III Domenica di Pasqua                        29.04.2012

 

Atti 4,8-12

Prima Lettera di Giovanni 3,1-2

Vangelo secondo Giovanni 10,11-18

 

Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 

Un modello autentico

 

Domenica del «buon Pastore»: «buono» non tanto perché animato da sentimenti di gentilezza e di premura, quanto perché egli è il vero, l’autentico pastore, colui che sa adoperarsi per bene del suo gregge.

Cosa dunque vuole dirci Gesù con questa immagine?

Il tempo di Pasqua che stiamo vivendo ci offre la prospettiva giusta per interpretare la vita di Gesù in tutti i suoi momenti, da Nazaret, lungo le strade della Palestina sino al Calvario, per accogliere il suo insegnamento, per sondarne i sentimenti più profondi, per condividerne le scelte e le azioni. Potremmo dire che la luce della risurrezione chiarisce il senso della sua incarnazione.

Sotto questa luce, «quel Gesù che voi avete crocefisso» appare vero Dio e vero uomo, come confessiamo nel Credo. Non solo del tutto Dio, dunque, ma anche del tutto uomo, il solo vero e autentico uomo, pienamente realizzato, «l’uomo del futuro», cioè l’uomo nella sua realizzazione ultima, perfetta. L’uomo definitivo.

Cosa significa ciò?

Significa che «quell’uomo Gesù» è l’esemplare che Dio ha tenuto presente per creare ogni uomo vivente in questo mondo, dall’inizio sino alla fine del tempi. È il modello di cui noi siamo l’immagine, il modello da imitare per divenire finalmente «qualcuno», per non fallire.

Proprio per dichiararci questo, il Padre ha risuscitato Gesù.

Come uomo Gesù era certamente un uomo del suo tempo, soggetto ai suoi limiti di cultura e di altro. Ma, nello stesso tempo, la sua vita, il modo in cui l’ha spesa, fa capire che “quell’uomo Gesù” era anche infinitamente più grande di quel che sembrava. Era l’anticipo dell’umanità nuova, l’annuncio di come sarà l’umanità, l’umanità come Dio la chiama e come l’aiuta a divenire. In quello che è profondamente umano, per esempio nella capacità di rapporto con gli altri, Gesù era già arrivato là dove noi impiegheremo forse millenni, tutti i millenni che ci separano dal Giorno del Signore.

Questa è la ragione per cui Gesù può definire se stesso, in piena verità, «Io sono il buon Pastore». Dice: «Io sono», riecheggiando l’antico Nome di Dio; dice «buono», perché capace di esporre la propria vita per noi. Chi di noi farebbe altrettanto per un estraneo o per un nemico? E dice «buono», perché conosce ciascuno di noi per nome. Sapendo il valore del termine biblico «conoscere», comprendiamo ciò che egli vuole dirci: noi gli apparteniamo e lui ci appartiene, come lo sposo e la sposa si appartengono.

Questa è una verità di fede consolante, una verità che illumina il mistero stesso della nostra esistenza. Mi piace ricordare un’espressione molto bella e molto vera. Facendo il verso al «Penso dunque sono» di Cartesio, padre del razionalismo illuminista e di tutti i nostri guai moderni, Hannah Arendt ha detto: «Sono stata pensata, quindi sono». In effetti, essa sintetizza l’insegnamento di Gesù, secondo cui noi esistiamo perché il Padre ama e vuole dall’eternità ognuno di noi, singolarmente, personalmente. Scommette su di noi con tutta la libertà del suo amore e non solo desidera o attende, ma «spera» che noi decidiamo di entrare nel dialogo d’amore con lui e poniamo in lui la nostra fiducia e la nostra speranza.

Gesù, pastore buono, ci insegna ad essere uomini e donne, pienamente figli di Dio.

P. Carlo