III Domenica di Quaresima                   11.03.2012

 

Esodo 20, 1-17

Prima Lettera ai Corinzi 1,22-25

Vangelo secondo Giovanni 2,13-25

 

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà…

 

E tu, chi adori?

 

La prima lettura ci ripropone le antiche “Dieci Parole” che Dio ha affidato al popolo di Israele al momento dell’alleanza sul Sinai. Con esse Dio indica a Israele la via della vita e del bene (cf. Dt 30.15-20).

Sono Parole esigenti, come esigente è il suo amore per Israele, popolo di sua proprietà. Dichiarano una reciproca appartenenza: “Io sono il Signore, tuo Dio”, e “Tu sarai per me il mio popolo”.

Sono anche Parole di libertà, poiché consentono a Israele di sottrarsi alla trappola mortale dell’idolatria, cioè alla deviazione dal vero culto di Dio. Non per nulla, il primo comando è tassativo: “Non avrai altri dèi di fronte a me… non ti farai idolo o immagine alcuna” di qualsiasi creatura, per poi affermare: “Ecco, Israele, il tuo dio!” (cf. Es 32,4). Dio, che ha liberato Israele dalla schiavitù in terra d’Egitto, non vuole che cada in una nuova schiavitù peggiore della prima. È un Dio “geloso”, ama troppo il proprio popolo e ci tiene alla sua felicità.

Il passo del vangelo si inserisce in questa prospettiva di fondo. Gesù scaccia i mercanti dal Tempio di Gerusalemme: la casa del Padre suo deve essere casa di adorazione, non di mercato! Il rispetto della casa del Padre è sempre stato il suo obbiettivo, come ben dimostra l’episodio narrato da Luca: appena dodicenne, ai suoi genitori che lo avevano ritrovato nel Tempio dopo tre giorni di affannosa ricerca, disse: “Perché mi cercavate? Non sapete che io devo occuparmi della casa del Padre mio?” (cf. Lc 2,41-50).

Il Tempio, luogo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, non deve offrire il minimo sospetto di idolatria o di deviazione dal culto. Tuttavia, Gesù non si limita a portare un po’ di ordine in quel luogo santo trasformato in un “covo di ladri” (Mt 21,13). Già questo gesto era un segno importante, poiché si credeva che, quando sarebbe venuto, il Messia avrebbe purificato anzitutto il Tempio. Gesù carica il suo gesto purificatore di un nuovo significato: il Tempio in cui si potrà adorare Dio “in Spirito e Verità” (Gv 4,23) non sarà più un Tempio di pietra, ma il suo stesso corpo. E, come segno di conferma, dice: “Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. I suoi discepoli capiranno il senso di queste parole soltanto dopo la sua risurrezione, quando comprenderanno che “il corpo del Cristo risorto” è il nuovo Tempio in cui è veramente possibile adorare Dio.

A partire da Gesù, i veri adoratori sono coloro che, uniti per opera dello Spirito in lui, sommo ed eterno sacerdote della nuova alleanza, assieme a lui offrono se stessi al Padre.

Le letture di questa domenica sono un forte richiamo a ripensare il nostro modo di credere. Ed è bene ascoltarle con attenzione, perché il pericolo dell’idolatria è sempre incombente. San Paolo ci offre un’indicazione preziosa. Afferma: non fate come i “giudei” che per credere esigono segni, miracoli; e neppure come i “greci” che per credere esigono che il mistero di Dio sia ridotto entro gli schemi di una sapienza umana. Così dicendo, egli mette allo scoperto l’abbaglio di chi pretende sia Dio a sbrogliare la matassa dei problemi che lo riguardano: «Se veramente gli interessa che lo conosciamo per quel che è, si dia a vedere!». Si crede solo dietro a “prove” e miracoli. Questo è anche l’errore di chi pretende di spiegare il mistero di Dio mediante i concetti chiari e distinti della ragione. La fede non è un generico sentimentalismo religioso o un’ideologia e neppure un teorema; è un dono d’amore, la consegna di sé al Padre. Gesù richiede ai suoi una fiducia piena di speranza e di carità: è questa la fede che ci fa essere i “veri adoratori” che il Padre cerca (cf. Gv 4,23); è questa la fede che ci libera dall’idolatria e ci apre alla salvezza.

 

P. Carlo