DOMENICA  26.ma  -  C   :    “C’ERA UN UOMO RICCO…”

 

     “C’era un uomo ricco che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo”: cominciavano così tante belle favole, a lieto fine, che si raccontavano una volta ai nostri bambini. Ma oggi la parabola di Gesù non è a lieto fine; è però ricca di forti richiami, per segnalare i gravi pericoli, legati soprattutto al cattivo uso della ricchezza. Verrebbe da commentare che la storia dell’uomo è purtroppo sempre la stessa; ci sono i poveri e i ricchi; ci sono i violenti e le vittime; e sono tanti i “Lazzaro”: sono i poveri, i mendicanti, gli esclusi, categorie ben presenti in ogni città. Da sempre lamentiamo che i ricchi si fanno sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri.

     E Gesù cosa dice? Ci dice che questo non è il progetto di Dio! Il ricco della parabola non ha nome; di lui si conosce solo lo stile di vita: è uno spensierato, un organizzatore di pranzi e cene; incapace di accorgersi di chi sta alla sua porta ad attendere il pane avanzato. Il povero ha invece un nome, Lazzaro, nome che significa “Dio aiuta”. Tutti in città lo conoscono; tutti vedono che è malandato e non ha nessuna risorsa per curarsi. E’ coperto di piaghe; ma soprattutto ha fame. Lazzaro non si aspetta molto dalla vita: solo sfamarsi per sopravvivere; a lui vanno bene anche gli avanzi raccolti nel cassonetto dei rifiuti.

     Ma arriva per entrambi un appuntamento a cui nessuno può sottrarsi: la morte. E’ l’appuntamento che rende giustizia a ogni vivente: al povero, che viene portato dagli angeli in Cielo, accanto ad Abramo; al ricco, che ha trascorso la vita gozzovigliando,  che precipita diritto all’inferno. Ma perché all’inferno? Qual è stata la colpa del ricco, dal momento che si è goduto la vita con i suoi soldi? In fondo, il ricco non ha offeso nessuno; non ha cacciato il povero Lazzaro; non gli ha fatto alcun male. Il ricco si è goduto le sue fortune! E i nostri commenti sono spesso espressi con un “beato lui!”

     Ma Gesù non legge la storia con i nostri occhi. Per Lui l’omissione di soccorso è grave tanto quanto la malvagità. Così fingere di non vedere, per esimersi dal soccorrere chi è nel bisogno, è terribile quanto il commettere soprusi. La condanna alla eterna infelicità è punizione perché, pur avendo visto le deplorevoli condizioni del povero, non ha fatto nulla per soccorrerlo. Sono peccato – insegna Gesù – l’indifferenza, l’egoismo, l’avarizia, lo sfruttamento. La parabola di oggi porta in sé un messaggio universale: l’indifferenza è sempre un grande peccato. In un recente passato, sentivamo spesso parlare di “mani pulite”. Nel contesto della nostra parabola, “mani pulite” sono sinonimo di “mani inutili”, mani che non si sono mai sporcate  per stringere altre mani, per esprimere solidarietà.

     C’è una lezione da cogliere subito da questo Vangelo: apriamo bene gli occhi, guardiamoci attorno per accorgerci che c’è qualcuno che attende un aiutino, o che vive nella solitudine e nel disagio sociale. La solidarietà non è un optional. Spartire il pane, condividere ciò che la Provvidenza ha donato, portare i pesi gli uni degli altri, per noi cristiani è un dovere. Nel Vangelo, ricorrono più volte alcune parole che fanno molto pensare. Gesù proclama “beati” i poveri, perché di essi è il Regno dei cieli; ma anche “guai a voi ricchi”; aggiungendo che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio!”. Il cuore della parabola non è la vendetta di Dio che ribalta la situazione tra ricchi e poveri; è invece un forte richiamo a ricordare che la ricchezza non è la vera dimostrazione di una vita riuscita.

     Il Vangelo ci chiede oggi di esprimere una nostra valutazione su chi è il vero fortunato: - il povero o il ricco – chi sta bene o chi fa il bene – chi si diverte o chi si converte. Noi siamo soliti rispondere che è fortunato chi si gode la vita. Gesù invece dà un’altra risposta: il ricco morì e precipitò nell’inferno; anche il povero morì e fu portato dagli angeli in Cielo, accanto ad Abramo. Fratelli, l’eternità inizia quaggiù. E’ questo il tempo di operare il bene. Nella parabola, Dio non è mai nominato, ma era presente nel povero che chiedeva aiuto. Fratelli, il povero è Parola di Dio! Il povero è Carne di Dio! “Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, l’avete fatto a me” – dice il Signore.  Amen.