DOMENICA  33.ma   - A -   :   COME PREPARARE L’ULTIMO INCONTRO

 

     Siamo giunti alla penultima domenica dell’Anno Liturgico. L’evangelista Matteo, al capitolo 25 del suo Vangelo, ci riporta la parabola del padrone che, prima di partire per un viaggio, consegna ai servi i suoi beni con la raccomandazione di averne cura e di trafficarli perché, al suo ritorno, ne avrebbe chiesto conto. Il padrone della parabola affida responsabilità e mansioni diversificate, a seconda delle capacità di ciascuno: dà a uno cinque talenti, a un altro due talenti, a un terzo un talento. Evidentemente al padrone non importava accrescere la propria ricchezza; importava che ognuno di loro ci mettesse del suo per rendere più appetibile il capitale. Ne è prova che ai primi due servi, che hanno lavorato bene, lascia quanto hanno guadagnato, e in più aggiunge un premio di fedeltà. Oggi, questa parabola è stata detta per noi, per ricordarci che ciascuno di noi ha ricevuto grandi doni: la vita, l’intelligenza, un cuore per amare e – per noi battezzati – la fede, i Sacramenti, il saperci conosciuti e amati da Dio. Sono doni immensi e preziosi; sono un vero capitale da investire perché dia frutti.

     La parabola è un forte richiamo per chi vive in modo distratto e disordinato; per chi vive “alla giornata”, senza nemmeno sapere in quale direzione sta andando e cosa si aspetta dalla vita. Gesù ha inteso farci riflettere sulla preziosità della vita e del tempo: ci ricorda che proprio l’attesa del ritorno del Signore dovrebbe farci operosi nel tanto bene da compiere, che un buon uso dei talenti, può rendere. Il “talento”, menzionato nella parabola, era moneta di immenso valore, e sta a indicare il dono che noi siamo agli occhi di Dio; un dono che esprime il valore della vita, che rimane tale anche quando, per malattia, o per vecchiaia, o per avversità della vita, non siamo più in grado di lavorare e di produrre. Il Vangelo di oggi non chiede di accumulare ricchezze; ci chiede invece di spenderci in opere buone e di metterle a frutto nella Banca dell’Amore.

     La parabola si sofferma più a lungo sulla vicenda del terzo servo, per segnalare le sue scelte sbagliate, e duramente riprovate dal padrone. Questo servo ha praticamente rifiutato il dono; per la paura di fallire, ha preferito non impegnarsi e, alla fine, restituire una ricchezza, resa inutile dalla pigrizia e dalla paura. Mentre i primi due servi hanno messo a buon servizio tutto ciò che poteva essere utile, il terzo invece non se l’è sentita di rischiare e, non solo si è presentato al padrone a mani vuote, ma ha addirittura cercato di addebitare al padrone la responsabilità del suo insuccesso, “perché – disse – so che sei severo, e ho avuto paura”. Il gesto di questo servo assomiglia tanto al gesto di due innamorati che stanno per lasciarsi e decidono di riconsegnarsi  i doni che si erano scambiati: è la fine di una storia d’amore! A volte, potrebbe essere anche la nostra storia.

     Ci chiediamo: Cosa ne abbiamo fatto, noi, dei tanti doni ricevuti? Se ci troviamo a consegnare a Dio una vita sprecata, significa avere fallito; significa avere deluso Dio che aveva contato su di noi per averci come suoi collaboratori per migliorare un mondo che sta andando alla deriva. Il Signore ci invita oggi a metterci a servizio delle categorie più disagiate: i poveri, gli ammalati, i carcerati e i giramondo che troviamo nelle nostre strade, perché nessuno li assume. Senza un concreto impegno alla reciprocità, difficilmente potremo ascoltare le parole di compiacimento che il padrone rivolge a chi è stato fedele: “Bene, servo buono e fedele; sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

  Dio non ci chiede di essere eroi, e tantomeno i primi della classe; e non ci vuole neppure in affanno; né ci vuole in ansia, come chi attende, come imminente, la fine del mondo. Il Signore ci chiede di attendere il suo ritorno con responsabilità e serenità; ci vuole onesti e laboriosi, perché – non dimentichiamolo! – Dio è nostro Padre e ci vuole tutti salvi, con Lui, in Cielo.  Amen.