II Domenica
dopo Natale 5.1.2014
Siracide 24,1-4.12-16
Lettera agli Efesini
1,3-6.15-18
Vangelo secondo
Giovanni 1-5.9-14
In principio era il Verbo, e il Verbo
era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è
stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
[…]
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel
mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha
riconosciuto. […] E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e
noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che
viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. […]
Siamo Figli di Dio
«… E il Verbo
si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi…»: l’evento della nascita del
Figlio di Dio viene contemplato, nelle letture di questa II domenica dopo
Natale, alla luce dell’eterna sapienza di Dio. Il nostro sguardo viene elevato
dalla mangiatoia di Betlemme oltre il tempo, verso l’eternità di Dio.
Del
mistero della pre-esistenza del Cristo non possiamo dire nulla di più di quanto
le Scritture – san Giovanni e san Paolo in particolare – affermano. Ma quanto
ci viene detto è infinitamente bello e grande: il Padre ci ha creati per il
Figlio suo: siamo il suo dono per il Figlio; inoltre, ci dona il Figlio suo
come nostro fratello, e gli affida la missione di rivelarci il suo volto e di
condurci a salvezza. Noi apparteniamo al Figlio di Dio e questi appartiene a
noi. È una appartenenza d’amore, di dono ei libertà; se crediamo in lui, egli
ci offre la possibilità di realizzare pienamente ciò che noi siamo per natura e
per vocazione: essere figli di Dio.
Di
questa stupefacente “buona notizia” troviamo un accenno nelle letture odierne.
Afferma san Paolo: sin dall’eternità il Padre ci ha scelti in Cristo per essere santi,
predestinandoci ad essere figli di Dio mediante l’opera del Figlio suo (seconda
lettura). Gli fa eco l’evangelista Giovanni: in Cristo abbiamo il potere di diventare figli di Dio, generati
mediante la fede in Gesù.
Con
l’incarnazione, il Figlio è venuto nella sua casa, tra la sua
gente, che siamo tutti noi, e con noi ha iniziato il suo dialogo di salvezza.
Con l’incarnazione del Verbo eterno, la nostra umanità diventa quella del
Figlio e noi siamo figli di Dio in un modo del tutto impensabile prima
d’allora.
Apparteniamo a
un Dio che ama infinitamente ognuno dei suoi figli, bello o brutto che sia, buono
o cattivo, bianco o nero, vittorioso sugli eventi della vita o sconfitto,
grande o piccolo, realizzato o fallito. A un Dio che, se gli fosse possibile
una preferenza, sceglierebbe comunque i battuti, i crocefissi, come il Figlio
suo.
Guardandoci
alla luce di questo mistero d’amore e di grazia, vediamo che ciascun uomo porta
in sé i tratti del Figlio di Dio. Ma non solo. Appartiene anche a questo
Figlio. Un’appartenenza originaria, poiché non è stata acquistata nel corso del
tempo, neppure dopo il peccato; un’appartenenza universale, poiché tutti gli
uomini gli appartengono, non solo i buoni o i santi; un’appartenenza
incancellabile, proprio perché Dio non si pente di ciò che ha operato per
amore; un’appartenenza, infine, affidata alla libertà di ogni persona, perciò
sempre in sviluppo, mai pienamente compiuta nella nostra storia.
Le conseguenze
di questa appartenenza sono molteplici.
Credendo in
Gesù, Figlio di Dio, scopriamo in lui il senso profondo della nostra vita. Allo
stesso tempo, ci viene offerta la possibilità di pensare e parlare rettamente
di Dio. Tutti apparteniamo a Cristo, tutti viviamo per l’amore che il Padre
riversa su di noi. Se non ci fosse rivelato l’amore, se non lo sperimentassimo
e non lo facessimo nostro, se non vi partecipassimo vivamente, rimarremmo per
noi stessi incomprensibili e la nostra vita sarebbe una trappola infernale… Ma in Cristo ci scopriamo figli amati dal
Padre: questa è la nostra vera natura, la base di partenza per conoscere la
nostra origine, ciò che siamo e ciò che ci viene donato di diventare.
Grazie
all’appartenenza al Figlio di Dio, più ci avvicina a lui, più diventiamo
veramente uomini (cf. GS 22).
P. Carlo