II TEMPO ORDINARIO                          16.01.2011

 

Isaia 49,3.5-6

Prima ai Corinzi 1,1-3

Vangelo secondo Giovanni 1,29-34

 

 

In quel tempo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

 

 

Un Dio solidale

 

Ci entrerà mai in testa e, soprattutto, nel cuore quanto viene proclamato in questa pagina del vangelo di Giovanni? Perché, quando pensiamo e parliamo di Dio, continuiamo ancora, in modo per lo più sottile e nascosto, a pensarlo e proclamarlo lontano e indifferente di fronte alle catastrofi che, con orrore, vediamo quotidianamente riproposte dai mass media?

E perché dobbiamo così spesso sorbirci la monotona predica dei soliti commentatori che, a disco incantato sullo stesso solco, ripetono che se ci fosse un dio non dovrebbe permettere tutto ciò e che i cristiani non sanno cosa rispondere di fronte al grande problema di sempre: «Il male: da dove viene e perché esiste»?

A ciascuno la libertà di pensare ciò che vuole, e di portarne le conseguenze – ma non si dica che i cristiani non hanno qualcosa di ben più importante da ribattere, oltre le opinioni di quei “so-tutto-io”. Hanno la speranza, suscitata e sorretta da Colui che si è caricato del “peccato del mondo”, e dunque del Male per eccellenza, il nemico dell’uomo, la forza oscura che distrugge la vita in lui e nell’ambiente che abita.

Il Battista proclama: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». “Toglie”, cioè “porta via” da noi, prendendolo su di sé per trascinarlo nella propria morte. Gesù è il Dio che si carica del Male, del peccato fondamentale dell’uomo, quello che gli impedisce di riconoscersi e vivere da figlio di Dio e fratello di ogni altro simile, anzi, fratello di ogni creatura.

Questo Dio non scarica sull’uomo la responsabilità della sua non-fede. Non gliela fa pagare. Non esige la vita del peccatore. Tutt’altro: gli toglie quel macigno che non riesce – come il mitico Sisifo – a spingere sulla cima del monte; lo solleva da quel peso, fino a rimanerne egli stesso schiacciato. Perché vuole che la sua creatura possa mettere le ali e sollevarsi.

E compie questo con mansuetudine. Per usare l’immagine biblica: ponendo la stessa resistenza dell’agnello condotto al macello.

Gesù, nostro fratello, vittima lui stesso. Ma vittima di che? Forse dell’ira di Dio, che si placa solo con il sangue dei sacrifici? Della giustizia di Dio che come risarcimento esige la morte dell’unico innocente? No. Mentre in tutte le religioni è l’uomo che deve sacrificare qualcosa per Dio, per noi cristiani è Dio che sacrifica se stesso per l’uomo; dà la sua vita anche per coloro che gliela tolgono. «E dal suo costato aperto sulla croce non esce vendetta o rabbia, ma sangue e acqua, sangue d’amore, acqua di vita, la capacità di amare sempre e comunque. Di che cosa è vittima allora l’Agnello di Dio? Gesù è vittima d’amore» (E. Ronchi).

Il male c’è, allora, ma non ha la parola definitiva sulla nostra fragile vita. Una vita che continuerà ad accusare i contraccolpi del male che noi stessi facciamo, ma che non riuscirà a distruggerci. Non avrà l’ultima parola.

«Ecco l’Agnello di Dio»: ecco il nostro Dio, solidale con ciascuno di noi e con tutti gli uomini. È in questa solidarietà che il Male riceve la risposta definitiva.

Questo deve farci pensare.

P. Carlo