III - QUARESIMA 27.03.2011
Esodo 17,3-7
Lettera ai Romani 5,1-2.5-8
Vangelo secondo Giovanni 4,5-42
Gesù giunse a una città della Samaria
chiamata Sicar… qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù
dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa
mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù:
«Dammi da bere»… Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei
giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti
non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il
dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a
lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai
un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? …
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi
berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua
che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita
eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia
più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua»…
Veri adoratori del Padre
Disprezzati dai giudei, perché meticci e turbolenti, i samaritani erano anche considerati eretici, poiché non accettavano tutte le sacre Scritture ebraiche ed avevano eretto presso Sichem un tempio alternativo a quello di Gerusalemme. Al dire di Gesù, essi adoravano lo stesso Dio degli ebrei, senza tuttavia “conoscerlo” veramente.
Gesù passa attraverso il loro territorio, perché il Padre suo vuole così. E a Sichem, presso il pozzo di Giacobbe, incontra una donna samaritana, venuta per attingere acqua. Di questa donna non viene ricordato il nome, come se rappresentasse tutto il suo popolo, di cui esprime la sete di Dio e l’attesa del Messia. Gesù le si offre come acqua dissetante. Un dono immenso: è Dio che si offre a lei perché abbia la vita eterna.
Gesù, pur rivendicando ai giudei la vera conoscenza di Dio, le dice che è ormai giunto il tempo – è proprio questo – in cui Dio non sarà più “proprietà” di un solo popolo, non sarà più relegato in un tempio di pietra. A partire da questo momento, Dio sarà adorato “in Spirito e Verità”. Per questo è venuto: per portare al Padre adoratori in Spirito e Verità. Egli sa che il Padre cerca simili adoratori.
Chi sono
costoro? E cosa significa adorare in Spirito e Verità?
Il termine “adorare” dice “portare alla bocca, baciare”: creare comunione con l’oggetto del nostro desiderio, della nostra sete profonda. La nostra vita non sarà dunque uguale se orientiamo la nostra adorazione verso noi stessi, o verso un oggetto, o verso Dio.
In fondo, adorare Dio è anche un modo di vivere, un modo di vedere il mondo alla luce di Dio; è innalzare se stessi a un livello più alto dell’esistenza, per cogliere il mondo dal punto di vista divino e diventare persone che lasciano trasparire Dio attraverso se stessi, le proprie azioni, le parole, le scelte della vita…
Con l’espressione “adorare Dio in Spirito e Verità” Gesù ci invita ad unirci a lui, nello Spirito Santo, all’adorazione che egli fa incessantemente salire al Padre a nome nostro. La sua è l’adorazione vera, l’unica che varca i confini della nostra umanità e raggiunge il cuore del Padre.
Uniti a Cristo, via che porta al Padre, la nostra adorazione ci fa essere veri figli di Dio e ci permette di sfuggire al pericolo di chiuderci in noi stessi, nel nostro egoismo, ed anche di vincere la tentazione di costringere Dio entro le nostre deformazioni idolatriche.
La giusta adorazione genera verità e libertà. La libertà dei figli di Dio.
P. Carlo
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con P. Luppi:
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