OFS Santo Spirito – Incontro del 5.12.2010

 

Appunti di p. Carlo Dallari

 

 

 

 

2. Beati gli afflitti,

perché saranno consolati.

 

     Beati coloro che si affliggono per il male presente nel mondo e in loro stessi, perché Dio li consolerà.

 

 

 

 

«Beati gli afflitti», dice Gesù. Con questa beatitudine, egli dichiara d’essere non dalla parte del dolore, ma di chi piange. La sofferenza fine a se stessa non è un bene: distrugge. Chi sono «gli afflitti»? I piagnoni, i tristi, i depressi, coloro che camminano con il sole perennemente oscurato? Coloro ai quali non si riesce a rivolgersi se non in simili termini: «Cosa mi racconti di triste, oggi?». Non credo! Per un motivo semplice: i tristi non hanno un futuro davanti a sé. Sono chiusi in se stessi, schiavi della disperazione. Non a costoro Gesù dice: «beati!», ma a coloro che si affidano a lui, perché hanno coscienza del peccato e del male che hanno in se stessi e che c’è nel mondo, se ne dispiacciono e fanno passi concreti per convertirsi. Non c’è infatti conversione senza il previo riconoscimento e rifiuto del peccato, che rende schiavi e rovina ogni rapporto umano.

Questo è l’atteggiamento del pubblicano, vero povero secondo lo spirito, che riconosce la propria miseria e il proprio peccato, se ne affligge e si affida al Padre per essere reso «giusto».

L’afflitto delle beatitudini è poi colui che, verso il prossimo schiavo del male, usa la carità del perdono, della preghiera e dell’esortazione per aiutarlo ad uscire dalla situazione in cui si dibatte, e compie ciò conservandosi immune dalla pretesa di volerlo salvare anche contro la sua volontà. Solo Dio salva, ed è tenacemente rispettoso della libertà, pur fragile e malata, della sua creatura, anche se molti vorrebbero che egli intervenisse con forza.

Gli afflitti sono beati perché hanno la gioia di vedere che l’amore di Dio vince il male, comunque, dappertutto e sempre.

«In piedi, voi che piangete, avanti: Dio cammina con voi, asciuga lacrime, fascia il cuore, apre un futuro» (E. Ronchi).

Dio è forza della tua forza. Alzati e cammina!

 

Il commento di Francesco

 

«Beati quelli che muoiono nella penitenza, poiché saranno nel regno dei cieli» (Rnb 21: FF 55).

 

     Siamo concretamente afflitti per il male presente in noi e nel mondo, quando accogliamo l’invito e la grazia della conversione evangelica, abbandoniamo il male e ci orientiamo al Bene, ci lasciamo consolare dal «Dio di ogni consolazione» e, in essa, perseveriamo sino alla fine.

 

«Beato il servo che si mantiene sempre sotto la verga della correzione» (Am 23: FF 173).

 

     La correzione fraterna è un’opportunità che ci viene offerta. Il dolore per il nostro peccato deve sempre avere il sopravvento sulle reazioni del nostro orgoglio al giudizio o al rimprovero altrui. A maggior ragione, poi, se la correzione ci viene offerta come atto di carità…

 

«Beato quel religioso, che non ha giocondità e letizia se non nelle santissime parole e opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio con gaudio e letizia» (Am 20: FF 170).

 

     La tristezza non va d’accordo con questa seconda beatitudine. Essere realmente afflitti per la nostra situazione di ribellione a Dio e di egoismo verso il prossimo, aiuta a mantenere la serenità di spirito, ci apre la via alla letizia, alla gioia.

 

 

 

 

 

 

3. Beati i miti,

perché erediteranno la terra.

 

     Beati i miti – coloro che sono accoglienti, cordiali, pazienti e rinunciano a imporsi agli altri con la forza – perché Dio concederà loro di conquistare il mondo.

 

 

 

Miti sono le persone accoglienti, coloro che accettano gli altri per quel che sono e trattano tutti con cordialità e cortesia, secondo le parole di san Paolo:

 

«Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù… Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Rm 15,5-7).

 

Sono coloro che si fanno servi di ogni creatura, non volendo neppure che gli altri siano cristiani migliori (cf. Lettera a un ministro:  FF 234).

Costoro erediteranno la terra, quella terra di cui i violenti e gli sfruttatori vorrebbero impadronirsi con la forza, e che credono di possedere, perché possono esibire documenti di proprietà o le armi per opporsi a chi vuole impadronirsene.

I miti vivono nel rispetto degli uomini e di tutte le creature, e si prendono cura delle ferite inferte dall’uomo ai suoi simili e alla natura (cf. parabola del buon samaritano); ferite, a loro volta, causa di comportamenti rabbiosi e di sempre nuove ingiustizie, guerre, sfruttamento… in una reazione a catena che sembra di non aver fine

Solo nella carità e nel rispetto verso ogni creatura ci conquistiamo il diritto di abitare per sempre nella nostra «casa comune».

 

Il commento di Francesco

 

«Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente la correzione, l’accusa e il rimprovero da un altro, come se venissero da lui stesso» (Am 22: FF 172).

 

     La mitezza proviene anche da una giusta considerazione di se stessi. Voler bene a se stessi per amore di Dio, per voler bene al prossimo, suggerisce il comandamento centrale della nostra fede! Solo se si possiede un giusto amore di sé, si può amare veramente anche il prossimo (cf. Lc 10,25-37).

 

«Beato il servo che, rimproverato, di buon animo accetta, si sottomette con modestia, umilmente confessa e volentieri ripara» (Am 22: FF 172).

 

     Al male fatto da sé (tutti pecchiamo… Ricordarsi che «anche il giusto pecca sette volte al giorno»!), ma anche a quello compiuto dai nostri fratelli. Riparare la Chiesa, la nostra casa comune, per l’amore verso colui che l’ha costruita… Così facendo, imitiamo Cristo, agnello che toglie il peccato del mondo…

 

«Beato il servo che non è veloce a scusarsi e umilmente sopporta la vergogna e la riprensione per un peccato, anche quando non ha commesso colpa» (Am 22: FF 172).

 

     La persona mite sopporta tutto con letizia, per amore di Dio.

 

«Beato il servo che viene trovato così umile tra i suoi sudditi, come quando fosse tra i suoi padroni» (Am 23: FF 173).

 

Farsi servi di ogni creatura per amore di Dio non è soltanto una pia esortazione di Francesco. È una trovata geniale che traduce l’insegnamento di Gesù di mettersi all’ultimo posto. Col cuore, prima di tutto, veramente convinti che quella sia veramente la posizione che ci spetta… E poi è una medicina sapiente per combattere la nostra frequente viltà di fare i forti con i deboli e i deboli con i forti!