Natale del Signore                               25.12.2010

 

Isaia 9,1-6

Lettera a Tito 2,11-14

Vangelo secondo Luca 2,1-14

 

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

 

Il segno per noi

 

L’evangelista Luca inquadra la nascita di Gesù in un preciso momento storico e secondo un modo tipico di raccontare: la narrazione del fatto, l’annuncio dell’evento e l’accoglienza dell’annuncio.

Nel passo del vangelo qui riportato e in quello della messa dell’aurora, Luca riporta tre volte un dettaglio: «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». È un indizio che la sua importanza: è il segno che viene dato ai pastori – e a noi stessi – affinché ci lasciamo guidare nella comprensione di un mistero (la presenza di Dio tra noi) che altrimenti rimarrebbe inaccessibile.

Ai pastori e al popolo d’Israele di allora quel segno dice: il Messia che voi attendete, Messia che non conoscete e che avete, per questo motivo, rivestito di tutte le vostre attese umane, ora è qui: ha il volto di un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. E, a noi: il Cristo e Figlio di Dio, è quest’uomo, Gesù, che è nato a Betlemme. Vogliamo dunque sapere in che modo Dio interpreta la propria presenza in mezzo a noi? Non possiamo far altro che contemplare il volto di quel bimbo e seguirne la vicenda, sino alla croce, sino alla risurrezione.

Ecco dunque il segno che ci è donato in questo giorno di celebrazione del Natale del Signore: ancora una volta, un piccolo bimbo deposto in una greppia, la mangiatoia degli animali da stalla (… potenza dell’evocazione del presepe, altrimenti incomprensibile!...).

Per leggere questo segno è necessario che ci liberiamo sia dai tratti romantici dei buoni sentimenti e delle facili emozioni, sia dalla tentazione di chiudere gli occhi e pensare che «comunque» quel bimbo «era» Figlio di Dio, e dunque ricolmo di prestigio e di gloria… alla stregua di un figlio di re che fosse venuto a fare una passeggiata…

Ed è necessario che ci sbarazziamo di tutti gli orpelli sotto i quali vorremmo nascondere la verità di un Dio che entra nella nostra umanità. I pastori, gente semplice e rude, accolsero l’annuncio, andarono e compresero. E noi? Sappiamo uscire dai nostri pregiudizi su Dio, per cogliere nella sua semplicità Colui che si presenta nel segno del bimbo che nasce a Betlemme?

Amerei che questo interrogativo non fosse rivoltato in domanda retorica. Perciò insisto: riflettiamo sulle nostre attese nei confronti di Dio. Ci aspettiamo un dio che ha bisogno di eserciti per conquistare? e di leggi per conservare? e di sacrifici per dominare le coscienze impaurite? Fantastichiamo di un dio che ha bisogno di essere difeso dai nostri “potenti” mezzi umani, anche a costo della vita degli uomini? Se sì, allora quell’uomo che è nato a Betlemme non è il nostro Dio e noi non siamo cristiani, anche se lo proclamiamo ai quattro venti. Perché, un dio che non rispetta l’uomo, è un idolo: non va rispettato, tanto meno adorato…

Buon Natale!

P. Carlo


SANTA FAMIGLIA                                 26.12.2010

 

Siracide 3,3-7.14-17

Lettera ai Colossesi 3,12-21

Vangelo secondo Matteo 2,13-15.19-23

 

[I Magi] erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode…

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

 

 

Una famiglia all’antica?

 

In questa prima domenica dopo il Natale la liturgia della Parola ci invita a riflettere sulle virtù che ogni famiglia cristiana, sul­lesempio di quella di Nazaret, dovrebbe sviluppare.

La prima lettura sembra un commento al IV comandamento. Ben cinque volte il Siracide ripete il verbo “onorare”. Chi è il figlio che «onora il padre» e «dà consolazione alla madre»?

La risposta viene articolata in tre consigli.

Il primo: «Soccorri tuo padre nella vecchiaia», cioè aiutalo con i tuoi beni, non lasciarlo morire di fame, di freddo e di malattie in un lurido tugurio. Una disposizione essenziale, fedelmente seguita nei tempi antichi e, ancor oggi, in tante parti del mondo; un po’ meno in Europa, ove, spesso, i genitori sono costretti ad aiutare i figli con la loro pensione, oppure sono abbandonati a se stessi.

Il secondo, invece, riguarda da vicino i figli: «non contristare» tuo padre, non amareggiarlo con atteggiamenti sconsiderati. Ciò non significa che i figli non possano fare scelte diverse rispetto alle ambizioni dei genitori, anche se dovessero farli piangere. Si suggerisce invece che, nonostante tutto, i figli devono evitare atteggiamenti stupidi, immorali e illegali che spingano i propri genitori a vergognarsi di essere loro padre e loro madre.

Attualissimo il terzo consiglio: «Anche se perdesse il senno, compatiscilo», poiché la demenza senile ed altre malattie neurovegetative sono frequenti oggi nei vecchi. «Com-patiscilo» significa: fatti carico personalmente della sua sofferenza. Metterlo in una casa di riposo è talora una necessità, ma che sia l’ultima spiaggia. Buona la soluzione – per chi può ovviamente – di un appartamentino attiguo a quello dei figli. Ottima quella di tenerlo in casa, con tutta la famiglia che lo ama e lo serve. È un comandamento fondamentale, è la tanto conclamata «pietà», pietas, amore religioso, affine all’amore a Dio. Per questo a chi onora i genitori anziani sono rivolte magnifiche promesse, sia umane che religiose: «avrà gioia dai propri figli … vivrà a lungo … sarà esaudito nel giorno della sua preghiera … espia i peccati». Una vita serena e la benedizione del Signore.

Paolo allarga la prospettiva all’onore reciproco fra coniugi.  Chiede alle mogli: «state sottomesse ai mariti», non in maniera passiva, ma «nel Signore», con libertà e creatività. E ai mariti: «amate le vostre mogli», non di un amore frivolo ed egoista, bensì con tenerezza e premura. Matteo segnala la fede singolare della famiglia di Gesù. L’angelo dice loro: «Fuggi in Egitto ... torna nel paese d’Israele» [vangelo] ed essi accettano la prova con fiducia. In quella famiglia «la Parola di Cristo dimora abbondantemente» [II lettura], la fede li ha arricchiti di «sentimenti di bontà, umiltà, pazienza, mitezza» che li fa rimanere uniti e solidali, con la «pace di Dio nei cuori». 

Dunque, fede vissuta nella condivisione familiare, premura verso i genitori anziani, amore fra gli sposi ed educazione dei figli sono un atto cultuale, cioè la prima lode del Nome di Dio.

 

P. Carlo