XXXI DOMENICA  Tempo Ordinario        31.10.2010

 

Sapienza 11,22 – 12,2

Seconda Lettera ai Tessalonicesi 1,11 – 2,2

Vangelo secondo Luca 19,1-10

 

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

 

Lo sguardo che salva

 

Cosa accadde a Zaccheo, quel giorno in cui Gesù passò da Gerico.

La ressa attorno a Gesù era tanta, un vero muro umano lo separava da chi arrivava in ritardo… o da chi era piccolo di statura, come lui, Zaccheo. Piccolo, sì, ma senza complessi e animato da un forte desiderio di vedere Gesù. Perciò, si ingegna: sale su un albero di sicomoro, lungo la via.

Il vangelo definisce la posizione religiosa di quest’uomo: era un pubblicano. In altre parole, faceva l’esattore delle tasse – mestiere odioso in tutti i tempi – quotidianamente seduto alla porta principale della città per spennare chi doveva entrare o uscire; a tutti gli effetti era considerato un pubblico peccatore, poiché quella professione lo esponeva al sopruso e al profitto indebito. Ma, Zaccheo non sapeva soltanto far di conto e intascare. Sapeva anche percepire quella voce, a volte così debole e mai addomesticata, che arrivava dal profondo della propria coscienza; voce che, in quel frangente, si faceva sentire come desiderio di vedere quel rabbi di nome Gesù.

Spinto dunque da questo desiderio, sale sul sicomoro. Quando Gesù passa di sotto, alza gli occhi, lo fissa e lo chiama per nome.

Il racconto evangelico, che inevitabilmente tradisce una situazione non priva di una sottile vena d’ironia, è significativo.

Quell’uomo, ritenuto un peccatore, sta in alto; mentre il rabbi, acclamato dalla folla che gli fa corteo, in basso. Gesù, dunque, passa e guarda in su, punta su Zaccheo.

Soffermiamoci a riflettere su questo particolare.

Non dovrebbe essere il “posto” di Gesù, il Figlio di Dio, sempre in alto, sempre al di sopra di tutti? Invece, egli si è spogliato della propria divinità per assumere la fragilità della nostra natura umana; si è fatto povero tra i poveri, ultimo tra gli ultimi; è entrato nell’abisso della nostra sofferenza; è penetrato nel buio della nostra morte. Tutto ciò perché l’uomo, in qualsiasi luogo vada a cacciarsi, trovi sempre quel Figlio di Dio più in basso di lui, sotto i propri piedi, pronto a «guardare in su» e a spingerlo in alto, pronto a «risuscitarlo».

Questo, Gesù ha fatto con Zaccheo. Questo, Gesù opera anche verso ciascuno di noi.

Tutto ciò rivela che il nostro Dio non ci giudica dall’alto, non ci guarda minaccioso con il suo occhio sempre spalancato, non agita verso di noi la sua barba bianca, non ci condanna, non ci umilia nella nostra fragilità umana!... Egli è un Dio che alza il proprio sguardo per chiamarci per nome e invitarsi a casa nostra, per darci un’occasione buona di cambiare qualcosa della nostra vita; un Dio che fa appello alla nostra coscienza profonda, alla parte migliore di noi stessi, al nostro desiderio inconfessato di «vedere lui»; un Dio che gioisce «per un solo peccatore che si converte, più che per gli altri 99 giusti»…

Un «piccolo uomo», Zaccheo, è stato occasione per insegnarci che il nostro Dio ci guarda per farci liberi: liberi di cogliere le opportunità che ci offre, liberi di accogliere il suo amore, liberi di cambiare vita e divenire capaci di amare come lui ha fatto.

E questo, sicuramente, è “salvezza”: «Oggi, per questa casa è venuta la salvezza».

 

P. Carlo