XXXX DOMENICA  Tempo Ordinario       24.10.2010

 

Siracide 35,12-14.16-18

Seconda Lettera a Timoteo 4,6-8.16-18

Vangelo secondo Luca 18,9-14

 

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

 

La bellezza dell’umiltà

 

Il vangelo di domenica scorsa si chiudeva con l’inquietante domanda di Gesù: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?», domanda che sollecita ad accogliere il suggerimento da lui dato: se vuoi conservare il dono della fede, prega con perseveranza, senza lasciarti abbattere dalla stanchezza, dalla mancanza di “risultati”, da altri interessi più concreti, o dalla noia.

Il vangelo di oggi aggiunge un altro mezzo: l’umiltà. Fede e umiltà lavorano in coppia. Non puoi essere capace di «gettare la fiducia in Dio» e di affidarti a lui anima e corpo, capace di confidare nella sua tenerezza e nel suo perdono e di confessare a lui i tuoi segreti più intimi, se non sei disposto a riconoscerti umilmente per ciò che sei: sostanzialmente una persona bisognosa del perdono suo e dei fratelli.

In casa cristiana, l’umiltà non è umiliazione o disprezzo di sé, ma accettazione sincera di se stessi, di fronte a Dio. Infatti, «quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più» (s. Francesco).

La parabola del fariseo e del pubblicano illustra efficacemente come intendere questa virtù, la cui preziosità e bellezza sono sempre tutte da riscoprire.

Conviene dunque confrontarsi col fariseo che va al tempio a pregare, un personaggio creato da Gesù per parlare di te e di me. Non fermarti alla superficie, al giudizio: “È ipocrita e antipatico e io non gli somiglio”. Così facendo, non ti renderesti conto di agire proprio come lui. Rientra in te stesso e làsciati illuminare dalla Parola. Vedi se anche tu non tendi a ritenerti buono e bravo di fronte a Dio per le tue opere, per le tue virtù, per le tue preghiere, per il tuo impegno nella chiesa e nella società… Ritieni di avere tanti meriti da presentargli? Pensi che Dio debba giustamente ricompensarti per ciò che fai? Ti ritieni “degno” di accostarti alla mensa del Signore, a differenza di tanti altri che potresti citare per nome e cognome? Cerca nelle pieghe del tuo animo se, per caso, non ci sia nascosto quell’inconfessato sentimento di soddisfazione, che ti farebbe ripetere davanti a Dio la preghiera di quel fariseo…

A questo punto entra in gioco l’umiltà del pubblicano, che può rendere vera la tua preghiera. Osserva: senza l’umiltà, la preghiera del fariseo è quella di un uomo in adorante contemplazione di se stesso e si risolve in un confronto con gli altri e in un giudizio. Con l’umiltà del pubblicano, la preghiera si trasfigura in un immenso atto di fiducia e di consegna di sé nelle mani di Colui che, solo, può salvarlo dalla superbia e dal peccato, e che, solo, può sanarlo dalla sua infermità morale.

Ecco il vero miracolo dell’umiltà: ti strappa da te stesso e ti pone nella mano di Dio. Ora, proprio questo nuovo orientamento interiore rende possibile a Dio di intervenire per operare la tua salvezza.

«Tornò a casa sua giustificato». Attenzione: non perché moralmente più umile del fariseo, poiché Dio non si merita, si accoglie. Ma perché si è aperto a quel Dio che non attendeva altro che questa consegna fiduciosa per accoglierlo tra le sue braccia. Dio, infatti, ci ama non perché ci siamo fatti belli ai suoi occhi, cioè buoni e bravi e santi. Ci ama come siamo e attende la nostra disponibilità per riversare su di noi la sua tenerezza e il suo perdono – che saranno sempre infinitamente più grandi di quello che potremmo mai meritare. Il suo amore è l’unica forza capace di guarirci e di farci cambiare vita.

 

P. Carlo