LAICITÀ E FRATERNITÀ

 

 

 

di p. Carlo Dallari ofm

 

 

 

 

Premesse

 

Il tema che mi è stato affidato prevede la trattazione del rapporto tra laicità e fraternità francescana. Divido le osservazioni in due momenti: anzitutto creo l’ambiente, prendendo in considerazione la figura del laico cristiano, quale emerge dall’attuale riflessione della Chiesa; poi, alla luce dei risultati, mi fermerò a considerare la figura specifica del laico francescano.

Per quanto riguarda il significato dei termini laicità / secolarità, mi atterrò a quanto emerge da GS 1 e 38; da LG 31; dal Sinodo dei Vescovi sulla Vocazione e missione dei Laici (ottobre 1987), proposizione 4 (EV 10, 2111); e dall’Esortazione Aposto­lica di Giovanni Paolo II Christifideles laici (dicembre 1988), n. 15 (EV 11, 1654ss.).

Uso il termine «laicità» in stretta connessione con «secolarità».

«Secolarità» (da non confondere con «secolarizzazione» e «secolarismo») deriva da «se­colo» e indica la realtà del mondo in quanto «teatro della storia del genere umano che reca i segni degli sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie» (GS 2). È in questo «mondo» che lo stesso Figlio di Dio si è incarnato per condividerne le sorti e per cambiarlo. [Cf. C. Dallari, I Laici francescani, pp. 88-91]

«Laicità» (da non confondere con «laicismo») deriva dal greco laikòs, uomo del popolo e indica il valore e la dignità non solo della realtà del mondo in cui l’uomo vive, ma anche delle situazioni di esistenza comuni a tutti gli uomini, quali: il matrimonio (amore e famiglia), la cultura, la professione e il lavoro, l’impegno sociale e la politica… Il concetto di laicità passa attraverso categorie quali «sacro» e «profano». «Sacro» è tutto ciò che è aperto a Dio (tutto ciò che appartiene a Cristo); «profano», di conseguenza, è il mondo che si oppone a Cristo. Ne segue che la laicità è propria di chi vive nel mondo, sia che esso sia aperto a Dio oppure no.

L’orizzonte entro il quale mi muovo è questo: non c’è fede cristiana, Chiesa di Cristo, prete, religioso o laico senza laicità/se­colarità. Essa è una dimensione propria dell’agire cristiano, perciò coinvolge tutti, non solo il cosiddetto laico, ma anche il religioso e il sacerdote.

 

 

1. I laici in ricerca della propria identità ecclesiale.

 

Se pensiamo a come veniva considerato il laico poco più di mezzo secolo fa («colui che non è… prete, religioso…»), ne è passata d’acqua sotto i ponti.

Negli anni ’30 del secolo scorso prende l’avvio un movimento di pensiero e di azione che tenterà di porre rimedio a un silenzio che aveva reso estranei alla teologia gli ambiti della vita e dell’impegno del cristiano: il lavoro, la professione, lo sviluppo della tecnologia, la cultura, le problematiche politiche e sociali, la comunicazione, la valutazione della sessualità... Questo movimento sfocia nel Vaticano II.

Il concilio pone le basi per un reale rinnovamento della teologia in genere e dell’ecclesiologia in particolare. Sarà proprio la nuova ecclesiologia che renderà possibile la giusta collocazione del laico nella Chiesa. Se vogliamo definire la figura del laico, è necessario fare costantemente riferimento al concilio, in particolare alla costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, alla Gaudium et spes e al decreto Apostolicam actuositatem.

Fermiamoci solo alle tre scelte di fondo del concilio che influiranno sulla nuova visione del laico nella Chiesa.

1. Le singole componenti della Chiesa vanno considerate alla luce dell’insieme: la Chiesa è anzitutto una in sé e nei confronti del mondo; è un solo popolo di Dio; è un «tutto» che si rende presente nel frammento e gli dona la dignità di essere segno del «tutto». Non è dunque possibile dividere la Chiesa in comparti rigidamente stagni; assieme ai ministri ordinati e ai religiosi, laici sono Chiesa e segno di Chiesa.

2. Tutta la Chiesa è al servizio del mondo, è essenzialmente missionaria; esiste non per se stessa, ma per Cristo e per l’umanità intera, cui deve l’annuncio del Vangelo e la collaborazione per la costruzione di un mondo più umano. Per attuare questa missione, essa è stata dotata dallo Spirito Santo di opportuni carismi e ministeri. Tutti nella Chiesa, perciò anche i laici, sono responsabili di questa missione, secondo il loro stato di vita e la loro particolare vocazione.

3. Tutti i battezzati sono chiamati a realizzare in se stessi la santità, di cui lo Spirito Santo ha dotato la Chiesa, e a dare al mondo la testimonianza della trascendenza di Dio. La ragione è essenzialmente teologica. Dio, infatti, non ha mai accettato il principio di Caino che lo voleva lontano dall’uomo. Sin dall’inizio della nostra storia comincia a «ingerirsi» nel nostro mondo, nel nostro essere e nella nostra vita, sino a mandare il suo stesso Figlio a condividere la nostra natura e condizione umana. Dio abita con noi perché ci ama e si aspetta che anche noi gli facciamo spazio, affinché egli possa trasformare il nostro mondo nel suo regno. La santità consiste proprio in questa dimora di Dio con gli uomini e degli uomini con Dio; e la Chiesa, «tenda di Dio» fra noi e in mezzo a noi, esiste per divenire dimora di Dio nel mondo e così essere «santità» (cf. J. Ratzinger, L’ecclesiologia della costituzione Lumen gentium, in L’Osservatore Romano, 4.3.2000).

Queste tre scelte essenziali pongono i laici entro una visione decisamente teologica, come avviene per il ministri ordinati e per i religiosi. Essi sono pienamente partecipi della missione della Chiesa nel mondo e nella storia, perché sono parte essenziale della Chiesa di Cristo.

 

Sulla scia della teologia della Lumen gentium e degli altri testi fondamentali (GS e AA in particolare) si sviluppa, nel dopo concilio, un vivace dibattito sull’identità del laico nella Chiesa. (È In questo contesto che nascerà la Regola dell’OFS).

Ma verso il finire degli anni ’80, interviene un blocco nelle discussioni e nella elaborazione della figura teologica del laico cristiano. Se prima si avvertiva l’urgenza di interessarsi del laicato, ora sui laici sembra calare il silenzio. Si fa sempre più forte la convinzione che «il laico è cristiano e basta»; convinzione, però, che non lascia soddisfatti. Non ci si può fermare a considerare il laico semplicemente come «un cristiano» generico e neppure alla questione su che cosa egli possa «fare per la Chiesa». Sarebbe un ritorno alla visione «negativa» del passato.

Occorre ripensare meglio chi egli sia «nella Chiesa per il mondo, entro cui vive». Inoltre, si avverte la necessità di portare avanti la visione dell’identità laicale con l’apporto diretto dei laici stessi. A questa esigenza si frappone però un ostacolo: manca un fattivo apporto dei laici alla teologia. La teologia che promuove l’approfondimento dell’identità del laico nella Chiesa è, nel suo insieme, prodotta da sacerdoti e religiosi al servizio dei futuri pastori. È inevitabile che tenda a lasciare ai margini coloro che saranno «soltanto oggetto» del loro ministero. Il clericalismo è una bestia dura a morire.

Ciononostante, la riflessione sul laico cristiano non si ferma. Appare necessario, per ripensare meglio la sua collocazione nella Chiesa, recuperare la laicità come struttura di tutta la Chiesa.

 

 

2. Laicità di tutta la Chiesa

 

La Chiesa è nel mondo, al servizio del mondo (missione), ma non del mondo (santità). Questa collocazione definisce il senso della sua laicità.

L’idea di laicità, così come viene compresa nella cultura moderna, indica l’autonomia, se non la separazione netta, tra la sfera del mondo (il «profano»), «laico», civile, identificata nello Stato, con le sue istituzioni, i suoi poteri, la sua cultura e le sue attività, e la sfera del «religioso» (il «sacro»), identificata nella Chiesa, con le sue istituzioni e la sua cultura. Questa separazione ha una storia che converrebbe approfondire: si è realizzata (in Europa) all’interno della cosiddetta «cristianità», quale maturo frutto della secolare biforcazione avvenuta tra monaci e clero, da una parte, e laicato, dall’altra. Un fenomeno iniziato nel periodo costantiniano e maturato, in pieno medioevo, nella convinzione che nella Chiesa «duo sunt genera christianorum»… convinzione che relegava i laici a una posizione di seconda classe. Proprio questo deprezzamento spingerà i laici a compiere un cammino di sempre maggior autonomia dalla «chiesa» del clero e dei religiosi, sino a esplodere, nell’epoca moderna, nel rifiuto della Chiesa stessa. Il confronto della Chiesa con la modernità è stato drammatico[1]. Si è manifestato nella progressiva e forzata delimitazione, da parte dello Stato, del campo di presenza della Chiesa nei luoghi propri della società civile (politica, istruzione, cultura, scienza, arte, assistenza…), poiché considerata come usurpatrice di ambiti ad essa non pertinenti. Questo processo di secolarizzazione veniva accompagnato da un vigoroso sviluppo dell’autonomia della ragione (razionalismo) e da una visione immanente della vita (agnosticismo). Di contro, a forme radicali ed esacerbate di anticlericalismo o di persecuzione da parte dei poteri politici e della cultura, la chiesa arrivava a contrapporre forme altrettanto radicali di condanna e di scomunica (inquisizione, antimodernismo).

Da una laicità pericolante si era, in questo modo, caduti nel laicismo.

Non siamo ancora usciti da questa crisi. Ma una verità sembra maturare tra i cristiani: la laicità (così come viene compresa dalla società europea contemporanea) nei suoi valori di base affonda le sue radici nell’humus della fede cristiana, le affonda nel Vangelo stesso. Recuperare questa verità è necessario per superare il laicismo.

Da parte sua, ultimamente, la Chiesa ha riscoperto una laicità nuova (rispetto alla modernità) e, allo stesso tempo, antica: è la laicità che emerge dal Vangelo e che già era stata attuata nei primi secoli dell’esperienza cristiana (cf. Lettera a Diogneto). Una laicità non riservata a una sola componente della Chiesa (il laicato), e neppure riconosciuta proprietà esclusiva del mondo, ma come dimensione di tutta la Chiesa, perché la Chiesa è nel mondo, pur senza appartenergli. Ha dunque scoperto che la separazione tra clero e laicato, avvenuta in seguito alla trasformazione costantiniana della società e Chiesa, era arbitraria, artificiale e incoerente con la fede del Vangelo.

Questa nuova concezione della laicità afferma la positività della creazione, della natura e dei rapporti sociali e il riconoscimento dell’autonomia (anche se non assoluta!) delle realtà terrestri, secondo i dettami di GS 36: «Le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare … si tratta di una esigenza legittima, che non solo è postulata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere del Creatore». Una laicità che restituisce alla Chiesa il ruolo evangelico di lievito che fa fermentare la pasta.

In questo contesto, la laicità appare come «affermazione dell’autonomia e della consistenza del mondo profano in rapporto alla sfera religiosa» (U. Benedetti); è il credere nuovamente nelle cose, consapevoli che a Dio si va senza saltare il passaggio attraverso esse. Dio è venuto a noi entro le realtà del mondo, così noi andiamo a lui e lo incontriamo seguendo la stessa via.

 

È dunque avvenuto un ritorno all’antico, un ritorno alla visione evangelica del rapporto Dio-mondo, che si realizza secondo tre dimensioni ben precise: come laicità della Chiesa (incarnazione nella storia e corresponsabilità di tutti i battezzati verso la missione); laicità nella Chiesa (libertà del cristiano, primato della coscienza, responsabilità di ciascun battezzato nella crescita della Chiesa); laicità del mondo recepita dalla Chiesa (valore del mondo come creato e redento da Cristo).

Entro questa visione, la Chiesa viene considerata come popolo di Dio che vive nel mondo (anche se non gli appartiene), inviato al mondo per portarvi il Vangelo e contribuire al suo sviluppo. In essa, ciascuna delle sue componenti (laici, religiosi e sacerdoti) conserva una laicità di base; la laicità è presente in ogni vocazione particolare. In altri termini, mentre ogni battezzato ha per vocazione e per missione un duplice e privilegiato punto di riferimento e di attenzione (la Chiesa stessa e il mondo), il rapporto con la Chiesa e con il mondo sarà diverso a seconda della particolare vocazione e del particolare ministero di ciascun battezzato.

 

 

3. Lettura dell’identità del laico nel contesto della laicità e ministerialità della Chiesa

 

A partire da questo contesto, i laici non possono più essere ritenuti cristiani di seconda classe. Per riprendere un concetto espresso da Pio XII già nel lontano 1946! - i laici non solo appartengono alla Chiesa, ma «essi sono la Chiesa» ed hanno una specifica vocazione e missione: nelle condizioni ordinarie della loro esistenza, operare per la costruzione e l’umanizzazione del mondo, al fine di ricondurlo a Dio.

Ciò che rende un cristiano «laico», dunque, è il particolare rapporto che egli ha col mondo all’interno del mondo (ecco la sua secolarità). Il laico cristiano ha una duplice missione: in quanto membro della società ha il compito primario di costruire il mondo, cambiandolo dal di dentro e ordinandolo a Dio; in quanto membro della Chiesa, ha il compito primario di costruire la Chiesa. Ma egli – ed è questa la sua specificità – edifica la Chiesa nella misura in cui lavora per il vero bene della società.

 

Tentiamo ora di rileggere, sotto questa luce, quanto la LG dice dei laici. I laici sono fedeli che «incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio, resi a loro modo partecipi della funzione sa­cerdotale, profetica e regale di Cristo, esercitano nella Chiesa e nel mondo, per la parte che li riguarda, la missione di tutto il popolo cristiano. È proprio e specifico dei laici il carattere secolare… È proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»[2].

Questo passo contiene tre indicazioni essenziali.

1. La prima, richiama il sacramento del battesimo quale fondamento del titolo di dignità ecclesiale per tutti i fedeli, perché «il battesimo ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo e al suo Corpo che è la Chiesa, ci unge nello Spirito santo costituendoci templi spirituali»[3]. Assieme a tutti i battezzati, i laici partecipano all’avvento del Dio «che crea cose nuove» nella storia degli uomini.

2. La seconda rimanda al sacerdozio comune a tutti i battezzati: «I fedeli laici parteci­pano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale, profetico e regale - di Gesù Cristo»[4]. Come ogni altro battezzato, i cristiani laici sono sacerdoti, re e profeti; ma a differenza dei religiosi e dei ministri ordinati, essi lo sono secondo la loro indole particolare: in modo secolare.

Ripercorriamo questi singoli punti.

- Partecipano alla responsabilità sacerdotale, perché con il battesimo sono abilitati a offrire se stessi e tutte le proprie attività secolari come sacrificio spirituale gradito a Dio.

- Partecipano alla responsabilità profetica, perché il battesimo li abilita ad accogliere la Parola di Dio e a viverla nella loro condizione secolare, diventando testimoni di Cristo in mezzo alla società.

- Partecipano alla responsabilità regale, perché il battesimo li rende idonei per il servizio al regno di Dio e alla sua missione nella storia. Esercitano la regalità, trasformando il mondo nel senso della carità, facendo emergere dalle situazioni di esistenza quotidiana quell’elemento di carità/amore che è in esse celato, sin da quando Dio Padre ha creato ogni cosa buona e l’ha orientata al Cristo.

3. La terza indicazione fa riferimento alla specifica vocazione del laico cristiano: cercare il regno di Dio agendo da fermento all’interno del mondo. Il secolo è il luogo dinamico di vita e di lavoro; è lì che essi devono dare la propria testimonianza di fede. Non sono tenuti ad abbando­narlo o a metterlo tra parentesi, bensì a trasformarlo, a dare un senso più ve­ro e pieno alla magnifica opera creatri­ce del Padre.

La dignità dei laici è esaltata dal fatto che essi, in prima persona, tendono alla finalità ul­tima della Chiesa stessa, cioè alla santità, che è la perfezione della carità[5]. In forza del loro stato secolare, essi sono abi­litati a realizzare la santità dell’essere mediante la santità dell’operare nelle loro attività, cioè nell’«ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispon­dere alla loro vocazione, essi debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occa­sione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo»[6]. Il loro programma – direbbe Benedetto XVI – è «un cuore che vede»: «vede dove c’è bisogno di amore e agisce conseguentemente» (DCE 31b). Questa è la via regale della santità. È così finito il tempo di considerare il «fuggire il mondo» o l’attaccarsi alla spiritualità di un Ordine religioso quale unica via, oltre il martirio, per diventare santi. Ogni cristiano guadagna il proprio vertice di santità nella vocazione ecclesiale nella quale è chiamato a vivere, perché qualunque sia la sua condizione, egli è «soggetto attivo» della missione della Chiesa e della sua vocazione alla santità[7].

 

Queste brevi annotazioni conducono a una conclusione: il servizio del laico è sempre un servizio svolto nella Chiesa e per la Chiesa (perché egli è un battezzato), e di essere svolto nel mondo e per il mondo. Rispetto, dunque, al ministero dei sacerdoti e dei religiosi, il luogo del suo ministero è il mondo. Nella sua enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI afferma che «Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è proprio dei fedeli laici. Come cittadini dello Stato essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Non possono pertanto abdicare alla “molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune”. Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità. Anche se le espressioni specifiche della carità ecclesiale non possono mai confondersi con l'attività dello Stato, resta tuttavia vero che la carità deve animare l'intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come “carità sociale”» (DCE 29).

Tutto ciò significa che i laici incarnano in modo specifico e in prima persona il ministero della Chiesa ad extra. Che dire allora del ministero del laico ad intra? È evidente che all’interno della Chiesa la ministerialità del laico è secondaria. Sarebbe pertanto fortemente limitativo, direi fuorviante, ridurre il «ministero laicale» alla «conquista» di un posto attorno all’altare… (In questo campo restano comunque molti problemi aperti, quali: i ministeri laicali (istituiti) ridotti a pochi e solo entro l’ambito liturgico, il ruolo pastorale sussidiario e determinato dalla mancanza di preti, l’accesso alla teologia estremamente limitato, mancanza di un ruolo specifico nella nuova evangelizzazione…).

Un’ultima annotazione.

Nella prospettiva della Chiesa tutt’intera laicale e ministeriale, non esiste un «laicato» costituito come realtà a sé stante. Occorre perciò fare attenzione a non cadere in una nuova «spartizione» di competenze e di compiti, del tipo: dentro la Chiesa, il clero e i religiosi e ad extra, il laicato. In ecclesiologia, le cose non sono così semplicistiche. Ciascun cristiano, in forza del battesimo, è dentro la Chiesa ed è abilitato a esercitare il suo particolare ministero in comunione con la Chiesa e in sintonia con la sua specifica missione. E dunque, se mi è consentito ribadire il concetto, tutti i battezzati sono, allo stesso tempo, al servizio della Chiesa e del mondo secondo carismi e ministeri loro propri, diversi da quelli dei ministri ordinati e dei religiosi. Ciò significa che ognuna delle vocazioni specifiche (sacerdotali, religiose e laicali) hanno finalità ministeriali e ambiti di esercizio loro propri, che sono primari ma non esclusivi: il ministero ordinato è primariamente al servizio dell’unità della Chiesa e, in secondo luogo, dell’unità del genere umano; il religioso è al servizio della trascendenza della Chiesa e, in secondo luogo, dell’orientamento del creato a Dio; il laico è al servizio della costruzione di un mondo più umano e, in secondo luogo, della «riparazione» della Chiesa (secondo la visione francescana).

Possiamo così trarre una prima conclusione.

Considerare la «laicità» come una proprietà della Chiesa apre prospettive nuove e interessanti: Chiesa e mondo non sono due sfere tra loro separate; ciascuna di esse è autonoma nel proprio ambito, pur appartenendosi l’una all’altra. Così il laico, in quanto cristiano che vive e opera nel mondo, porta nel mondo il fermento evangelico e aiuta il mondo a mantenersi aperto all’infinito di Dio; in quanto essere umano appartenente a questo mondo e battezzato, porta nella Chiesa la dignità e la sofferenza delle realtà terrestri e aiuta la Chiesa a mantenersi incarnata nel mondo. Svolgendo questa missione, il laico cristiano va a Dio proprio attraverso la sua attività secolare.

 

 

4. I laici francescani

 

Spostiamo ora la nostra attenzione sui laici francescani, su coloro che, all’interno della famiglia francescana, partecipano alla vocazione e alla missione stessa dei laici cristiani.

Francesco intuì che anche i laici, immersi nelle attività mondane, avrebbero potuto vivere la penitenza/conversione seguendo Cristo; avrebbero potuto «ricostruire la Chiesa» attraverso la te­stimonianza di una vita evangelica e di una comunione fraterna nella vita secolare, senza dover diventare frati o entrare nei monasteri, cioè senza lasciare il «mondo». E il Signore gli diede un popolo di fratelli, i quali, attraverso un cammino di penitenza e di conversione centrato sul lavoro e sulle opere di carità, dimostrarono che i laici hanno nella Chiesa una collocazione essenziale e una specifica dignità, né più né meno delle altre componenti ecclesiali.

Sono, questi, i «Fratelli e sorelle della penitenza» che raccolsero da Francesco la dimen­sione laicale del suo carisma e formarono il Terz’Ordine, o come attualmente viene chiamato, l’Ordine Francescano Secolare, ramo laicale/secolare della famiglia francescana, Ordine la cui caratteristica o qualità specifica è la secolarità, in quanto la sua vocazione e la sua missione sono determinate dall’essere chiamato a vivere il Vangelo nel «secolo», secondo il carisma di Francesco d’Assisi e in comunione fraterna[8].

La Regola che Paolo VI ha donato all’OFS legge l’identità e la spiritualità dei francescani secolari alla luce di quanto il magistero conciliare aveva affermato del laicato cristiano. Secondo questa prospettiva, i laici francescani condividono la propria identità con tutti i laici cristiani; anch’essi partecipano direttamente, secondo la loro specifica vocazione secolare, alla mis­sione stessa della Chiesa.

La Regola orienta vocazione e impegno dell’OFS attraverso alcune linee programma­tiche, ispirate alla spiritualità francescana e in perfetta sintonia con l’insegnamento del concilio (cf. in particolare tutto il capitolo II sulla «forma di vita»). Sono poche ed essenziali indicazioni, ma sufficienti a guidare i laici francescani «in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta»[9].

In questo modo, la Regola si offre come progetto evangelico di «restaurazione» di un ordine temporale più giusto, in collaborazione con l’azione di Dio, a partire dall’interno delle strutture umane. In effetti, la Regola è un vero itinerario di penitenza evangelica da viversi nel mondo. Come per i laici cristiani, anche per i laici francescani la santità non passa sopra la loro condizione ordinaria; non viene realizzata «nonostante» essi vivano in famiglia, lavorino, studino, lottino per una società più giusta e più fraterna, ecc.; ma – ed era già la grande verità intuita da san Francesco – viene conseguita proprio mediante il loro vivere fedelmente ed evangelicamente tutte le situazioni pro­prie della condizione secolare.

Il modo particolare attraverso cui essi realizzano concretamente la penitenza / metànoia evangelica, e dunque il loro rapporto con Dio, con i fratelli e con le creature è la fraternità. «Fratelli e sorelle della penitenza», voleva Francesco. E il nome (come accade anche per il primo Ordine, «Frati minori»…), dice l’essere e il suo modo di realizzarsi.

 

5. La fraternità, segno della Chiesa

 

L’appartenenza dei laici francescani alla vocazione e missione della Chiesa viene presentata dalla Regola in un passo significativo: «Sepolti e risuscitati con Cristo nel battesimo, che li rende membri vivi della Chiesa, e ad essa più fortemente vincolati con la Profes­sione, si facciano testimoni e strumenti della sua missione tra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e la parola. Ispirati da san Francesco e con lui chiamati a ricostruire la Chiesa...»[10].

Ritroviamo le stesse indicazioni nelle Costituzioni Generali: «Chiamati a collaborare alla costruzione della Chiesa come sacramento di salvezza per tutti gli uomini e resi per il battesimo e la Professione testimoni e strumenti della sua missione, i francescani secolari annunzino Cristo con la vita e la parola. Il loro apostolato preferenziale è la testimonianza personale nell’ambiente in cui vivono e il servizio all’edificazione del regno di Dio nelle realtà terrestri»[11].

Da questi testi appare chiaro che i francescani laici, lavorando per un mondo in cui gli uomini possano vivere da fratelli, un mondo nel quale tutti possano riconoscersi figli dello stesso Padre celeste e amarsi tra loro come Cristo li ha amati, allo stesso tempo «restaurano» la Chiesa di Cristo. Altrove, poi, si dice che questa missione viene realizzata attraverso lo sviluppo di una forma alternativa di vita: attraverso la fraternità, la cui centralità è fondata nella specifica vocazione dell’OFS «a vivere il Vangelo in comunione fraterna»[12].

 

I laici francescani rispondono alla propria vocazione secondo alcune modalità proprie.

1) Prendendo coscienza che il servizio al regno viene attuato mediante la costruzione di un «mondo più fraterno ed evangelico».

2) Realizzando la fraternità. I francescani secolari vivono la missione della Chiesa «da fratelli», o «in fraternità».

Con il termine «fraternità» si indica normalmente la struttura-base di vita francescana in un determinato luogo, quale «cellula prima di tutto l’Ordine e un segno visibile della Chiesa, comunità d’amore». Ancor prima, però si vuole indicare il modo d’essere dei laici francescani. (In un certo senso, qui accade come è avvenuto per la Chiesa: il nome che designa la comunità cristiana è diventato, in seguito, il nome del luogo in cui essa si raduna).

Nella fraternità i laici francescani trovano «l’ambiente privi­legiato per sviluppare il senso ecclesiale e la vocazione francescana, nonché per animare la vita apostolica dei suoi membri»[13]. Inoltre, attraverso la vita di fraternità, essi sono come proiettati verso l’umanità intera, per realiz­zare quella «fratellanza universale»[14] che si estende anche alle creature, in un atteggia­mento di amore, di rispetto e di valorizzazione che corrisponde al piano di Dio creatore e Signore di tutte le cose.

Questi elementi sono importanti, in quanto delineano la fraternità come segno della Chiesa comunione e comunità d’amore, e dunque luogo in cui si concretizza il rapporto con il Dio Trinità e luogo in cui si realizzano rapporti interpersonali profondi.

Segno della Chiesa, e dunque presenza di Dio nel mondo e presenza del mondo di fronte a Dio. In essa i francescani secolari diventano attenti a riconoscere Cristo in ogni uomo e ad accogliere ciò che di Cristo è presente in ogni uomo: la sua dignità, la sua verità, il suo essere...

Segno della Chiesa, e dunque luogo in cui si realizza la sua dimensione secolare (la sua laicità) e si realizza l’indole secolare, cioè la qualità specifica dei suoi laici: la fraternità dei laici francescani non è una fraternità religiosa o sacerdotale; è, appunto, una fraternità laicale in senso pieno, poiché è fatta di laici, è situata nel mondo, è aperta al mondo, è inserita nelle condizioni concrete del mondo, è attenta alle esigenze del mondo, ed è pronta a dare la propria competenza e il proprio aiuto a questo mondo per orientarlo verso Dio.

Segno della Chiesa, e perciò luogo in cui ci si educa al senso comunitario, alla vita di fraternità. Essa è il luogo in cui ci si confronta sul proprio impegno nelle responsabilità e nelle attività secolari, ci si sostiene nelle difficoltà, si verifica la fede e il modo di testimoniarla di fronte alle sempre nuove sfide del mondo.

Ora, la Regola orienta la fraternità secolare a costruire un mondo più fraterno ed evangelico, a realizzare il regno di Dio esercitando con competenza le proprie responsabilità nello spirito cristiano di servizio, ricercando la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà[15]. Ciò impegna i francescani secolari a vivere da fratelli e in collaborazione con gli altri uomini (credenti o non credenti che siano), e dunque agli altri laici, nei luoghi propri della laicità: famiglia, lavoro, politica, istruzione, cultura, scienza, arte, assistenza…

Compito stupendo e immane.

Secondo quest’ottica laicale, la fraternità si presenta come la naturale barriera contro l’ossessiva ripetizione del peccato delle origini (l’uomo che si erge contro Dio) e contro l’individualismo che domina e soffoca la nostra società. Proprio vivendo in fraternità e secondo lo spirito della fraternità francescana, i laici francescani si manifestano quali strumenti docili nelle mani di Cristo riconciliatore e pacificatore universale, a loro volta creatori di rapporti interpersonali fraterni tra gli uomini che vivono nelle più svariate situazioni di vita.

 

 

Conclusione

 

A sintesi e conclusione di queste riflessioni, vorrei riproporvi un testo che sicuramente conoscete a memoria.

«Come il Padre vede in ogni uomo i lineamenti del suo Figlio, primogenito di una moltitudine di fratelli, i francescani secolari accolgano tutti gli uomini con animo umile e cortese, come dono del Signore e immagine di Cristo. Il senso di fraternità li renderà lieti di mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo»[16].

La moltitudine degli uomini fra­telli ha, per i francescani, un unico volto: quello di Cristo. Poiché in ogni uomo il Padre vede il Figlio suo, così fanno anche i francescani: riconoscono in ogni uomo un figlio di Dio e un fratello in Cristo. Da qui scaturisce un triplice impegno:

-         ad accogliere tutti gli uomini con umiltà e cortesia. La vocazione ad amare ogni persona li spinge ad accogliere tutti come un dono del Signore e a farsi prossimo di ognuno di essi, a essere per il fratello uno strumento dell’amore di Dio.

-         a mettersi alla pari con tutti gli uomini, specialmente i più piccoli, e cioè a dedicarsi con cura e sollecitudine alle necessità dei fratelli, proprio come Gesù, ricco di misericordia, agiva verso coloro che incontrava sulle strade della Palestina; proprio come insegna Francesco, secondo il quale «chi tratta male un povero fa ingiuria a Cristo, di cui quello porta la nobile divisa, e che per noi si fece povero in questo mondo»[17]. È qui indicato il senso della minorità tipica dei francescani secolari, i quali, seguendo san Francesco, stanno dalla parte dei poveri, dei piccoli, degli ultimi, di coloro che non hanno voce sul palcoscenico della sto­ria.

-         a restituire ad ogni uomo la dignità che ha ricevuto da Dio, facendosi carico della salva­guardia della dignità e dei diritti dei più deboli, sforzandosi di creare per essi condizioni di vita degne di creature amate da Dio e redente in Cristo, e ricordandosi quanto dice Francesco: «Ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio, in tutte quelle cose in cui Dio gli darà grazia»[18].

Di uomini così, di laici simili, hanno bisogno, oggi, la Chiesa e la nostra società.

 

Il Signore vi dia Pace!

 

 

 

BIBLIOGRAFIA MINIMA

 

 

Mi sono servito, oltre che dei documenti del magistero citati, di altri due testi:

 

C. Dallari, I Laici Francescani. Consacrati a Dio per la vita del Mondo, ed. Porziuncola, Assisi 1997.

G. Campanini, Il Laico nella Chiesa e nel Mondo, ed. Dehoniane, Bologna 2004.

 

 

 

 

 

Dalla Lettera a Diogneto (V, 1-17)

 

«I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell’odio».

 

 

 

 

[Bologna, 10.2.06 e Ferrara, 21.5.06]



[1] Cf. Benedetto XVI, Le ermeneutiche del Vaticano II, Reg.Doc. 1/2006, p. 8.

[2] LG 31.

[3] CL 10; cf. 11-13.

[4] CL 14.

[5] CL 16.

[6] CL 17.

[7] Cf. CL 3.

[8] Cf. Reg 2 ; CG 1,3; 3,1; 3,3.

[9] LG 31.

[10] Reg 6.

[11] CG 17,1. Anche il Rituale si allinea con i precedenti testi: con la Professione perpetua della Re­gola i laici francescani si impegnano a lavorare a favore della Chiesa e dell’umanità; a dare il loro contributo per il suo bene, per il suo perenne rinnovamento e per la sua missione tra gli uomini. Cf. Rit,pr 1; Rit,pr 14f; Rit 29.

[12] CG 3,3.

[13] Reg 22.

[14] Reg 18.

[15] Cf. Reg 14. E il Rituale: i laici francescani si consacrano al Regno di Dio (Cf. Rit 31), la qual cosa comporta «vivere in senso evangelico per il mondo», cioè essere in esso «fermento di vita evangelica» (Rit 12), dare testimonianza del Regno di Dio (Cf. Rit 29) e «servire alla gloria di Dio e al compi­mento del suo comandamento d’amore per gli uomini» (Rit 12).

[16] Reg 13.

[17] 1Cel 76: FF 454.

[18] Rnb 9: FF 32.