XXVIII
DOMENICA Tempo
Ordinario 10.10.2010
Secondo libro dei Re 5,14-17
Seconda Lettera a Timoteo 2,8-13
Vangelo secondo Luca 17,11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù
attraversava
La tua fede ti ha salvato
Gesù fa
appello alla fede che si attende da coloro che si rivolgono
a lui. Ad un samaritano, unico su dieci uomini a
mostrare gratitudine dopo che erano stati da lui guariti dalla terribile
malattia della lebbra, Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato!”.
Da questo episodio
emerge un primo, evidente insegnamento: guarigione e salvezza non sono la
stessa cosa.
Per quei dieci
uomini lebbrosi la salvezza significava guarire dalla malattia che li
distruggeva nel corpo e nello spirito. Senza speranza di guarigione da questa
malattia che era l’anticipo di una morte crudele e contagiosi
per gli altri, erano emarginati dalla società civile e religiosa del tempo. Non
più considerati come persone, vagavano in gruppi come esseri immondi, come
morti viventi.
Con l’angoscia
e la disperazione nel cuore, quei dieci si rivolgono a Gesù, da lontano. Lo
chiamano per nome: un particolare significativo, perché Gesù significa “Dio
salva”. Si rivolgono a colui che può veramente dare loro salvezza: “Aiutaci!”.
Gesù li
ascolta e, come altre volte, nella sua azione procede per gradi. La legge
ebraica prevedeva che il lebbroso guarito si presentasse al Tempio di
Gerusalemme per ottenere il certificato di guarigione. Gesù dice loro: “Andate
a presentarvi ai sacerdoti”. Accettare di mettersi in cammino, significava
fidarsi della parola di Gesù. Essi si incamminano. E, per via, si ritrovano
guariti.
Uno di essi,
un samaritano, uno che non riconosceva la legge giudaica, vedendosi guarito,
torna indietro “lodando Dio a gran voce” e si getta ai piedi di Gesù, come
segno di ringraziamento. Ancora una volta, un eretico, un “lebbroso religioso”,
è preso ad esempio da Gesù per indicarci chi sia per lui il vero credente: uno
che non confonde guarigione personale con salvezza. La salvezza consiste,
invece, nell’incontrare colui che ti ha guarito.
Il messaggio è
chiaro.
Tutti noi
siamo colpiti dalla lebbra del peccato, tutti siamo guariti da Gesù. Egli ci ha
riconciliati con il Padre mediante la sua passione e morte. Anche a noi dice di
presentarci a colui che può verificare la nostra guarigione. Il perdono che riceviamo
mediante la comunità, l’essere reintegrati tra i suoi membri, non significa
ancora che noi siamo salvati. Manca ancora qualcosa, un passo che dobbiamo compiere
nel profondo della nostra convinzione interiore, qualcosa che ci faccia
“tornare indietro” verso colui che ci ha guariti, verso Gesù.
L’incontro
personale con Gesù, “Dio che salva”, l’affidarci a lui, il confidare nella sua
azione di riconciliazione, la gratitudine che trasforma la nostra vita, sono
tanti modi per esprimere la fede in lui. Questo atteggiamento è necessario più
di quanto sospettiamo. Ci aiuta a smettere di pensare la salvezza come un
“qualcosa” di cui possiamo impossessarci, qualcosa di “nostro” da godere egoisticamente.
Ricordate quel che una volta si sentiva così spesso ripetere? “L’importante che
mi salvi!”. Un’espressione terribilmente interessata, individualista, dimentica
che, per Gesù, ci si salva insieme, prendendosi per mano, interessandoci gli
uni degli altri, come lui stesso ha fatto per noi.
Ecco perché è
importante incontrare Gesù, imitarlo, seguirlo per la sua via.
P. Carlo