XII DOMENICA  Tempo Ordinario          20.06.2010

 

Zaccaria 12,10-11.13,1

Lettera ai Galati 3,26-29

Vangelo secondo Luca 9,18-24

 

 

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

 

Quale Cristo?

 

Una pagina di Vangelo, quella odierna, che non lascia tranquilla la nostra coscienza di credenti, come non l’ha lasciata ai discepoli d’allora. Ci sentiamo richiedere, ancora una volta: «Ma voi, chi dite che io sia?», con quel «ma» iniziale, che sta a sottolineare l’importanza che Gesù annette alla nostra risposta.

Riascoltiamo dunque i diversi pareri che emergono da quella specie di sondaggio che, dopo un periodo trascorso in preghiera, si era deciso di lanciare tra i suoi.

Gli rispondono, anzitutto: «La gente dice che tu sia un profeta», uno dei tanti vissuti lungo la storia di Israele, uomini senza paura che Dio ha suscitato per riportare il popolo sulla retta via… La risposta, evidentemente, è sbagliata. Gesù non è semplicemente un profeta, fosse pure tra i più grandi, come Elia, come Isaia.

«Ma voi?». Ecco il nodo da sciogliere. «Chi sono io per voi?».

Pietro è pronto, come tante altre volte, a rispondere a nome di tutti: «Tu sei il Cristo di Dio». Dunque, lo riconosce messia. Ci aspetteremmo un plauso per Pietro da parte di Gesù. Evidentemente, la sua uscita ci trova d’accordo. E invece, Gesù sorprende tutti con quella specie di doccia gelata: «Non ditelo a nessuno!».

Ma come? Non ci tieni che la gente sappia chi sei? Che senso ha dunque tutto ciò che fai: la predicazione, i miracoli, l’aver raccolto un gruppo di fedelissimi attorno a te, le polemiche con scribi e farisei, l’affannarti a percorrere tutte le strade della Palestina?...

Evidente che Gesù non può permettere che i suoi s’impadro­niscano dei microfoni per strombazzare dappertutto la loro «scoperta». Per una ragione fondamentale: la sua identità non corrisponde a quanto sia la gente, sia i suoi pensano di lui. Lo definiscono in base a figure che conoscono (il profeta), secondo il vecchio schema del messia politico, del messia che compie miracoli, che riflette il Dio della potenza e della vittoria sui nemici, mentre Gesù è nuovo rispetto a tutto ciò. Le figure comuni non ne colgono l’essenziale novità di Messia incamminato verso la croce.

Perciò, Gesù comincia con decisione una formazione mirata ad aprire loro gli occhi. Vuole ricondurli a scoprire la sua vera identità. E lo fa attraverso le parole e le scelte concrete, le azioni quotidiane: proprio perché è Messia, ecco come vive, cosa fa, dove va e, soprattutto, come conclude la sua storia.

Egli mette allo scoperto la nostra tendenza a rinchiudere Dio entro l’orizzonte di attese e di modi pensare determinati da desideri, bisogni, idee e fantasticherie a misura umana. Ed anche la tendenza a pensare lui stesso secondo figure che attingiamo dal nostro ambiente culturale. Così facendo, trasformiamo Dio in un idolo plasmato a nostra somiglianza e Cristo – secondo le mode – in un rivoluzionario, un socialista, un hippy, un guru... Di fronte a tutto ciò, risentiamo il «non ci sto» di Gesù.

Nessuna meraviglia, poi, se la Chiesa, seguendo la mentalità della gente che circondava Gesù o anche quella dei discepoli, arrivi a dare la precedenza a scelte di potere e di prestigio…

 

P. Carlo