OFS Santo Spirito – Incontro del 24.10.2010

 

Appunti di p. Carlo Dallari

 

 

 

Nello spirito delle Beatitudini

Riscoprire le Beatitudini con san Francesco

 

 

 

 

 

Che ne è della felicità?

 

 

Beatitudine, ovvero felicità. «Ma che ne è della felicità? – La felicità è un tema spinoso, difficile. E poi, Francesco non parla tanto di felicità, quanto di letizia. Sono forse due mondi differenti?

Un giorno mi capita tra le mani una raccolta di testi sulla felicità, introdotta da un’intervista al curatore. «Come mai tra gli autori che hai scelto non c’è neanche un cristiano? Nemmeno san Francesco?», gli veniva chiesto. «Perché il cristianesimo è rinunciatario, e la letizia francescana non è la felicità», era la sua risposta. Che questa risposta sia viziata da una mentalità preconcetta, secondo cui il cristianesimo rappresenta una bieca oppressione dello slancio vitale dell’uomo e della sua naturale ricerca di felicità, è evidente. Tuttavia, deve far pensare.

Non possiamo, infatti, non constatare quanto sia ancora vera l’ironia sferzante con cui Friedrich Nietzsche si rivolgeva ai cristiani, quando li rimproverava di non mostrare affatto un volto da persone salvate[1]. Per la riprova, basterebbe posizionarsi alle porte della chiesa e osservare il volto delle persone che escono da messa. Hanno appena udito il congedo: «Andate e portate a tutti la gioia del Cristo risorto», ma che facce hanno? serie? annoiate? soddisfatte per il dovere compiuto? Quante esprimono la gioia di aver incontrato Cristo? E se poi ci mettessimo alla porta della sagrestia per osservare l’espressione del prete che ha appena celebrato?...

Tanti volti spenti o cupi dicono che qualcosa non va. Forse persiste nei cristiani una certa frattura interiore. Per un verso, affermano di essere destinatari di una «buona novella», ma poi la vivono come un peso insopportabile. Costoro somigliano tanto a quell’invitato a nozze che accetta volentieri di partecipare al banchetto, ma poi, una volta sedutosi a tavola, dimentico dei commensali e della festa, si sfama con un tozzo di pane raffermo che toglie dalle tasche. Che gioia è mai la sua?...

Le cause della frattura interiore nella vita di tanti cristiani possono risiedere nel fatto che troppi (e, anche se fossero pochi, sarebbero comunque troppi) hanno perso il feeling con la letizia, con quella gioia che esplode e ti cambia la vita. Come tanti loro contemporanei, essi si sono lasciati assorbire dalla ricerca irrequieta di una felicità a senso unico: la «felicità» dello star bene, dell’avere successo, del vedere soddisfatti i propri desideri. O forse anche perché sentono l’obbligo della felicità, ma non si sentono realmente salvati e in comunione con il prossimo. Perciò esauriscono la propria fede nel giudicare, condannare, vietare agli altri in nome della stessa fede».

 

Queste poche annotazioni già ci fanno intuire che, nel dizionario cristiano, il termine «beatitudine» ha almeno due significati di fondo.

La beatitudine piena, perfetta, è la felicità dei Santi in Cielo, i quali partecipano della beatitudine di Dio. Ogni altra è limitata, relativa a quella.

Per quanto ci riguarda, la beatitudine è il bene che più profondamente desideriamo. Non cessiamo di ricercarla in tutti i modi e da tutte le parti.

Non ci si deve meravigliare. Quando si ha veramente sete, non si guarda all’etichetta incollata sulla bottiglia; talvolta, neppure alla qualità: anche una pozzanghera può dissetare!

 

Se la ricerchiamo è perché facciamo quotidianamente esperienza dell’infelicità, le cui cause sono molteplici. Potremmo citare – a solo titolo d’esempio –  la competizione, poiché facciamo tutto in funzione dell’avere più degli altri. Stuzzicata dall’invidia e dall’emulazione, porta all’ansia, alla noia o al collasso, cioè all’estinzione per mancanza di amore alla vita. Va combattuta con la gratuità, il tempo libero, lo svago e un equilibrato ideale di vita. Il far dipendere il nostro comportamento dalle aspettative degli altri, o da quelle che crediamo siano le loro aspettative. Potremmo anche aggiungere la mania di persecuzione, la noia, la frenesia nel fare ogni cosa, i sensi di colpa, la paura dell’opinione pubblica…

 

 

La via di Gesù

 

Gesù vuole che siamo felici. Perciò accende in noi una luce: possiamo esserlo perché siamo stati creati dal Padre e chiamati alla vita. Ciascuno di noi è da Lui voluto, chiamato all’esistenza e amato di un amore infinito. Ciascuno di noi è posto nella «casa comune» del creato. Ciascuno di noi può amare questo Dio, infinitamente migliore di quanto possiamo sospettare.

Per averci inondato di questa luce, Cristo stesso è la nostra felicità, e rimane sempre con noi per aiutarci nella nostra ricerca e nella nostra scoperta. Perciò ci dona il suo Spirito (che è il pater pauperum, colui che genera i veri poveri, miti, pacificatori del regno di Dio. È lui che presiede alla conversione e trasforma i figli dell’uomo in figli di Dio) e ci fa partecipi della sua risurrezione. Egli vuole che la sua vittoria sulla morte diventi anche la nostra. La nostra storia, qualunque cosa succeda, avrà con Lui solo un esito felice.

 

L’insegnamento di Gesù riguardo alla felicità/beatitudine è sintetizzato in quel «codice» che siamo soliti chiamare Le Beatitudini, riportate dai Vangeli al centro del discorso della montagna.

Le beatitudini sono il programma di vita che Gesù ha consegnato ai suoi discepoli, e dunque a tutti noi; sono la sintesi del suo insegnamento sulla gioia e sull’amore di Dio e del prossimo. Meritano d’essere valorizzate per quel che in realtà sono: la via che Gesù ci indica verso la felicità e la santità. In un certo senso, sono i comandamenti della nuova alleanza (cf. Mt 5,19) – stando però bene attenti a non pensare che siamo solo dei comandamenti, delle norme! – nel senso che la loro osservanza è contitio sine qua non per far parte del Regno.

 

 


Le Beatitudini evangeliche

 

 

                        Matteo 5,3-12                                                                      Luca 6,20-26             

 

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

(1) «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

(3) Beati voi, che ora piangete, perché riderete.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

 

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

(2) Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

 

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

 

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

 

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

 

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».

(4) Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

 

 

 

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

 

Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.

 

Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.

 

Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

 

 

Le altre beatitudini

 

 

«Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,6)

 

«Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano» (Mt 13,16)

 

«Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli» (Mt 16,17)

 

«Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni» (Mt 24,46-47)

 

«Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45)

 

«D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48)

 

«Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Lc 7,23)

 

«Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete» (Lc 10,23)

 

«Mentre diceva questo, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28)

 

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!» (Lc 12,37-38)

 

«Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi» (Lc 12,43-44)

 

«Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!» (Lc 14,13-15)

 

«Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”» (Lc 23,29)

 

«Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,17)

 

«Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29).

 

Ripercorrendo l’insegnamento di Gesù sulla beatitudine come, non possiamo non rilevare una caratteristica: egli la presenta come una rosa, con le sue spine. La via della felicità passa cioè per la croce. L’esperienza dei Santi – Francesco in particolare – ci dice che il dolore non va contro la felicità, a patto che sia integrato nella vita di fede.

La ricerca della felicità è un compito quotidiano. Potremmo fare nostro l’impegno di Papa Giovanni XXIII: «Solo per oggi sarò felice nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell’altro mondo, ma anche in questo».

 

 

 



[1] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 222001, 102: «Canti migliori dovrebbero cantarmi, perché io impari a credere al loro redentore: più redenti dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli».