque per un essere-nel-dono.

-         Francesco indirizza al Padre le sue preghiere ed attribuisce al Padre nostro una grande importanza.

 

Se tutto inizia dal Padre, tutto ha in lui il suo punto di riferimento ultimo:

 

-         Al Padre ritorniamo seguendo le orme del Figlio suo prediletto, illuminati ed accesi dal fuoco dello Spirito santo.

-         Quanto da lui accogliamo, a lui deve fare ritorno mediante la restituzione.

-         Tutto deve essere accompagnato dalla gratitudine: che non è un semplice sentimento, ma l’umile segno che accettiamo l’opera di Dio in noi. La nostra deve essere la gratitudine propria dell’uomo ferito dal peccato, disperso e lontano dalla verità e dalla bontà creaturale, il quale riscopre lo splendore della paternità di Dio, la gioia di essergli figlio nell’adesione d’amore a Cristo.

 

 

San Francesco parla del Padre in particolare quando si rivolge ai fedeli.

Ne abbiamo una testimonianza nella Regola non bollata (cap. 23) e nella Lettera ai Fedeli, che possono essere assunti come testi che trattano della vita cristiana perfetta. In entrambi troviamo importanti riferimenti al Padre.

 

 

 

a) Rnb: FF 60-61 / 2Lf: FF 187-188:

 

-         Occorre pregare ed adorare il Padre con cuore puro. Francesco esorta i suoi frati ad allontanare con decisione ogni impedimento a servire, amare, adorare e onorare sopra ogni altra cosa il Signore. Ciò al fine di costruire in se stessi una dimora al Signore Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo. Questa meta egli la propone anche a tutti i fedeli.

-         Nella preghiera che Cristo ci ha consegnato si condensa tutto il movimento del cuore: al Padre invisibile va infatti tutta la nostra adorazione in Spirito e Verità.

-         A partire da FF 62 Francesco utilizza la preghiera sacerdotale di Gv 17 (cf. anche 1 e 2Lf). Egli esorta ad aderire a Cristo che ci ha rivelato il Padre e prega il Padre per noi. Siamo qui posti con Gesù di fronte al Padre: nella lettura di Francesco troviamo il tema della glorificazione/manifestazione del Padre e del Figlio. Vi si afferma la supremazia del Padre, dal quale tutto proviene e al quale tutto ritorna. Il Figlio prega per i fratelli che il padre gli ha donato, affinché essi possano sempre usufruire del suo amore, siano custoditi e riconoscano lui stesso come il Figlio che il Padre ha inviato, affinché siano una cosa sola. Francesco propone dunque la relazione del Padre col Figlio (relazione di reverenza, attitudine sacerdotale, tenerezza) come centro di tutto e vertice del proprio cammino spirituale.

 

b) Rnb: FF 63-71:

 

-         È una preghiera a Dio ed una esortazione a tutti gli uomini.

-         È un’azione di grazie (vera preghiera eucaristica) al Padre, unica fonte della divinità e dell’opera nel tempo e nello spazio: per il suo essere, per la creazione, per l’opera redentrice ed il giudizio; una richiesta al Figlio e allo Spirito Santo, e un’altra a Maria, agli angeli e ai Santi. È la preghiera eucaristica che Francesco, identificandosi con i suoi fratelli, con la Chiesa e con il mondo intero, fa salire al Padre.

-         Un testo ricchissimo in cui il Padre è assoluto protagonista. Meriterebbe d’essere commentato passo per passo.

-         Conclude un appello agli uomini ad amare Dio, a non desiderare altri che lui, ad aderire a lui con fede, amore e adorazione. Condotta da Francesco, l’umanità intera scopre la Trinità di Dio e impara a dire “Padre”.

 

c) 2Lf: FF 180:

 

-         Francesco si rivolge a tutti i fedeli proponendo loro la perfetta via evangelica. La Parola di Dio che egli trasmette è una Parola che ha in Dio Padre la sua origine: il Padre pronuncia la sua Parola personale; questa si esprime attraverso parole che sono allo stesso tempo sue e dello Spirito.

-         Francesco propone una visione del disegno di Dio centrata su Cristo, ma che ha nel Padre il suo punto di partenza. Tra Padre e Figlio si intreccia un dialogo d’amore, in cui la volontà di salvezza del Padre trova piena corrispondenza nel Figlio, nonostante ciò abbia come conseguenza la morte crudele del Figlio stesso. Un accenno implicito, questo, al dolore del Padre?

-         Il Padre è colui nel quale il Figlio si abbandona nel modo più assoluto, certo della vittoria finale.

 

La prima conseguenza per il cristiano che si lascia attrarre da questo dialogo d’amore tra il Figlio e il Padre è l’inabitazione dello Spirito Santo.

 

-         La Rnb parlava di casa, dimora di Padre, Figlio e Spirito Santo in coloro che hanno mente e cuore puro. Questo tema si ripresenta in Lf; con una variante: qui si parla di dimora che lo Spirito Santo pone in coloro che sono fedeli alle esigenze evangeliche.

-         Lo Spirito santo abitando nei credenti li fa divenire figli del Padre celeste, sposi, fratelli e madri di Gesù.

-         Lo Spirito assiste i credenti nel compiere la volontà del Padre e così non solo li rende fratelli  di Gesù, ma li unisce in un vincolo sponsale, di appartenenza e di dono reciproco, al Figlio stesso e al Padre.

 

Questi pochi cenni sono sufficienti per renderci conto dell’importanza che ha assunto la paternità di Dio nella vita spirituale di san Francesco, e della ragione per cui egli la propone come vertice di perfezione per quella del cristiano.

 

-         La centralità della paternità divina nella vita spirituale del cristiano deriva dal fatto che Francesco ha una visione di Dio strettamente trinitaria. La Trinità è sorgente di partecipazione, di comunione, di vita relazionale. È il Figlio la via che ci conduce al Padre; ma per raggiungere Gesù abbiamo bisogno dello Spirito, che solo può farci discernere in Gesù il Figlio di Dio.

 

È interessante, a questo riguardo, l’Am 1 (FF 141-143), in cui Francesco esprime con profonda lucidità il cammino trinitario del credente: dallo Spirito a Cristo, e da Cristo al Padre. In questo contesto possiamo rileggere anche l’inizio della su «Preghiera sul Padre nostro»: “O santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro”.

 

Francesco chiama il Padre creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro. Poiché contempla la paternità di Dio non tanto in rapporto con l’uomo, quanto nel suo mistero trinitario, nella relazione con il Figlio, Francesco amplia l’invocazione al Padre, rivolgendosi a lui con titoli attribuibili a tutte e a ciascuna delle persone divine della santissima Trinità.

Noi siamo soliti distinguere il Padre come creatore, il Figlio come redentore e salvatore, lo Spirito come consolatore e santificatore. In realtà anche il Padre è redentore, consolatore, salvatore; anche il Figlio è creatore e consolatore; anche lo Spirito è creatore, redentore, salvatore. Francesco dunque riferisce in modo sintetico al Padre gli attributi propri del Figlio e dello Spirito.

 

-                Creatore: poiché ha fatto esplodere “all’esterno” il suo amore che tutto crea e a tutto dona la vita.

-                Redentore: poiché ci ama di un amore infinito e sin dall’eternità ci ha destinati per il suo Figlio. Francesco richiama sicuramente il passo di Isaia: “Tu, Signore, sei il nostro Padre, da sempre ti chiami nostro redentore (liberatore)” (Is 63,16).

-                Consolatore: poiché ha riversato nei nostri cuori il suo Spirito, affinché ci sia di guida nel cammino di figli di Dio.

-                Salvatore: poiché porterà a compimento ciò che ha iniziato in noi per pura sua sola grazia.

“Dio è tenerezza paterna perché ‘creatore’ e datore d’ogni vita, ‘redentore’ che ci ha riscattato con il suo sangue, ‘consolatore’ che ci conforta e ci guida alla pienezza della verità e al porto della salvezza” (Paolazzi).

 

 

-         L’uomo è fatto ad immagine di Dio comunione. Non siamo degli esseri chiusi in noi stessi; pur tra noi differenti siamo fatti l’uno per l’altro, chiamati ad una comunione d’amore, a trasmettere la vita ricevuta. Per questo facciamo esperienza della paternità e della maternità, della filiazione e della fraternità.

 

Certo, l’immagine del nostro padre terreno, che dovrebbe rimandare al Padre, è il più delle volte sbiadita, opaca, inesistente, contestata, tanto che non si sa fino a che punto possa realmente dirsi «immagine». Anche san Francesco arrivò a rifiutare la figura paterna, per essere veramente libero di poter esclamare nella verità: Padre nostro!, precorrendo in ciò quello che sarà il cammino del pensiero moderno, caratterizzato dal rifiuto del Padre, visto come l’immagine del potere e dell’autoritarismo, avvertito come ostacolo all’autonomia, alla libertà e dunque alla crescita.

Se il nostro padre terreno abdica al compito di essere immagine del Padre celeste, può certamente scadere in quelle forme di autoritarismo, ma perde anche il senso della propria paternità, che è quella di rimandare a quella di Dio, facendola scoprire ai figli. Anche il nostro Padre terreno è figlio di Dio, perciò è padre solo in modo relativo, cioè in quanto si relaziona (da immagine a realtà) con il Padre che è nei cieli. È  questa paternità che dovrà sempre guardare.

Riconoscere la paternità di Dio, e cioè che il Padre è la sorgente da cui tutto scaturisce grazie al suo amore, significa vivere fattivamente in questo amore.

 

-         Dio insegna che essere Padre è uscire da sé, donarsi, servire…

 

Perché anche noi dobbiamo essere servi, minori, lavarci i piedi gli uni gli altri, non dominare, ecc. se vogliamo incarnare la paternità di Dio.

 

-         Esiste un profondo rapporto tra paternità di Dio e il nostro vivere da figli e da fratelli.

 

Il Figlio comunica agli uomini il dono di essere figli (2Lf 48-53: FF 200). Noi siamo raggiunti da questa grazia: quando viviamo il Vangelo, con perseveranza, lo Spirito Santo ci trasforma in sua dimora, trasformandoci in figli di Dio. Solo mediante lo Spirito possiamo essere fratelli, sposi, madri del Figlio di Dio ed agire come lui.

Francesco fonda i valori della filiazione su relazioni che affondano nel mistero di Dio. In questo contesto la fraternità risulta avere il suo fondamento nell’essere costituiti per grazia figli di Dio Padre.

Senza alcuna esclusione, ogni essere umano è, in Cristo, nostro fratello e sorella da accogliere con benevolenza e da trattarsi come si conviene. Anche il creato, che non ha altra origine se non il cuore del Padre, viene trattato secondo questa nativa dignità filiale.

 

Conclusione

 

L’immagine del Padre che Francesco riflette è perfettamente evangelica. Per aver imitato fedelmente il Figlio e averlo seguito come via che conduce al Padre, egli ha scoperto che Dio non è un misterioso monarca solitario, ma è mistero di relazioni, e ha intuito che Dio non è più maschile che femminile, più padre che madre! 

Con la sua visione della paternità di Dio, Francesco ha cercato di contagiare il mondo e si è fatto promotore di nuovi rapporti all’interno della società del suo tempo. Di fronte ad una società proiettata verso le libertà comunali, ma fortemente gerarchizzata in ordines, egli ne accolse le aspirazioni, ma volle chiamare coloro che condividevano con lui intuizioni e scelte, col nome di fratres minores, fratelli minori, servi dell’uomo (perciò, non-maiores, non-padroni). Anche verso la gerarchia ecclesiastica si pose con rispetto per la loro dignità di ministri di Cristo, ma sempre nel segno della libertà.

Divenne così il creatore di una minorità fraterna. Farsi minori, cioè “servi di ogni creatura” (Rnb 16), con umiltà verso Dio e verso i fratelli, realizzata come modo di vita sociale.

In effetti, Francesco ha sistematicamente tradotto in rapporti sociali l’atteggiamento filiale di Gesù, che rifiuta di assumere il potere, il prestigio e la ricchezza quali criteri per adempiere la sua missione di Figlio di Dio, e centra tutto il suo operare sul servizio, sull’obbedienza e sulla povertà.

 

Siamo partiti con l’accenno al mistero di Dio, e su questo vogliamo concludere.

Come «vedere» Dio, se è in se stesso mistero? Francesco dice che Dio è Spirito e che, di conseguenza, la sua azione in noi e nel mondo segue la legge dello Spirito: «Dio non può essere visto che nello Spirito».

Ora, lo Spirito è nel mondo il raggio d’azione del Padre. Se lo accogliamo, diviene in noi fuoco bruciante, scompiglia le nostre abitudini e ci forza ad essere più coraggiosi nel prendere la parte dell’uomo e dell’evangelo. Ci trasforma ad immagine di Cristo, Figlio di Dio, e in noi grida «Abbà, Padre!». È lo Spirito che suscita in noi la fede e ci conduce alla scoperta di Dio come il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; egli ci fa prendere coscienza che, in lui, noi tutti siamo figli di Dio e fratelli tra di noi.

Così agisce in noi lo Spirito: attraverso la fede, illumina i nostri occhi e li guida a «vedere il Padre», cioè a leggere i segni della sua concreta presenza nella nostra vita. Così, noi impariamo a «vedere» il Padre ovunque ci sia un uomo in ricerca della verità; ovunque si tenti di obbedire alla retta coscienza, voce di Dio nel sacrario della persona umana; ovunque si rispetti la vita, dal suo nascere al suo naturale tramonto; ovunque si lotti contro la cupidigia o la cattiveria; ovunque un uomo rispetti la dignità di un altro uomo, rifiuti la menzogna e la violenza e a tutti riconosca l’identico diritto ad usufruire con giustizia dei beni della terra...

 

 

 

 



[1] Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda maggiore, II,4: FF 1043.

[2] Leggenda dei Tre compagni: FF 1423.