DOMENICA  30.ma   - A -   :   IL  COMANDAMENTO  “GRANDE”

 

     Un Dottore della Legge incontra Gesù e, con l’intento di metterlo in difficoltà, gli chiede: “MAESTRO, QUAL E’ IL GRANDE COMANDAMENTO?”. Noi conoscevamo già la risposta di Gesù; ma forse non ne abbiamo mai fatto oggetto di riflessione personale, per chiederci se la sottolineatura del “GRANDE E PRIMO COMANDAMENTO” che troviamo nella risposta di Gesù, ci ha mai  messo a disagio, soprattutto perché, nell’esame di coscienza e nella confessione, difficilmente la mancanza di amore compare come peccato! Ecco in che cosa consiste questo “primo e grande comandamento: “AMERAI il Signore, tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”; e, aggiunge  subito Gesù: “Il secondo poi è simile a quello: AMERAI il tuo prossimo come te stesso”. Dunque, amare Dio e amare il prossimo sono un unico comandamento con direzione e intensità diverse; il TUTTO, più volte ripetuto da Gesù, è solo verso Dio; è Lui il nostro Dio e il nostro Signore; a Lui dobbiamo la nostra vita e la nostra salvezza; tutto abbiamo ricevuto da Lui.

     La nostra esperienza ci fa purtroppo  constatare che grande è la fragilità del nostro amore, perfino nei confronti dei genitori, dei figli, degli amici più cari; sperimentiamo quanto sia difficile il perdono anche, a volte, per inezie. Ci chiediamo allora dove apprendere l’arte così difficile dell’amore e del perdono? Bene ha fatto quel dottore della Legge a interrogare Gesù; Gesù è l’unico Maestro che sa rispondere compiutamente; perché ha più volte dichiarato di essere disceso dal Cielo per DARE LA SUA VITA per noi. Chi va alla scuola  di Gesù sentirà ripetere la dichiarazione di Gesù: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”. “Amare” è come dire “fedeltà ad ogni costo”; si ama quando ci si fa servi per amore quando ci si fa operatori di pace e di perdono. Gesù non solo dichiara che l’amore a Dio e al prossimo sono “simili” tra loro, perché trovano in Dio una unica sorgente; Gesù precisa anche che l’amore al prossimo dà la misura di quanto noi amiamo Dio. Gesù è dunque Maestro per chi si accosta a Lui e frequenta la sua scuola. Scrive l’apostolo Giovanni: “In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che Egli ha dato la sua vita per noi; e quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”.

     “Dare la vita”è dunque la prova più alta dell’amore. Ecco perché Gesù ha abbracciato la croce: per darci la misura del suo amore! Ma c’è ancora di più: morendo sulla croce, Gesù ha pregato il Padre perché perdoni  a quanti  l’hanno messo in croce, perché non consapevoli dell’orrendo sacrilegio di mettere a morte il Figlio di Dio. Fratelli, tantissimi cristiani sono finiti in croce, come Gesù e hanno, non solo dato la vita per restare fedeli al Vangelo, ma – come Gesù – hanno saputo perdonare; noi li veneriamo con la qualifica di MARTIRI,  cioè di testimoni dell’amore. Come non ricordare oggi San Massimiliano Kolbe che, nel campo di sterminio, è sceso nel bunker della morte, a morire di fame e di sete, al posto di un papà che piangeva per non poter più vedere i suoi bambini; o anche Salvo d’Acquisto che ha accettato la fucilazione, da innocente, per salvare altri innocenti. Ma tanti altri che, pur senza subire la morte, hanno scelto di “dare la vita” per i poveri, per gli ultimi, come ad esempio Santa Teresa di Calcutta e tante mamme che hanno scelto di non ricorrere a terapie per la loro salute, per non danneggiare il bimbo che portavano in grembo.

     Anche tutti noi amiamo Dio e il nostro prossimo; ma forse ci limitiamo a dare, non la vita, ma scampoli di amore. Mi tornano alla mente le parole di Eric Fromm: “L’arte di amare è una scuola difficile e ha purtroppo pochi allievi, anche se il Maestro è Dio stesso”. Gesù ammonisce con parole che non si prestano a commenti: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Gesù addirittura  si identifica con il fratello, soprattutto se è povero, o ammalato, o carcerato; dice Gesù: “Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me”. Papa Francesco, con linguaggio ancor più realistico, afferma che il povero è “carne di Cristo”. Fratelli, se queste sono le esigenze dell’amore, possiamo ancora ritenerci discepoli del Signore? Ci conceda il Signore che, alla nostra morte, possiamo lasciare ai nostri cari: ricordi di bontà, di amore e di pace.  Amen.