p. Carlo Dallari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con Francesco di fronte al mistero del Padre

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Appunti per gli incontri con le tre Fraternità

dell’Ordine Francescano Secolare

di Ferrara

 

 

 

 

 


OFS Ferrara – Incontro del 19.11.2006 – San Maurelio

 

 

 

 

 

Il Padre nostro. Introduzione

 

 

A ciascuno di noi, subito dopo aver ricevuto il battesimo, la Chiesa ha consegnato la preghiera di Gesù, il Padre nostro. Da quel momento, questa preghiera è diventata personalmente nostra: con essa entriamo in comunione con Dio, esprimiamo la nostra fede, ci riconosciamo fratelli tra di noi e scopriamo in ogni uomo un membro della vasta famiglia di Dio.

In forza di questa personale relazione, ognuno di noi sviluppa un rapporto particolare col Padre nostro, ha una storia da raccontare, ha riflessioni da proporre. Il tutto per confermarci nell’amore verso Dio, il Padre nostro che è nei cieli.

 

Per quel che mi riguarda.

Ricordo come fosse ieri. Soggiornavo sulle Dolomiti, occupato in lunghe passeggiate, alternate a escursioni un po’ più impegnative. Una sera, mi viene proposto di partecipare a un’ora di preghiera. Accetto, nonostante avessi scarpinato per sei-sette ore. Il sacerdote che conduce la celebrazione tiene la sua omelia e in me, pian piano, prende il sopravvento la stanchezza della camminata. Per una espressione del sacerdote, ascoltata un po’ in dormiveglia, avverto come un flash che mi sveglia di colpo, una luce interiore, un’intuizione: Dio è Padre nostro e san Francesco può aiutarmi a riscoprirlo. Certo, che Dio sia Padre non era una novità. Ma collocare il Padre al centro del mio interesse su Dio e pensare a san Francesco come guida sia per avvicinarmi al suo mistero, sia per approfondire il tema, questo era certamente qualcosa cui non avevo mai pensato.

La prima idea che balzò alla mente, mentre tentavo di trasformare l’intuizione in progetto, fu quella di seguire la Parafrasi del Padre nostro di Francesco, che saltuariamente utilizzavo come preghiera.

Dopo aver pubblicato Nel cuore del Padre, mi sono accorto – guardando a ritroso – che il tema dell’immagine di Dio e della paternità di Dio è stato una costante in tutta la riflessione seguente. Già presente in Nessuno sia lontano, ricerca sul tema della riconciliazione, è diventato più chiaro in Quando dici «Dio», sino a sfociare appunto nell’ultimo libro, che vuole essere un modesto contributo a far conoscere meglio Colui nel quale noi cristiani poniamo la nostra confidenza.

 

 

1. La preghiera di Gesù

 

 

Il Padre nostro è la preghiera dei figli di Dio

È la preghiera dei discepoli di Gesù.

 

Spesso i vangeli presentano Gesù in preghiera, in particolare nei momenti cruciali della sua missione: nei quaranta giorni passati nel deserto, all’inizio del suo ministero pubblico, durante la predicazione, quando sceglie gli apostoli, sul Tabor prima della Trasfigurazione e prima dell’annuncio della passione, quando insegna ai discepoli a pregare, quando prega per i discepoli, quando opera miracoli, prima della sua passione e, infine, sulla croce. La sua preghiera ha una particolarità: prega come Figlio. «E diceva: “Abbà, Padre mio!”» (Mc 14, 36).

Ben presto, il suo modo di pregare contagia i suoi discepoli e suscita in essi il desiderio di una preghiera che li distingua dai discepoli dei farisei e di Giovanni il Battista. Un giorno, essi gli chiedono apertamente: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Gesù non consegna loro una formula o delle riflessioni; li fa entrare nella sua preghiera, li ammaestra a rivolgersi al Padre e a domandare nel suo nome, fiduciosi che il Padre concederà loro qualunque cosa chiederanno. Li avvia, in questo modo, a scoprire il segreto della preghiera. Impareranno presto, tant’è vero che la prima comunità cristiana comincerà immediatamente a orientare la propria preghiera al Padre (e non genericamente a Dio), cosciente di compierla assieme al Figlio, l’unico sommo ed eterno sacerdote della nuova alleanza, e allo Spirito del Padre e del Figlio che, in essa e con essa, grida: «Abbà, Padre!».

 

Il PN ci arriva dai Vangeli in due redazioni:

 

 

 

Mt (traduzione CEI)

Mt (traduzione Chiese Italiane)

Lc (traduzione CEI)

 

Padre nostro che sei nei cieli

Padre nostro, che sei nei cieli,

Padre

sia santificato il tuo nome

sia santificato il tuo nome,

sia santificato il tuo nome

venga il tuo regno

venga il tuo regno,

venga il tuo regno;

sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.

sia fatta la tua volontà come in cielo anche in terra.

 

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

rimetti a noi i nostri debiti

e rimetti a noi i nostri debiti

E perdonaci i nostri peccati,

come noi li rimettiamo ai nostri debitori

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,

e non ci indurre in tentazione

e non indurci in tentazione

e non ci indurre in tentazione.

ma liberaci dal male.

ma liberaci dal Male.

 

 

Tuo è il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli.

Amen.

 

 

 

Nel Vangelo di Luca il Padre nostro precede una catechesi sulla preghiera, mentre nel Vangelo di Matteo è posto nel contesto del Discorso della Montagna, fra gli insegnamenti sulla autenticità della preghiera (cf. Mt 6, 9-13). Insegnando il Padre nostro ai discepoli, Gesù ha trasmesso loro una formula breve e densa di contenuti di fede e di vita che ha come chiave di comprensione la prima delle sue parole: «Padre», una parola che rivela il mistero della paternità del nostro Dio e la nostra dignità di figli suoi e fratelli gli uni degli altri.

Analizzando la versione dell’evangelista Matteo, vediamo che inizia con una fiduciosa invocazione al Padre celeste, nel quale siamo tutti fratelli. Seguono sette domande. In particolare, le prime tre chiedono quanto più sta a cuore al Padre: che tutti gli uomini lo riconoscano per ciò che è, che egli instauri la sua signoria in questo mondo e che porti a compimento la sua volontà nei nostri riguardi. Tutte insieme formano una «preghiera di unione»: con esse uniamo il nostro essere e i nostri intenti a quelli del Padre, affinché possiamo essere e agire in sintonia profonda con quell’unico disegno di amore che egli sta realizzando in noi e nella storia. Le quattro domande che seguono chiedono quanto più sta a cuore a noi stessi: il pane di ogni giorno, la remissione dei peccati, la liberazione dalla tentazione e dal male. Queste altre invocazioni, appartenenti al genere della «preghiera di intercessione», manifestano un desiderio preciso, il cui esaudimento è sostenuto dalla fiducia filiale che Cristo ci ha trasmesso.

La Chiesa, sin dagli inizi, consegna il Padre nostro a ogni suo figlio, al momento del battesimo, quale distintivo cristiano, programma di vita e modello di preghiera. Così facendo, ripone in lui un tesoro prezioso, dal momento che esso è Parola di Dio, una Parola «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio», capace di penetrare «fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla» e di scrutare «i sentimenti e i pensieri del cuore. Non v’è creatura che possa nascondersi davanti» ad essa (cf. Eb 4,12-13). Il Padre nostro è una Parola da custodire e meditare e pregare lungo tutta l’esistenza.

 

Il Padre nostro, quale preghiera propria dei cristiani, appartiene al «deposito della fede», trasmesso dalla Scrittura e dalla Tradizione. Fin dai primi giorni della vita della Chiesa è entrato a formar parte della fede professata e vissuta. Come testimonia la Didachè, esso era recitato dalle prime comunità cristiane tre volte al giorno, quasi come la loro professione di fede quotidiana. La sua spiegazione è stata percepita come necessaria «iniziazione» alla fede e alla vita dei nuovi cristiani. Già nel secolo IV, come testimoniano le catechesi battesimali, la preghiera del Signore era insegnata e spiegata nel suo profondo significato ai catecumeni o ai neofiti, prima o dopo il battesimo. La sua consegna ufficiale durante il catecumenato costituiva il momento della «traditio orationis dominicae», testimoniata già da Agostino, ed era preceduta da una articolata catechesi, in preparazione alla celebrazione del battesimo, quando per la prima volta i neofiti con tutto il diritto e l’audacia potevano chiamare Dio Padre, unendosi alla comunità dei fedeli. Ancora oggi nel Rituale della iniziazione cristiana degli adulti, il rito della «consegna» («traditio») del Padre nostro da parte della Chiesa e della posteriore «riconsegna» («redditio») da parte degli «illuminandi», forma parte del cammino battesimale e suppone una catechesi ed una interiorizzazione del senso e dei contenuti di quella preghiera che i cristiani «osiamo dire», specialmente durante la celebrazione eucaristica. Essa rinnova in noi la coscienza battesimale, al punto che in un sermone attribuito a S. Agostino, la proclamazione del Padre nostro viene designata come «il nostro battesimo quotidiano».

La tradizione cristiana, alla luce dello Spirito Santo, ha scoperto nelle parole del Signore ricchezze insondabili di fede e di vita. Agostino vedeva nel Padre nostro il culmine e il compendio di tutta la preghiera dell’Antico Testamento, specialmente della preghiera dei salmi. Tertulliano lo presentava come «la sintesi di tutto il Vangelo». San Tommaso lo definisce «preghiera perfettissima». Per Santa Teresa di Gesù il Padre nostro racchiude in sé «tutto il cammino della vita spirituale».

Si spiega così la grande quantità di commenti di valore teologico, spirituale e catechetico. Tertulliano ed Origene ci hanno offerto le primizie dell’esegesi spirituale nel contesto dei loro rispettivi trattati sulla preghiera. San Cipriano ci ha trasmesso nel De oratione dominica il primo commento dedicato appositamente alla preghiera del Signore. Cirillo di Gerusalemme e Teodoro di Mopsuestia, in Oriente, Ambrogio ed Agostino in Occidente, hanno inserito nelle catechesi sul battesimo e l’eucaristia una breve spiegazione di ciascuna delle parole del Padre nostro. Sono innumerevoli i commenti dei Padri alle versioni di Matteo e di Luca, presenti nella letteratura patristica di Oriente e di Occidente. Il Padre nostro ha avuto anche le sue glosse poetiche in autori antichi come in un inno di Ambrogio e, soprattutto, nel Carmen Paschale di Sedulio. Anche Dante ha inserito una sua elaborazione poetica nella Divina Commedia. Celebri sono il commento teologico di San Tommaso, e quello spirituale di Santa Teresa di Gesù nel Cammino di Perfezione, per citare solo alcuni dei commenti più conosciuti. Nell’epoca moderna la spiegazione del Padre nostro forma parte dei grandi Catechismi, dal Catechismus maior di San Pietro Canisio al Catechismo Romano di San Pio V, al recente Catechismo della Chiesa Cattolica.

In quest’ultimo testo, viene messo in luce il suo profilo trinitario: è preghiera del Signore Gesù, rivolta al Padre, animata e ricreata sempre dallo Spirito Santo. Inoltre, con brevi tratti, illustra il suo carattere ecclesiale, comunitario, liturgico, eucaristico ed escatologico, secondo la tradizione ed il sentire della Chiesa.

 

Joseph Ratzinger, allora cardinale, ha affermato che «la preghiera senza fede diviene cieca, la fede senza preghiera si disgrega». Il Padre nostro ha il merito di essere insieme fede pregata e preghiera intrisa di fede, speranza e amore. In questo modo la preghiera del Signore è una professione di fede, una sintesi della preghiera come supplica, lode ed intercessione, e costituisce anche l’impegno battesimale di una vita nuova.

 

 

2. Francesco, il «Santo del Pater noster»

 

Rimandando ai prossimi incontri l’approfondimento del rapporto di Francesco col «Santissimo Padre nostro», ci limitiamo a qualche considerazione generale.

 

Proprio per la sua pietà biblico-liturgica e per la sua sensibilità comunitaria ed ecclesiale, Francesco era predisposto ad accogliere con somma riverenza il comando di Gesù: «Voi dunque pregate così: Padre nostro... ». Predisposizione che segna in profondità tutta la sua vita spirituale, tanto da essere definito «il Santo del Pater noster » (padre Gemelli).

Quanto sé, Francesco «non si stanca di ripeterlo; ne sente l’intimo sapore, che l’abitudine diluisce od annulla alle anime superficiali; ne fa la sua meditazione e la sua arma; quasi non ammette che si possa pregare altrimenti. Dopo che Gesù ha dettato quelle parole, non gli par vero di sostituirle alle sue, come gli sembra necessario ed ottimo di sostituire la volontà del Maestro al proprio io, che è orgoglioso, instabile, egoista anche nella preghiera».

Quanto a noi, Francesco ci esorta a fare del Padre nostro la preghiera centrale della nostra vita cristiana, poiché in esso ci poniamo davanti a Dio come Gesù stesso.

Ai primi compagni, che «non conoscevano ancora l’ufficio liturgico» e gli chiedevano «con insistenza che insegnasse loro a pregare», egli proponeva il Padre nostro:

«In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l’ufficio li­turgico. Ed egli rispose: “Quando pregate, dite: Padre no­stro!”» (1Cel, 45: FF 399);

«Poiché camminavano con semplicità davanti a Dio e  con coraggio davanti agli uomini, in quel tempo meritarono i santi frati la grazia di una rivelazione soprannaturale. Animati dal fuoco dello Spirito Santo, pregavano cantando il «Pater noster» su una melodia religiosa, non solo nei momenti prescritti, ma ad ogni ora, perché non erano preoccupati dalle cure materiali» (ivi: FF 404).

 

Nelle due regole, Francesco riporta l’esperienza dei primi anni di vita con i compagni: fa del Padre nostro l’ufficio di preghiera per i fratelli non chierici (Rnb III: FF 9-11, e Rb III: FF 82-83). La stessa esortazione è ripetuta ai fedeli:

 

«Ed eleviamo a lui lodi e preghiere giorno e notte, dicendo: Padre nostro, che sei nei cieli, poiché bisogna che noi preghiamo sempre senza stancarci » (2Lf 21; FF 188).

 

Egli aveva capito che il cristiano non ha alternative: o pregare il Pater, o pregare nello spirito del Pater, se vuole che la sua preghiera approdi al cuore di Dio.

 

«Dalla frequentazione assidua dell’orazione dominicale è nata quella grande preghiera che viene chiamata Esposizione, o Commento, o Parafrasi del Padre nostro, mentre sarebbe più consono al testo definirla Preghiera di San Francesco sul Padre nostro, poiché è un Padre nostro pregato versetto per versetto, assaporato nelle sue pieghe segrete, allargato con le risonanze di preghiera che l’illuminazione interiore e la parola di Dio suggeriscono a Francesco, e Francesco offre a chi intenda pregare il Padre assieme a lui. Non dunque una spiegazione delle parole del Signore, ma un pregare che si dilata ad accogliere echi ed arricchimenti dall’intera parola di Dio, dalle preghiere liturgiche, dal cuore orante di Francesco» (Paolazzi).

 

«Per il Poverello, Dio è il Padre celeste, il Padre nei cieli, il Padre del cielo. È talmente Padre che la sua paternità è diventata la qualità essenziale per designare il mistero della sua persona. Questa coscienza viva dell’unica paternità di Dio, sorgente unica di vita, creatore e Padre, lo spinge a ripetere con insistenza l’insegnamento del Cristo stesso: “Non chiamate nessuno Padre sulla terra, perché ne avete uno solo, il Padre celeste” (cf. per esempio Rnb 22,33-35). Ma è prima di tutto e soprattutto il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, questo «Figlio carissimo» che lo rivela con la sua vita e con la sua preghiera: “Ti lodo Padre, Signore del cielo e della terra”, “Padre giusto e santo”. Espressione, questa, che Francesco cita più di venti volte nei suoi scritti. Ricordiamo che nel suo Ufficio della passione, sostituisce più di quindici volte il termine “Dio” (Dominus) nei versetti dei salmi utilizzati, con l’espressione «Padre mio». Il Cristo soltanto può dire in verità: “Tu sei mio Padre!”.

Anche Chiara usa spesso formule analoghe: “Nostro grande benefattore, il Padre delle misericordie”, “l’Altissimo Padre dei cieli”. Cristo è colui che svela chi è l’Abbà-Padre, così vicino all’uomo, ma anche l’Altro, il celeste, re del cielo e della terra. Francesco ricorda questi due aspetti inseparabili del mistero di Dio dicendo: “Padre nostro, Santissimo”» (Hubaut).