Natale del
Signore 25.12.2013
Isaia 62,11-12
Lettera a Tito 3,4-7
Vangelo secondo Luca 2,15-20
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori
dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo
avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e
trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo
averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli
che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte
sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne
tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e
visto, com’era stato detto loro.
Il segno per noi
L’evangelista Luca inquadra la nascita di Gesù in un
preciso momento storico, per dirci che essa è un evento accaduto in un luogo e
un tempo ben precisi. Non è una leggenda: è un fatto!
In questo passo del vangelo (messa dell’aurora), Luca ci
tiene a ribadire un dettaglio: Il Cristo si presenta ai pastori come «un bambino
adagiato in una mangiatoia». È la terza volta che l’evangelista sottolinea
questo particolare. Ciò significa che è un indizio importante per noi: è il segno che ci viene dato per guidarci
nella comprensione del mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, mistero che,
altrimenti, rimarrebbe per noi inaccessibile.
Ai pastori e al popolo d’Israele di allora quel segno
dice: il Messia che voi attendete, Messia che non conoscete e che, per questo
motivo, avete dipinto nella vostra immaginazione con i colori delle vostre attese
umane, ora è qui: ha il volto di un bambino avvolto in fasce e adagiato in una
mangiatoia. E, a noi: il Cristo e Figlio di Dio, è quest’uomo, Gesù, nato a
Betlemme come un povero qualsiasi. Allora, vogliamo sapere in che modo Dio si presenta
in mezzo a noi? Non possiamo far altro che contemplare il volto di quel bimbo e
seguirne la vicenda, sino alla croce, sino alla risurrezione.
Ecco dunque il segno
che ci è donato anche a noi, oggi, in questo giorno di celebrazione del Natale
del Signore: un piccolo bimbo deposto in una greppia, la mangiatoia degli
animali da stalla.
Per leggere questo segno
è necessario che ci liberiamo sia da quell’atmosfera zuccherosa da buoni
sentimenti e facili emozioni, sia dalla tentazione di andare oltre il segno, chiudendo
gli occhi e pensando che «comunque» quel bimbo «era» Figlio di Dio, e dunque ricolmo
di prestigio e di gloria… alla stregua di un figlio di re che fosse venuto a
fare una passeggiata…
Ed è anche necessario che ci sbarazziamo di tutte
quelle idee di “gloria” e grandezza umana, sotto le quali vorremmo nascondere
la verità di un Dio che entra nel cuore della nostra umanità. I pastori, gente
semplice e rude, accolsero l’annuncio, andarono e compresero. E noi? Sappiamo
uscire dai nostri pregiudizi su Dio, per dare accoglienza a Colui che si
presenta nel segno del «bambino adagiato in una mangiatoia»?
Davanti a questa mangiatoia rileggiamo le nostre
attese nei confronti di Dio. Ci aspettiamo un dio che ha bisogno di “potenza”
per conquistare? o di leggi per conservare? o di sacrifici per dominare le
coscienze impaurite? Immaginiamo un dio che ha bisogno di essere difeso dai
nostri “potenti” mezzi umani, anche a costo della vita degli uomini? Se sì,
allora quell’uomo che è nato a Betlemme non è il nostro Dio e noi non siamo
cristiani, anche se lo proclamiamo ai quattro venti. Perché, un dio che non
rispetta l’uomo, è un idolo: non va rispettato, tanto meno adorato…
P. Carlo