XXXIV DOMENICA Tempo Ordinario       21.11.2011

 

Ezechiele 34,11-12.15-17

Prima Lettera ai Corinzi 15,20-26

Vangelo secondo Matteo 25,31-46

 

Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” […].

 

Saremo giudicati sull’amore

 

Celebriamo oggi la solennità di Cristo Re dell’universo, con cui si chiude l’anno liturgico. Della regalità di Cristo viene ripresa – nella lettura del vangelo – la sua manifestazione ultima, il giudizio finale che chiuderà la storia.

È quasi un riflesso condizionato: quando si sente parlare di giudizio finale, si avverte nel nostro profondo un vago senso di timore – eredità di lontane prediche… E poi, non ci va di rendere conto a qualcuno, tanto meno di essere giudicati. Anche da Dio. E la secolare insistenza sulla “pericolosità” di questo rendiconto conclusivo, dal quale non possiamo sottrarci, fanno scattare in noi la paura.

Ora, Cristo, senza togliere assolutamente nulla alla serietà del suo giudizio, non giustifica paure di alcun genere. Al contrario, ci riempie di fiducia, poiché ci ricorda che da lui tutto ha avuto inizio, a lui tutto farà ritorno e che non permetterà che l’odio, la falsità, l’ingiustizia e ogni genere di male possano continuare a imperversare sulle creature, frutto del suo amore. Per questa ragione, il “buon annuncio” del suo giudizio è per noi fonte di consolazione, di gioia e di speranza, poiché dà un senso alla nostra vita. Infatti, senza un giudizio che non separasse il bene dal male, il vero dal falso, la luce dalle tenebre, la giustizia dall’ingiustizia, e che non segnasse la fine del male, saremmo senza futuro e facile preda della disperazione. La vita non varrebbe la pena d’essere vissuta.

Il giudizio di Cristo è il trionfo del suo amore su tutto ciò che è uscito dalle sue mani di creatore e dal suo cuore di redentore. Sarà come una luce che mette in chiaro tutti i nostri lati oscuri, come il fuoco che brucia la paglia della nostra inconsistenza, lasciando, purificato, tutto il bene che da lui ci è stato dato e tutto il bene scaturito dalle nostre azioni.

La parabola di questa domenica ci richiama a questa verità. Essa ci insegna, per prima cosa, che il Padre affida il giudizio al Figlio, a lui che ci ha amato sino al dono ultimo della propria vita a nostro favore. Ci insegna pure che il Figlio non aprirà nessun libro, nessun elenco delle nostre debolezze, delle nostre fragilità, dei nostri fallimenti. Scorrerà, se mai, l’elenco di tutti i gesti di bontà e di amore che avremo compiuto: “Mi avete dato da mangiare e da bere, mi avete vestito e visitato…”. Forse ci sorprenderemo anche noi a chiedergli: “Quando mai abbiamo fatto una sola di queste cose nel tuoi confronti?”. Sappiamo già cosa egli ci risponderà.

Questa parabola evangelica è dunque tutt’altro che una minaccia; è una esortazione, meglio un invito pressante a tuffarci nelle possibilità di bene che possiamo compiere, sin che abbiamo la libertà di poter rispondere con amore a quello che Cristo ha riversato in noi, sin che abbiamo la possibilità di “amare quel pezzettino di Dio che è presente in ogni uomo” (E. Hillesum).

 Questa è la confortante verità della nostra fede: «Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore».

 

P. Carlo