XXXIV DOMENICA Tempo Ordinario       21.11.2010

 

Secondo Libro di Samuele 5,1-3

Lettera ai Colossesi 1,12-20

Vangelo secondo Luca 23,35-43

 

Questi è il re dei Giudei

 

Con la solennità di Cristo, re dell’universo si conclude l’anno liturgico. La liturgia, che nella pasqua di morte e risurrezione del Signore celebra Cristo unico mediatore di salvezza, ora lo celebra come il Signore al quale tutto appartiene. Tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui; tutto deve ritornare a lui.

L’espressione “re” dell’universo non è certo moderna; tuttavia, il suo significato è abbastanza chiaro per il credente o per chi abbia una pur minima conoscenza del vangelo. Tra i tanti passi che alludono alla regalità di Cristo, la liturgia odierna sceglie l’episodio della crocifissione e dell’iscrizione posta sulla croce: «Questi è Gesù il nazareno, re dei Giudei». Un’iscrizione beffarda nelle intenzioni di Pilato, profetica in realtà.

Di quale regno Gesù è re?

I nostri “regni” sono l’espressione infinitamente varia non solo della nostra capacità di organizzare la vita sociale, ma anche della sete di potere e degli artifici che mettiamo in atto per impadronircene, tenerlo saldamente, potenziarlo e difenderlo. Abbattiamo regni e li sostituiamo con altri, a seconda delle esigenze, della potenza e della fortuna. Tuttavia, dopo aver investito tanto in termini di energie e di risorse, arriva il momento in cui l’impero si logora e cade. Di esso non rimane altro che qualche sommario ricordo sui libri o qualche frantumo raccolto come pezzo da museo.

Ma questo concetto di regno non coincide assolutamente con quello di Gesù, con buona pace di tutti coloro che, per una specie di istinto riflesso, ogni volta che sentono qualche “uomo di chiesa” parlare di potere, o accostare “regno” e “Dio”, evocano i fantasmi del fondamentalismo religioso, dell’ingerenza della Chiesa negli affari dello Stato… Costoro fanno buona compagnia a Pilato e ai sadducei!

Per avvicinarci a quanto Gesù intende per “regno”, può essere utile chiedersi: fino a che punto vogliamo veramente accettare che Cristo sia al centro della nostra vita? Fino a che punto lo lasciamo “regnare” nella nostra coscienza, affinché tutto ciò che esiste di buono e di giusto sia il desiderio e la finalità di ogni nostra azione? Il suo regno non segue la logica dei nostri regni, dove il potere conta più del servizio, la forza più della debolezza, la vittoria più della sconfitta, il denaro più della povertà, la furbizia più della semplicità, il chiasso più del silenzio… (cf. Lc 22,25-27).

Del regno di Dio Gesù è la presenza stessa nel mondo, e più d’una volta egli non esita a chiarirne il senso e la portata. A chi gli tendeva tranelli per avere di che accusarlo davanti al procuratore romano, egli dice che “bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare”, senza mescolare indebitamente il potere politico con quello di Dio. Una volta, poi, tradotto davanti a Pilato, egli chiarirà ancora meglio la sua posizione: “Il mio regno non è di questo mondo”: non è come il tuo. Il governatore romano, che vuole verificare l’esatta pericolosità di quell’uomo, constata che non è più pericoloso di un agnello. Ciononostante, non si fa scrupolo di eliminare un giudeo in più e di prendersi beffe di lui, facendo apporre sulla croce l’iscrizione più vera che potesse mai ideare: «Questi è il re…».

«Il popolo stava a guardare» la scena della crocifissione, dice il vangelo. Quel popolo siamo noi. Osserviamo lo scherno dei capi, che sfidano Dio; lo scherno dei soldati, che temono soltanto i forti; gli insulti del brigante, che non può più far violenza agli altri… e contempliamo come su quella croce, Gesù, sia re in un senso diverso e nuovo. La sua regalità risplende nel rifiuto di servirsi «della sua potenza divina per salvare se stesso, per sottrarsi al completo dono di sé, per costringere coloro che lo rifiutano ad ammettere il loro torto» (Maggioni).

Gesù è il Re che si è messo al nostro servizio, sino a donare la propria vita per il nostro bene, manifestando così di possedere la vera onnipotenza di Dio, che è la potenza dell’amore.

P. Carlo