«Passare dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo»

 

Appunti di p. Carlo Dallari, ofm

Fraternità OFS di Bologna, 6 marzo 2010

 

 

 

 

I membri delle associazioni di laici «valutano i metodi e i frutti della loro attività apostolica e confrontano con il Vangelo il loro modo di vivere» (Apostolicam actuositatem, 30: EV 1,1029).

 

«Sospinti dalla dinamica del Vangelo, conformino il loro modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che lo stesso Vangelo designa con il nome di “conversione”» (Regola OFS, 7).

 

«I francescani secolari si impegnino…ad una assidua lettura del Vangelo, passando dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo» (Regola OFS, 4), secondo l’esempio di san Francesco che fece del Vangelo vivente e del vangelo scritto, accolto “sine glossa”, la luce e la forza della sua conversione.

 

 

 

Questi testi, che bene si integrano a vicenda, faranno da guida nelle riflessioni che seguiranno. Anzitutto, alcune annotazioni preliminari.

 

La fonte di questo passo della Regola è il n. 30 del decreto conciliare sull’apostolato dei laici (AA 30). Notiamo però che non ripetono esattamente la stessa cosa: in AA si parla genericamente di confrontare il proprio modo di vivere con il Vangelo. Nel testo della Regola si dice di passare dal Vangelo alla vita e viceversa; si specifica, inoltre, che si tratta del Vangelo vivente, cioè, come dirà subito dopo la Regola al n. 7, di Cristo. Questo ampliamento e precisazione di significato mi sembra notevole, dal momento che toglie immediatamente ogni giustificazione ad una lettura puramente morale di questi testi, come se fossero un’esortazione a verificare le proprie intenzioni, scelte e opere, per accertarsi che siano conformi al dettato del Vangelo…

Di fatto, Vangelo e vita non sono due poli opposti, da raggiungere con movimento a pendolo: da una parte la nostra vita concreta e dall’altra il Vangelo, inteso come codice che regola il nostro comportamento.

Se si riducesse il Vangelo a codice morale, si farebbe un cattivo servizio e al Vangelo (lo si priverebbe della sua stessa natura di «buona notizia»!), e alla nostra fede, poiché la si abbasserebbe a religione tra altre religioni. Ma, così facendo, si arriverebbe ad annullare il senso stesso dell’incarnazione del Figlio di Dio, poiché farebbe risultare la salvezza non come opera di Cristo unico Salvatore, ma come conquista dell’uomo virtuoso, il quale riesce a meritarla attraverso le proprie opere buone…

Dunque, il francescano secolare che legge assiduamente il Vangelo dovrà porsi in una prospettiva nuova, rispetto a quella «troppo umana» di chi lo legge come libro di spiritualità e di saggezza, in cerca di buone ispirazioni per la vita.

 

Lo Spirito e la Parola

 

Il cambio di prospettiva è suggerito da Dio stesso: occorre entrare nel suo modo proprio di vedere la realtà:

 

«Ecco, io faccio nuove tutte le cose… Ecco, sono compiute!

A colui che ha sete

io darò gratuitamente da bere

alla fonte dell’acqua della vita.

Chi sarà vincitore erediterà questi beni;

io sarò suo Dio ed egli sarà mio figlio»

(Apc 21,5-7).

 

Dio è colui che fa nuove tutte le cose; il nostro vecchio mondo, con la sua logica e le sue leggi, non valgono più. Anche il nostro rapporto Dio-uomo cambia: la vecchia religione non ha più senso: mentre questa proclama che l’uomo deve raggiungere il cielo se vuol riuscire riuscito a diventare dio, egli annuncia che il Cielo, per pura grazia, ha raggiunto l’uomo per guarirlo e «divinizzarlo». Lui solo può donarci la «fonte dell’acqua della vita» che rinnova la nostra stessa vita, sino a trasformarci pienamente in figli suoi.

La cosa nuova che il Padre ha compiuto è quella di averci donato il Figlio e lo Spirito, affinché agiscano nella nostra vita e nella nostra storia non tanto rimanendo sopra di noi, ma penetrando nel nostro essere profondo («in interiore nomine habitat Deus») e da questo interno agire, in sintonia con la nostra libertà e nell’inesauribile rincorrersi degli eventi umani. Essi introducono nel mondo la potenza della risurrezione di Cristo, potenza creatrice e trasformatrice che sospinge il creato verso la sua pienezza e verso il regno di Dio.

Il punto di osservazione di Dio è la vita nuova in Cristo e nello Spirito. Possiamo renderci conto del cambiamento che essi introducono nella storia e nella vita dell’umanità se, per un attimo, riflettiamo su questo testo famoso del Consiglio Ecumenico delle Chiese:

 

«Egli stesso è il Nuovo che opera nel mondo; egli è la presenza di Dio con noi, insieme al nostro spirito (cf. Rm 8,16). Senza di lui Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il Vangelo è lettera morta, la chiesa è una semplice organizzazione, l’autorità un dominio, la missione propaganda, il culto una semplice evocazione e la condotta cristiana una morale che schiavizza. Ma, in lui, il cosmo viene sollevato e geme nel travaglio della generazione del regno, l’uomo è in lotta contro la “carne”, il Cristo risuscitato è qui, il Vangelo diventa potenza di vita, la chiesa significa comunione trinitaria, l’autorità diventa un servizio che libera, la missione è una pentecoste, la liturgia un memoriale e un’anticipazione, l’agire umano viene deificato»[1].

 

Dalla prospettiva di Dio vediamo chiaramente che il Padre, fedele alleato dell’uomo, ha l’iniziativa in tutto: ci manifesta il suo amore e ci trascina in un progetto che ha per fine la nostra felicità. È l’amore che lo muove a donarci gratuitamente e in abbondanza “l’acqua della vita”, e lo stesso amore lo spingerà a donarci in eredità “questi beni”. Perciò, da parte nostra, non possiamo rispondere in altro modo se non gridando la nostra gioia e desiderando fortemente di condividerla col maggior numero di persone.

Da parte loro, il Verbo eterno (Logos, Parola del Padre) e lo Spirito agiscono indissolubilmente uniti, e in profonda sintonia con il Padre, nel creare, dare vita, salvare, divinizzare l’uomo. Perciò l’uomo, creato ad immagine di Dio e figlio suo amato, quando si mette in ascolto della Parola, dovrà essere intimamente disposto ad accoglierla nella luce e nella forza dello Spirito, altrimenti impedisce alla Parola stessa di raggiungerlo, vivificarlo e trasformarlo in persona nuova.

 

Passare dal Vangelo alla vita

 

Illuminati e mossi dallo Spirito del Signore, cerchiamo di «passare dal Vangelo alla vita». Ora, come intendere questo «passare», dal momento che abbiamo escluso il significato di lasciare un posto per andare in un altro, a movimento di pendolo? Si potrebbe intenderlo come «entrare, ma non per rimanere»: entriamo nel Vangelo, ma senza ricascare nella tentazione di Pietro sul Tabor. Ricordate? «Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quello che diceva» (Lc 9,27). È bello lasciare le nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane… Ma non è questo che Cristo vuole da noi. È giusto entrare nel Vangelo della vita, ma senza abbandonare la nostra; ci tuffiamo nel Vangelo vivente, ma per riemergere rinnovati di una vita nuova!

 

Vangelo e vita sono intimamente uniti. Il Vangelo, infatti, è la buona notizia che Dio ha trovato tempo per noi. Lui, l’eterno, l’inaccessibile, si è vincolato al tempo per attirarci a sé. Colui che per eccellenza è la Vita in pienezza entra nella nostra vita precaria, fragile e minacciata e, soprattutto, resa vana e senza senso dall’evento inesorabile della morte, affinché possiamo incontrarlo proprio nel cuore della nostra umanità feriale.

Non soltanto ha acceso in noi la luce della vita con l’atto creatore, ma si è fatto carne della nostra carne. Noi lo abbiamo visto in «quell’uomo Gesù»: la sua vita era la vita di Dio che si rivela nella vita dell’uomo, nella nostra vita. E questo è Vangelo, è buona notizia, è offerta e invito ad entrare nella vita di Dio accogliendo, nella fede, «quel Gesù che voi avete crocefisso e che il Padre ha risuscitato».

Questo dunque è il Vangelo: vita abbracciata da Dio. Per questa ragione esso è realmente «buon annuncio», dono infinitamente prezioso che ci viene offerto, dono da accogliere con gioia e gratitudine, dono che cambia la nostra vita.

Secondo questa logica, per prima cosa dovremo entrare nel Vangelo per accogliere il suo dono, riconoscenti per la presenza della vita di Dio nella nostra umanità. Là dove c’è vita c’è Dio, c’è Cristo, dal momento che con l’incarnazione del Verbo eterno, Dio si è fatto presente in ogni uomo. Là dove c’è Vangelo, c’è identificazione, accoglienza e annuncio di questa presenza, c’è realizzazione della vita di Dio nella nostra vita: c’è divinizzazione dell’uomo.

 

Non ci si tuffa nel Vangelo vivente senza entrare nel Vangelo scritto, in quello che sinteticamente viene definito: «Parola di Dio in parole umane».

Leggere con assiduità il Vangelo è il primo passo necessario se vogliamo compiere il passaggio dal Vangelo alla vita, cioè se vogliamo che la Parola del Dio vivente ci raggiunga in profondità, accenda in noi la vita nuova e ci restituisca alla dignità di figli di Dio.

Ma non si legge per imparare una lezione o per confrontarci con dei principi, o dei valori, o dei precetti. Si legge per accogliere in sé la Parola creatrice, per permetterle di compiere ciò per cui fu mandata (Is 55). Questa, infatti, è la prima verità che la Bibbia pone davanti a noi: «In principio era la Parola» (Gv 1,1), e questa «disse, e tutto fu fatto» (cf. Gen 1,1ss). Mediante la Parola, la Vita di Dio entra nel mondo: «Il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso» (Gv 5,26). E, nella pienezza dei tempi, questa Parola di vita (cf. Gv 1,4), si è fatta carne della nostra carne, e noi l’abbiamo accolta e continueremo ad ascoltarla e ad accoglierla, poiché si è comunicata a noi in parole umane.

Tutto ciò è reso possibile dallo Spirito che ha presieduto sia alla creazione del mondo, sia all’incarnazione del Verbo, sia alla raccolta della Parola di Dio nelle Scritture sante, e ora presiede all’ascolto della Parola consegnataci attraverso le Scritture sante. Siamo dentro la logica dell’incarnazione: la Parola si riveste dell’umanità del nostro linguaggio umano, assumendone tutta la varietà di significati e di funzioni: illumina, coinvolge, chiede una risposta, trasforma chi l’ascolta. E attraverso queste nostre vie continua a parlare a ogni uomo che vorrà ascoltare.

La Parola non è dunque un elemento astratto che io inserisco all’interno della materia viva della vita, del mio esistere quotidiano, quasi a dargli ospitalità. No, perché la Parola è già carne! È diventata carne per essere udibile da noi e continua a diventare carne per la vita del mondo. Essa ha soltanto bisogno che noi stessi diventiamo Parola.

Questo primo passaggio ci fa entrare nel Vangelo per farci sperimentare una verità profonda: che il Vangelo della vita è già in noi, in modo latente, come un seme che deve germogliare, ma è già presente e suscita in noi la domanda: cosa della nostra vita è già Vangelo?

 

Passare dalla vita al Vangelo

 

Ogni dono di Dio, ogni talento che egli affida alla nostra responsabilità, oltre che essere accolto con gratitudine, dev’essere amministrato e «restituito»: il dono fa appello alla nostra responsabilità e alla nostra situazione concreta di uomini fragili e inclini al peccato. Sarà pertanto necessario riportare la vita alla sua fonte originaria, a quella Parola dalla quale essa viene e alla quale deve ritornare; ricondurla in seno a quella Parola che è il Logos, cioè «il Senso eterno» (cf. Ratzinger) del mondo e della storia. Sotto la sua signoria, ogni cosa, ogni evento sarà sottratto alla tirannia dell’assurdo e della morte, poiché egli è dal principio «il  Salvatore» del mondo.

Questo passaggio consente di trovare il senso ultimo della nostra stessa vita, quel senso che ci dà gioia di vivere e sostegno nelle avversità.

La nostra vita di credenti non deve dunque misurarsi con codici e leggi, norme e tradizioni, «così si è sempre fatto – così si deve fare». Si misura invece e si conforma con una realtà infinitamente più grande e più bella: il Cristo, dono che viene da Dio. E il Vangelo è l’annuncio che questo dono non sta sopra i cieli o al di là dei mari, ma è vicino: è vivo e operante in noi e in mezzo a noi come Gesù stesso ha annunciato, commentando un passo di Isaia:

 

«“Lo Spirito del Signore è sopra di me

e mi ha mandato

a proclamare l’anno di grazia del Signore”…

Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (cf. Lc 4,18-19.21).

 

Lo sappiamo, di fronte al dono non c’è bravura da vantare; ciò che conta è la capacità di accoglierlo. La Parola che ci viene donata aspetta d’essere accolta mediante «l’obbedienza»[2], quell’atteggiamento che «opera in voi che credete» (1Tes 2,13), fatta di ascolto pieno di amore e di intelligenza che induce a compiere i passi concreti della conversione e della sequela di Cristo. Proprio sullo stile di Francesco: «Questo è ciò che desidero questo è ciò che bramo con tutto il cuore!» (LegMag III: FF 1051).

Non ci è dunque chiesto di raggiungere il cielo di Dio a forza di buona volontà e di vita perfetta… Se così fosse, infatti, soltanto gli eroi o gli uomini alla Alfieri (quelli che «volli sempre volli, fortissimamente volli») potrebbero raggiungere il paradiso. Ci viene soltanto chiesto di aprire il nostro cuore alla pura misericordia di Dio, affinché porti a compimento quanto ha iniziato in noi e ci conduca nella Patria beata.

Una volta accolto, sarà il dono di Dio a farsi luce e forza per i nostri passi concreti; sarà la sua potenza ad operare in noi la trasformazione del cuore.

 

La nostra vita di credenti si svilupperà, allora

-              secondo la logica del seme, che cresce e dà frutto secondo una sua forza e logica intrinseca. («Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa»: Mc 4,26s);

-              secondo la logica del pane, che si fa principio vitale di crescita nel corpo che lo assume (fa quello che dice). Abilita a vivere ciò che annuncia, nella misura della fame (desiderio) di chi lo mangia;

-              secondo la logica dell’oggi: è narrazione dell’oggi di Dio che viene a me; è narrazione della mia storia, della mia persona chiamata a rispondere con prontezza al suo venire, come fece Francesco, dopo che il sacerdote gli spiegò il passo del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare: «Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!» (1Cel: FF 356).

 

La grazia della Parola ci provoca a prendere in mano la nostra vita, nonostante le resistenze del nostro Io e le difficoltà a compiere questo passo. Ma la vita nostra, nella sua unicità e serietà non ci lascia molte alternative. Non possiamo per sempre evadere nella irresponsabilità, poiché prima o poi la vita presenta i suoi conti.

La Parola ci provoca anche a chiederci, senza troppe esitazioni e senza cedere alla paura, che cosa vogliamo fare della nostra vita, chi o cosa vogliamo veramente essere. Una domanda, questa, che dovrebbe essere sempre accompagnata da una consapevolezza: siamo uomini e donne portatori di un mistero. «Stirpe di Dio noi siamo», di un Dio ben disposto (“bonae voluntatis”) nei nostri confronti, pronto a sostenerci nella nostra debolezza con la speranza e la grazia del perdono.

C’è un’una bellissima rappresentazione di questa disponibilità paziente e amorosa di Dio: la Creazione di Adamo che Michelangelo ha dipinto nella Cappella Sistina. Quel dito del Creatore che sa mantenersi teso e vicino a quello più esitante di Adamo, sta un messaggio che sorprende: dice che, prima di tutto, è Dio a sperare in noi. Egli aspetta, lasciandogli la libertà della risposta, di una risposta che – spera – prima o poi arriverà. Questa libertà che Dio riconosce all’uomo è il fondamento di ogni sua possibile speranza.

 

La misericordia non è semplicemente una qualità di Dio. È la sua stessa essenza, è ciò che lo muove a creare l’uomo e a consegnare l’umanità al proprio Figlio. Quando dunque passiamo dalla nostra vita al Vangelo vivente, dovremmo sempre avere ben chiaro che stiamo di fronte al nostro Dio con tutto il nostro essere e la nostra storia, ciò che abbiamo fatto, ciò che siamo e come siamo: corpo, anima e spirito, buoni o cattivi, belli o brutti, istruiti o ignoranti, santi o peccatori… E ricordarci che egli non fa differenza di persone, perché ama tutti e ognuno di un amore personale e infinito, e dunque totalmente unico, previdente e misericordioso.

Pensare che il nostro Dio “sia contento di noi”, cioè sia ben disposto nei nostri confronti soltanto se siamo buoni e bravi, dimostra soltanto la nostra pochezza spirituale, la nostra presunzione.

Riconoscere che la nostra vita ha in Dio la sua sorgente, orientare la nostra vita al Dio della vita e lasciare che l’avvolga e la guarisca: ecco cosa egli ci chiede veramente.

Quando un bimbo cade e si fa male, oppure è stato offeso o picchiato dai propri compagni, d’istinto corre a rifugiarsi tra le braccia del papà o della mamma. Sarebbe veramente assurdo – anche se talvolta accade – che il genitore rincarasse la dose, “così impara a non farsi male, un’altra volta”. Forse si comporta in questo modo il nostro Padre che è nei cieli? Gesù, con la parabola del buon samaritano, ci svela un volto diverso di Dio…

Quando un figlio di Dio viene battuto dal male, quando rimane sotto la schiavitù del male, è quello il momento in cui può allungare la mano con fiducia verso quella di Dio. Può farlo, perché già la mano di Dio è tesa per sollecitare l’atto di fiducia e l’invocazione. Dio attende speranzoso che ciascuno di noi consegni se stesso, la propria vita ferita, il proprio futuro senza speranze. Non aspetta altro che questo momento per poter compiere in noi le “cose grandi” cantate da Maria e da tutti coloro che hanno accettato con umiltà di compiere un piccolo atto di speranza.

 

Passare dalla vita al Vangelo è grazia dello Spirito, è frutto della potenza di Dio che precede il nostro primo passo – che è certamente necessario, ma non potrà mai accadere se non viene mosso dalla grazia di Colui che ci ama troppo per permettere che noi soccombiamo a causa della nostra debolezza mortale.

«Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). La forza della croce e della risurrezione agisce in noi per sostenere i nostri passi: essa si combina con la nostra libertà e ci dona la gioia di riconoscere e premiare ciò che di buono possiamo compiere in questa situazione. Egli si comporta come il papà che apprezza e magnifica i primi passi del proprio figlio, quando lui stesso ne ha preso la mano e gli ha fatto coraggio…

Il passaggio dalla vita al Vangelo è grazia «feriale»: il Dio entrato nella nostra fragile umanità si fa incontrare attraverso la debolezza stessa della nostra umanità! Per entrare nel Vangelo non dobbiamo dunque “lasciare” il mondo della nostra vita quotidiana, sognando un cammino leggero verso Dio, libero dalle pastoie degli impegni, delle attività, delle preoccupazioni, della mancanza di tempo, ecc. ecc. Fuori dal tuo mondo non puoi trovare Dio – pur essendo egli in ogni luogo – perché lui stesso ha scelto il tuo mondo per farsi trovare da te. Allora, entra pienamente nella tua vita, immergiti nelle tue responsabilità, accetta la fatica e i disagi e i fastidi, e lì impara a riconoscere il tuo Dio e ad amare. Immergiti nella vita, perché è lì che il tuo Dio, che è amore, ti attende. Questo ti dice il Vangelo, perché questo è il Vangelo.

Lì dovrai solamente dire il tuo “sì” al Dio dell’amore e della vita; egli non aspetta altro, come altro non aspettò da Maria: in forza del suo semplice “sì” egli ha potuto farsi uomo; dal tuo semplice “sì”, tu puoi diventare, finalmente, come Dio.

In sintesi, possiamo affermare che dalla nostra vita di credenti, sanata, illuminata, guidata dalla Parola, il Vangelo viene reso testimonianza luminosa della presenza di Dio nel mondo.

 

Conclusione

 

La conseguenza pratica immediata di quanto detto sinora è molto semplice: leggere con amore, assiduamente, con spirito di preghiera e di gratitudine la Parola scritta. Meditare la Parola seminata in noi, trasformarla in preghiera per dichiarare la nostra totale disponibilità ad essere collaboratori del nostro Dio nella costruzione di un mondo nuovo, produrre frutti di carità e di speranza. La Parola, per opera dello Spirito che fa nuova ogni cosa, ci sospinge a conversione sino a divenire, come Francesco, «Vangelo vivo» in mezzo agli uomini; ci fa essere veri credenti, capaci di insegnare con la propria esistenza – che ha ormai raggiunto la forza delle parabole – poiché vivono ciò che dicono, dicono vivendo.

Tuffiamoci nel Vangelo vivente, che è vita di Dio donata e rivelata a noi, per riemergere da esso rivestiti di vita nuova.

È quanto ci suggerisce anche il Ministro Generale dei Frati Minori, il p. J. R. Carballo, in una sua bellissima Lettera sulla lettura della Parola di Dio:

 

«Quando, come Maria, si accoglie la Parola e la si conserva nel cuore (cf. Lc 1,38; 2,19.51), la Parola ci mette in cammino verso chi ha bisogno di noi (cf. Lc 1,39- 45). La Parola ascoltata e accolta si trasforma in vita. Francesco si impegnò costantemente per passare dalla vita alla Parola e dalla Parola alla vita, incarnando in proposte concrete di vita ogni frammento che leggeva o ascoltava della Parola. Secondo lui, la parola di Dio se la si ascolta solamente è parola morta, che produce morte. A chi, privo della sapienza spirituale, si limita ad ascoltare la Parola, si possono ben applicare le parole che Francesco scrive in una sua lettera: «Vedono, conoscono, sanno e fanno il male e consapevolmente perdono le loro anime». Per questo egli ha grande attenzione nel preservare i Frati da un ascolto della Parola disimpegnata e disincarnata dalla vita»[3].

 

 

 



[1] CEC, Rapporto di Uppsala 1968: in EOe 5,696.

[2] «Nella sacra Scrittura una stessa parola, shemá, significa ascoltare, obbedire, mettere in pratica. Ascoltare non è solo acquisire informazioni su Dio, ma aderire a una Parola che impegna il modo di vivere. Se ascoltare è la risposta naturale dell’uomo a Dio che parla, l’obbedienza della fede (cf. Rm 1,5; 10,14-17) è la meta di tutto l’ascolto… Chi accoglie la Parola nella fede e nell’obbedienza e la lascia operare, sperimenta una forza trasformatrice, perché è abitato da Cristo, come dice l’Apostolo: «Cristo vive in me» (Gal 2,20). L’obbedienza alla Parola illumina qualunque altra obbedienza. La Parola accolta con cuore puro non è mai inefficace»: J. R. Carballo, Mendicanti di senso, guidati dalla Parola, Lettera del Ministro Generale dei Frati Minori, Pentecoste 2008, n. 30.

[3] Carballo, Mendicanti di senso, guidati dalla Parola, 30.