IV DOMENICA DI PASQUA                    15.05.2011

 

Atti 2,14.36-41

Prima Lettera di Pietro 2,20-25

Vangelo secondo Giovanni 10,1-10

 

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

 

Cristo è quell’uomo Gesù!

 

Vorrei soffermarmi sulle parole che Pietro rivolse al popolo il giorno stesso della Pentecoste: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocefisso» ( lettura). Questo annuncio contiene la novità cristiana per eccellenza. Ma andiamo per gradi.

Conosciamo bene “l’intervista” che Gesù fece riguardo alla propria identità: «La gente chi dice che io sia?» (cf. Mt 16,13-23). Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». Una risposta chiara, vero? Bene. Cosa dice? Che «Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio». Ora, facciamo attenzione alla grammatica. Con questa risposta Pietro è come se dicesse: «Noi sappiamo bene come deve essere il Cristo atteso, e tu Gesù corrispondi a questa nostra conoscenza». In altri termini, Pietro si dichiara illuminato sulla persona di Gesù, poiché può attribuirgli quello che, secondo lui, la speranze del popolo d’Israele dice del «Cristo».

Tuttavia, proprio qui sorge un problema. Coerentemente con la sua confessione di fede, subito dopo Pietro si oppone a che Gesù vada incontro al suo destino di morte. Ma Gesù non accetta di essere ostacolato e tratta il suo discepolo da satana. Perché?

Perché Gesù richiede a Pietro (e a tutti i suoi discepoli di ogni tempo) non tanto una dichiarazione più o meno entusiasta verso di Lui, bensì una conversione, una vera confessione di fede nella sua Persona. È quanto Pietro farà dopo la risurrezione di Gesù e la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. Pietro, infatti, concludendo il discorso rivolto alla folla che si era raccolta attorno al Cenacolo, così si esprime: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (At 2,36). Cosa notiamo in questa professione di fede? Una effettiva inversione grammaticale. Infatti, egli dice: «Il Cristo è quel Gesù che avete crocifisso»: il Cristo che né i discepoli, né il popolo di Israele potevano conoscere, in quanto appartenente al mistero di Dio, ora può essere riconosciuto soltanto guardando a “quell’uomo Gesù” che i discepoli conoscevano bene, per essere stati testimoni di tutto quel che aveva detto e fatto, e che è stato confitto in croce.

Dunque, Pietro ci invita a compiere un vero capovolgimento di mentalità. Se anche noi ci limitiamo ad applicare le nostre idee sul “Cristo”, o sul “Figlio di Dio” al Gesù di cui parlano i Vangeli, ne seguirà che Gesù stesso ci interesserà soltanto se lo vedremo corrispondere alle nostre idee, alle nostre attese, ai nostri progetti. Qualora ciò non accadesse, concluderemmo che non ci interessa più. Proprio questo era, in effetti, il pensiero di Pietro, di Giuda, dei sommi sacerdoti e di tanti altri che ben presto voltarono le spalle a quell’uomo messo in croce.

Se invece accogliamo la confessione pasquale di Pietro e contempliamo il volto del Crocefisso, allora ci si spalancherà davanti il vero volto di Dio e della sua infinita misericordia. Sotto il giudizio della sua croce, segno di un amore senza limiti, riportiamo dunque le nostre speranze e le nostre idee, perché egli le redima e le corregga, qualora non corrispondano al suo cuore o alla sua Parola. Questa è la conversione che Cristo si aspetta da noi.

 

 

P. Carlo