DOMENICA  34.ma  - A -   :  GESU’ PASTORE – RE – GIUDICE

 

     Questa domenica, dedicata alla REGALITA’ di Cristo, conclude l’Anno Liturgico. Nel corso dell’anno, abbiamo vissuto tutte le tappe della vita di Gesù, a iniziare dall’attesa della sua nascita, fino alla Pentecoste. Era giusto concludere l’anno con la solenne dichiarazione di Gesù, davanti a Pilato: “IO SONO RE”. Gesù è Figlio di Dio e il nostro SIGNORE, come diciamo sempre a conclusione di ogni preghiera liturgica. La prima lettura e il Salmo ci presentano Dio come PASTORE. “Pastore”: un termine molto ripetuto in tutta la Bibbia per darci una dolce presentazione della tenerezza di Dio, del suo amore e delle mille attenzioni che un buon pastore ha per le sue pecorelle. Così ne parla Ezechiele: “Io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo. Andrò in cerca della pecora perduta e la ricondurrò all’ovile. Fascerò quella ferita e curerò quella malata”.

     Anche Gesù ama definirsi: “BUON PASTORE”; per meglio chiarire gesti e contenuto del pastore “buono”. Il Vangelo ci fa trovare il divino Maestro in ginocchio, a lavare i piedi agli Apostoli; più volte è la compassione che suggerisce a Gesù di compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, a guarire sordi, muti, zoppi, lebbrosi, e perfino a richiamare in vita i morti. Inoltre Gesù, nel Vangelo, ama identificarsi con i poveri, con i piccoli, con i carcerati, con gli ultimi. Dice Gesù: “Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”. Dunque, quella che celebriamo oggi è una “REGALITA a SERVIZIO”. “Non sono venuto per essere servito ma per servire e  dare la vita per la salvezza di tutti”. Infatti il momento più drammatico della vita di Gesù, è quando, rispondendo a Pilato che lo interrogava sulla sua vera identità, Gesù proclamò: “IO SONO RE”. E Pilato gli offrirà la croce come trono regale.

     C’è chi non accetta un RE perdente e non crede che un RE crocifisso possa essere Figlio di Dio. Ma per noi credenti, il Crocifisso è, e rimane, la misura dell’amore di Dio per l’uomo. Oggi, dovremmo tutti trovare un momento per fermarci davanti al nostro RE Crocifisso, per esprimere il nostro amore e la nostra riconoscenza. La Croce è scuola d’amore, di perdono e di misericordia. Al termine della nostra vita, Gesù ci chiederà se – come discepoli – lo abbiamo imitato nel dono del servizio. Ci chiederà come abbiamo gestito l’amore. L’esame finale riporta al centro della nostra attenzione la centralità dell’uomo che soffre; e, di riflesso, ci rivela il “sogno” di Dio: che tutti gli uomini e le donne possano vivere sfamati, consolati, vestiti bene, perdonati, felici di sapersi figli amati dal Signore.

 Madre Teresa era solita ripetere: AMARE equivale a SFAMARE. “Amare e sfamare” sono il preludio di una sinfonia d’amore che ci porterà ad ascoltare le parole dette da Gesù a chi, in vita, l’ha accolto nei poveri”: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo”. Papa Francesco ha voluto tradurre l’invito di Madre Teresa con una sua espressione molto forte e suggestiva: “il povero, il sofferente, sono carne di Cristo”. Nelle domande dell’ultimo esame non ci si chiederà quanti Rosari abbiamo recitato, né quante Messe abbiamo perso; mentre ci verrà chiesto – e con insistenza – se ci siamo fermati accanto al fratello in difficoltà per ascoltarlo e soccorrerlo, ricordando  le parole di Gesù: “L’AVETE FATTO A ME”.