Solennità di Tutti i Santi                        1.11.2013

 

Apocalisse 7,2-4.9-14

Prima Lettera di san Giovanni 3,1-3

Vangelo secondo Matteo 5,1-12

 

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

 

Beatitudini, via alla felicità

 

Dovere primario del cristiano è realizzare in sé l’immagine vivente di Cristo. Per realizzare questo suo compito non è lasciato a sé: Gesù gli offre le beatitudini come via da seguire. Esse, infatti, parlano anzitutto di Gesù, lo descrivono da otto angolature diverse; perciò descrivono anche l’immagine di ogni vero cristiano, cioè del «santo».

Occorre dunque accogliere ogni beatitudine evangelica come Parola che illumina le diverse situazioni della nostra vita, Parola orienta nelle scelte, sostiene nelle fatiche, consola, apre alla speranza.

Allora, esse appariranno per ciò che sono: una sfida che Gesù lancia al mondo, affannosamente dedito alla ricerca di felicità; un mondo che confonde la felicità con il piacere, per il quale non bada a spese per impossessarsene, con risultati tutt’altro che esaltanti. La felicità sembra essere come la famosa pentola piena d’oro che la credulità popolare pensava fosse sepolta là dove l’arcobaleno tocca terra: inavvicinabile – come l’arcobaleno che, se tenti di raggiungerlo, si sposta con te, sempre più avanti!...

Riguardo alla felicità, invece, Gesù la dichiara possibile ora.

Il suo messaggio non parla di una felicità solamente futura, che ci attenda dopo morte. Questa idea, così diffusa a livello popolare, è inattendibile, anche se ampiamente predicata nel passato e altrettanto ampiamente propagandata da chi vuole irridere il cristianesimo come rinunciatario, se non ostile, di fronte alla felicità. Chi predica ciò o non ha una minima esperienza di vita di fede e di speranza cristiana, o non conosce il Vangelo e, in particolare, le beatitudini. In ogni caso, inganna se stesso e gli altri.

La gioia che il cristiano sperimenta non è fondata nel possesso dei beni, nel prestigio, nel successo, nel potere. Tutte queste e tante altre simili cose hanno fondamenti fragili e sono disoneste, poiché promettono felicità e non riescono a mantenere la promessa. Quindi, ingannano e deludono.

Essa trova invece il fondamento nella certezza della comunione con Dio, che è già attiva ora in coloro che credono e vivono in Cristo, e che è presente in essi sotto forma di speranza. Costoro sperimentano già ora un anticipo di ciò che possederanno in pienezza al compimento del loro viaggio terreno.

I primi ad essere dichiarati beati sono i poveri. Perciò la povertà è la chiave di lettura del mistero stesso di Cristo. A partire dalla prima beatitudine, tutte le altre acquistano chiarezza. E, così, ai discepoli di Cristo viene immediatamente mostrato dove cercare per trovare e imitare il Maestro: nel povero e nella povertà secondo lo Spirito.

Onde evitare sterili sentimentalismi e facili sociologismi, occorre tuttavia precisare che Gesù non parla di povertà nel senso di “privazione di mezzi” e di “miseria” (quanti fraintendimenti, a questo riguardo, lungo il corso della storia cristiana!). Certamente, egli insegna la sobrietà, il distacco dalle cose e il senso della misura, ma prima di tutto, come fondamento di tutto, egli parla di povertà come distacco dal proprio Io che vuol farla da padrone su tutto, e dunque, anche nei confronti di Dio. Dunque, povertà come l’opposto dell’orgoglio e dell’avidità che fanno perdere il senso di Dio, degli altri e delle cose stesse. Beato è colui che si sottomette interamente a Dio e sa chiedere ogni giorno, senza pretese e con fiducia, «dacci oggi il nostro pane quotidiano»…

 

P. Carlo