III Domenica Tempo Ordinario                 3.2.2013

 

Geremia 1,4-5.17-19

I Corinzi 12,31 – 13,13

Luca 4,21-30

Per avere il testo della riflessione via e-mail richiedere a:

briciolediparola@gmail.com

 

In quel tempo Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

 

Non è costui il figlio di Giuseppe?

 

La pagina evangelica di questa domenica si apre con l’affer­mazione di Gesù riguardo al compimento delle Scritture nella sua persona. Era la conclusione del vangelo di domenica scorsa, che oggi riprendiamo con il seguito del racconto.

Un episodio drammatico, anche se termina con un rassicurante happy end. Ed ha un ruolo importante nel Vangelo di Luca.

Come l’evangelista Giovanni (ricordiamo l’episodio delle nozze di Cana), anche Luca pone all’inizio del ministero di Gesù una vicenda che, proprio per la sua collocazione, assume un valore simbolico. Ciò che è accaduto all’inizio della missione pubblica di Gesù si avvererà in tutta la sua violenta pesantezza proprio alla sua conclusione.

Due sono le ragioni che collegano quanto accaduto a Nazaret alla sua Pasqua di morte e risurrezione.

Ora, i suoi compaesani tentano di giustiziarlo; alla fine, sarà il suo popolo a ripudiarlo e a consegnarlo alle autorità romane perché sia crocefisso. “… Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’accolsero”, dirà l’evangelista Giovanni.

Ora, Gesù passa tra i suoi e “si mette in cammino”. Si allontana cioè con sovrana libertà. Nessuno tra i suoi compaesani può fermarlo nel compimento della volontà del Padre, nel dono di se stesso per la salvezza di tutti gli uomini. Alla fine, dopo che il suo popolo sembra aver trionfato su di lui per averlo appeso a una croce, il Padre lo “libererà dalle angosce della morte” e gli darà la pienezza della vita.

Ecco perché questo episodio ha un’importanza fondamentale: ci apre al senso della vicenda stessa del Figlio di Dio.

Ma perché, dopo l’iniziale  meraviglia, i nazaretani gli opporranno un rifiuto così violento?

A prima vista, sembra perché Gesù li ferisce nel loro orgoglio. Erano i compaesani di un personaggio ormai famoso “all’estero” e ci tenevano ad essere onorati con gli stessi miracoli che, si diceva, avesse fatto a Cafarnao… Ma la questione è più profonda; viene tradita da quelle parole: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».

I suoi compaesani vedono in lui soltanto un uomo come loro. Sarà dunque la gelosia (Perché a Cafarnao sì e a Nazaret no?), o l’invidia (È solo un figlio di falegname!), o la rabbia nel sentirsi trattare male (“Chi siamo noi, i figli della serva?), che impedirà loro di riconoscere in lui il Messia annunciato dai profeti, un tempo, e dal Battista, ultimamente…

Questo episodio, manifestamente e fortemente simbolico, ci offre anche la chiave di lettura per arrivare a scoprire come avvicinarsi a Gesù e riconoscere la sua vera identità: con fede. E su questa linea si ripropone anche alla nostra riflessione. Non basta, infatti, lasciarsi entusiasmare dal “personaggio” Gesù; non basta dire: Sappiamo tutto di lui; non basta dirgli: Sei uno di noi, prendi la nostra parte… Occorre, soprattutto, seguirlo per la sua stessa via, senza lasciarci impaurire se questa passa per la morte.

Egli è il Signore della vita.

P. Carlo