IV Domenica Quaresima                         10.3.2013

 

Giosuè 5,9.10-12

II ai Corinzi 5,17-21

Luca 15,1-3.11-32

Per avere il testo della riflessione via e-mail richiedere a:

briciolediparola@gmail.com

 

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa…

 

Preghiera del figlio minore

 

Parabola del Padre misericordioso, o del figlio prodigo – come una volta si diceva. Parabola che rappresenta il vertice dell’insegnamento di Gesù sul Padre. Parabola meditata in tutti modi possibili. Parabola infinita.

Per non ripetere cose troppo generiche, provo a concentrarmi sulla vicenda di quel giovane figlio… dando voce alla sua preghiera.

«Padre, sinora ti chiamavo “mio”, forse perché avevo occhi solo per le “mie” cose, quelle che pur appartenendo a te, mi spettavano per eredità. Tu non le hai negate quando le pretesi. E io le ho sperperate. Ho fatto così l’esperienza della povertà, della fame, della vergogna, del disprezzo degli altri, della solitudine, dell’umiliazione. Ho avvertito la pena di una vita che rotolava sempre più velocemente per le chine del non senso e della morte. Ho fatto l’esperienza della fatica di ritornare sui miei passi e di bussare a quella porta che avevo sbattuto andandomene di casa. Ma ho sperimentato anche la gioia della risurrezione che tu hai operato in me, quando mi hai accolto tra le tue braccia accoglienti e disponibili.

Ora lasciami andare fuori, rimanda un momento la festa, poiché la sala deve essere riempita da tutta la tua famiglia. Voglio incontrare mio fratello. Lui ce l’ha con me: non si è ancora reso conto della profondità del tuo amore. Spetta a me chiedergli perdono e riconciliarmi con lui. Tu lo sai, mi sono allontanato da te anche perché non sopportavo che egli, il primogenito, avesse tutti i diritti, tra cui quello di ereditare la tua casa. Mi dava fastidio essere guardato dall’alto in basso, come un servo. In casa dovevo sempre tacere, perché lui si reputava in diritto di dare ordini. Non comprendevo, invece, che nel tuo amore ci ritenevi tutti uguali, non facevi gerarchie o differenza di persone e tanto meno ingiustizie. Non mi ero reso conto che era proprio il tuo amore a rendermi possibile la libertà di chiedere e disporre dei tuoi beni, a rispettare la mia scelta e ad attendere paziente, pronto al perdono e a far festa. Ora che il tuo amore mi ha restituito alla vita, sento che devo uscire per ritrovare mio fratello...

Fratello buono, sono tornato nella casa tua e di tuo padre. Offendendo lui ho mancato di rispetto anche verso di te. Egli ha gettato sulle mie spalle nude il manto della misericordia, ha versato sulle piaghe dei miei piedi il balsamo della compassione, ha curato le ferite della mia anima con l’unica medicina capace di guarirle, la sua tenerezza. Ti prego, abbracciami anche tu, affinché non possiamo più dire “mio” o “tuo”, ma insieme Padre “nostro”».

 

P. Carlo