Il Prologo

 

 

[Il legame tra Prologo e Regola]

 

Il Prologo è una «esortazione», una vera norma di vita evangelica donata da Francesco ai Fratelli e alle Sorelle della Penitenza. Si presenta come un concretissimo programma di riconciliazione destinato ai laici battezzati.

Posto all’inizio della Regola, fa corpo unico con essa e manifesta la chiara intenzione di radicare tutta la Regola Ofs nel carisma di san Francesco e nella spiritualità francescana. N’è conferma, a mio parere, quel piccolo capolavoro di sintesi che è Reg. 7. Vale la pena richiamarlo: «Quali fratelli e sorelle della penitenza, in virtù della loro vocazione, sospinti dalla dinamica del Vangelo, conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che il Vangelo designa con il nome di conversione, la quale, per l’umana fragilità, deve essere attuata ogni giorno». A mio parere, questo passo ripropone in forma sintetica e con un linguaggio attuale il contenuto stesso del Prologo: chiamati dal Signore a seguirlo nella via della penitenza, i laici francescani accolgono il messaggio evangelico e rispondono con gratitudine e generosità, lasciandosi trascinare nel dinamismo della riconciliazione con Dio e con i fratelli, dando inizio a quella conversione/metànoia, che li condurrà a rimettere Dio al centro della propria vita.

 

[L’intuizione del Prologo]

 

Del Prologo vorrei riprendere, per ora, soltanto l’intuizione di fondo.

Come norma di vita, esso rivela l’intenzione profetica di Francesco di voler «portare tutti in paradiso», anche coloro che sembravano i meno «privilegiati», i laici battezzati, perché costretti ad occuparsi di attività giudicate non propriamente adatte ad esprimere una santità di vita. Ai laici egli spalanca un orizzonte di speranza: la beatitudine della vita trinitaria è anche alla loro portata, se abbracciano la via della penitenza: «Oh, come sono beati e benedetti [i Fratelli e le Sorelle della Penitenza], quando fanno tali cose e perseverano in esse; perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore, e farà presso di loro la sua abitazione e dimora; e sono figli del Padre celeste del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo» (FF 178/2). Francesco vuole rendere partecipi tutti gli uomini della scoperta che ne ha rivoluzionato l’esistenza: che Dio è il nostro Padre santissimo e che l’unica opera veramente degna da parte nostra è quella di porre in lui tutta la nostra fiducia e la nostra speranza, vivendo come figli, nella imitazione di Cristo povero e crocefisso. Perciò non dà delle norme spicce, non fa un regolamento; ben più: offre una prospettiva religiosa.

 

[Dimensione trinitaria]

 

La vocazione che Francesco prospetta ai laici cristiani ha una dimensione trinitaria: essi sono chiamati ad accogliere in sé lo Spirito del Signore, poiché solo lo Spirito può farli aderire radicalmente a Cristo, nella fede e nella gioia di sentirsi figli amati da Dio; e solo lo Spirito può sostenerli nel compiere le opere del Padre, cioè dimorare nella sua carità, donare vita, amore, riconciliazione, solidarietà, pace...

I laici francescani, cioè quei laici cristiani che accolgono la proposta penitenziale di Francesco e la vivono nella condizione secolare, si trovano dunque come ogni altro uomo nella situazione d’essere creature soggette al male e al peccato, ma per grazia chiamati dal Padre alla salvezza attraverso la via della conversione evangelica, o penitenza. C’è dunque un cammino che possono compiere: mossi e sostenuti dallo Spirito di Dio, essi abbandonano l’eredità di Adamo per vivere in quella di Cristo, per vivere cioè da figli di Dio. L’uomo, peccando, ha voluto dare la scalata al Cielo e divenire dio di se stesso. Ma Dio lo ha recuperato alla sua piena dignità di figlio mediante la fedeltà e l’obbedienza del Figlio suo, spinte sino alla morte. Perciò in Cristo, l’uomo, ripercorrendo la via della fedeltà al disegno del creatore e dell’obbedienza al Padre, può veramente raggiungere il fine per cui è stato creato.

 

[Seguire la via del Figlio]

 

Vivere nella penitenza significa dunque per i laici francescani percorrere, come il Figlio di Dio, la via della fedeltà e dell’obbedienza e quindi vincere con Cristo le tentazioni che la vita riserva, quelle tentazioni che solo apparentemente sono una scorciatoia per realizzare pienamente la dignità umana, mentre invece, smascherate da Cristo, si sono rivelate dei veri e propri tranelli che inducono l’uomo alla morte.

Cosa significa infatti «compiere le opere del Padre», se non «generare Cristo» attraverso la carità, la pura coscienza e le opere sante? E cosa significa unirsi a Cristo, se non accettare d’essere radicalmente, in lui e come lui, figli che compiono la volontà del Padre, unico e vero sacrificio a lui gradito? Ecco, allora, il senso del racconto delle tentazioni subite da Gesù nel deserto, paradigma di tutta la sua esistenza filiale: egli ha percorso la sua esistenza umana da vero Figlio di Dio, lottando contro il peccato e vincendo il maligno. Gesù, rifiutando il potere, il successo e la ricchezza come criteri per realizzare la sua missione di Figlio di Dio, centra tutto il suo operare sul servizio, sull’obbedienza e sulla povertà. Anche a noi viene prospettato lo stesso modo di realizzare la nostra figliolanza divina.

Ed ecco come potrebbe presentarsi l’itinerario penitenziale – le «opere del Padre» compiute dal Figlio e da lui proposte a tutti noi – suggerito dal Prologo:

-         Col rifiuto del potere (nel suo ampio significato di dominio), veniamo orientati verso un concreto servizio: si rinuncia allo spadroneggiare violento, fonte di sempre nuove ingiustizie, di sopraffazione, di rancori e di nuove violenze. Farsi servi di ogni creatura è mettersi al servizio del bene riconosciuto e onorato in ogni uomo.

-         Col rifiuto della ricchezza, per una povertà secondo lo spirito, si rinuncia all’avere, fonte di invidia, di ingordigia, di fiducia nei mezzi materiali. L’uomo non è solo avere; prima di tutto è essere che rimanda a Dio. Ciò che egli è e possiede, lo deve tutto a Dio - che è il Bene, il sommo Bene, da cui proviene ogni Bene. Comportarsi da padroni, o anche invidiare coloro che ne possiedono di più, sarebbe bestemmiare Dio.

-         Col rifiuto del prestigio, dell’ossessivo rincorrere il successo e la fama ad ogni costo, si rinuncia all’idolo dell’onore, al quale vengono sistematicamente sacrificate la verità e la giustizia.

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Tre considerazioni a conclusione di questa prima parte:

 

1. Francesco ricorda che Gesù ha pregato il Padre perché anche noi possiamo vincere, come lui e in lui, la nostra battaglia. E non solo ha pregato, ma per questo ha pure donato la sua vita. In questo senso, Cristo è il custode della dignità dell’uomo. Francesco ha ben chiaro che non è assolutamente scontato riuscire a portare a buon fine l’impresa della penitenza. Per questo aggiunge la seconda parte del Prologo, in cui richiama a non allentare la vigilanza. Come se dicesse: anche per il laico francescano una giornata è abbastanza lunga per vincere la propria battaglia e conservare la fede.

2. La riconciliazione è grazia: Dio Padre chiede di venire ad abitare nella sua casa, mediante il Figlio e lo Spirito Santo. Risentiamo le parole dell’Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Apc 3,20): Dio per noi vuole essere il Presente, colui che sente la responsabilità per ciascuna delle sue creature, il nostro vero, unico, grande Prossimo.

3. La penitenza, come accoglienza gioiosa di Dio e risposta al suo dono, prima d’essere la realizzazione di qualcosa (norme e precetti da osservare, pratiche penitenziali: digiuni, mortificazioni, rinunce, esercizi, devozioni…), è la scoperta e l’incontro con Qualcuno: con Dio, Padre misericordioso, con la persona vivente ed operante di Cristo, nello Spirito che tutto crea e tutto unisce. Solo di fronte ad un Dio di tenerezza che offre il suo perdono e la sua amicizia, siamo sollecitati a rivedere la nostra vita per «convergere» su di lui. Coincide, dunque, con il vivere, per la grazia dello Spirito del Signore, da figli del Padre che è nei cieli.