DOMENICA  29^  -  A   :  LO STATO CONIA MONETE – DIO CREA L’UOMO

 

     Eccoci oggi a una pagina nuova di Matteo. Dopo le tre parabole sull’accoglienza, o il rifiuto, di Gesù, l’evangelista Matteo ci propone ora una serie di dispute, provocate dai farisei e dai sadducei, nell’intento di mettere in difficoltà Gesù sulle questioni più scottanti del momento, per screditarlo nel prestigioso ruolo di Maestro. L’argomento di oggi verte sulle tasse: chiedono a Gesù se è lecito pagare le tasse agli usurpatori venuti da Roma. Nelle intenzioni degli interroganti, qualsiasi risposta avrebbe comunque messo nei guai il divino Maestro. Noi conosciamo già la risposta di Gesù: “Rendete a Cesare quello che à di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Gesù dà la risposta, ma non è quella che si aspettavano gli avversari. A decidere se pagare o no il tributo all’Imperatore di Roma sono l’immagine e l’iscrizione impresse nella moneta mostrata a Gesù: questa portava l’effigie di Cesare e a Cesare doveva essere resa, come tributo.

     Gesù precisa dunque che va restituito a Cesare quanto gli è dovuto; ma va restituito a Dio quello che gli appartiene. Gesù ha voluto precisare che c’è un dovere morale di giustizia di pagare le tasse, come compenso per i tanti servizi che lo Stato offre ai cittadini; e ricorda che ogni uomo e donna porta impressa nella propria vita, non l’immagine di Cesare, ma quella di Dio, un’impronta che ricorda da dove veniamo e dove dobbiamo arrivare. La Bibbia ci ricorda che siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Le tasse e i servizi sono per lo Stato; ma lo Stato non può vantare nessun diritto sull’uomo; l’uomo non gli appartiene; appartiene solo a Dio. Compito della Chiesa è ricordare all’uomo le sue origini, perché l’immagine della Trinità, impressa nella creazione, non venga deturpata, e tanto meno sostituita da immagini di altri idoli e padroni.

     Fratelli, le parole di Gesù sono ora rivolte anche a noi: per questo siamo convenuti nel Giorno del Signore. Gesù ricorda anche a noi le nostre origini, perché non svendiamo la nostra vita e la nostra fede; nel nostro cuore è impressa l’immagine di Dio. C’è un passo che troviamo in Isaia che invita a scrivere sul palmo della mano, come promemoria: “Proprietà del Signore!”, per ricordarci che gli apparteniamo e a Lui dobbiamo ritornare; dobbiamo cioè, al termine della vita, restituire a Dio tutto ciò che Lui ci aveva dato in uso: la vita, prima di tutto; poi l’intelligenza, il cuore e tutte quelle risorse umane e spirituali che hanno arricchito la nostra vita. Avrete anche notato che nella risposta, Gesù ha cambiato il verbo: nella domanda troviamo il verbo “pagare”, nella risposta troviamo invece il verbo “rendere”, cioè “restituire”; per di più, con un imperativo! Ha voluto ricordare che, come è giusto pagare le tasse, così è d’obbligo restituire a Dio tutto ciò che Lui ci ha dato in uso, per una buona esistenza. E non solo a Dio, ma anche ai genitori e a tutte quelle persone che ci hanno fatto del bene.

     Amici, ci viene ricordato oggi che non siamo padroni della nostra vita: tutto quello che siamo e che abbiamo, tutto ci è stato donato. Ecco perché San Paolo, scrivendo ai Romani, avverte: “Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole”. Mi sembra perciò buna occasione , oggi, fare memoria di tutti i benefici ricevuti da Dio, dalla Chiesa, da tutte le persone che hanno lasciato un segno d’amore. Dunque, chiara ed esauriente la risposta di Gesù: Cesare e Dio sono posti non in alternativa, ma in distinzione di priorità. E’ nostro dovere esprimere tutte le nostre potenzialità per un buon servizio alla collettività; Gesù invita però a mettere le cose al posto giusto: siccome non siamo padroni di niente, dobbiamo rendere conto sull’uso di tutti i beni dati in uso, e restituirli in buono stato.

     Io sono il Signore, non ce n’è altri” – abbiamo ascoltato a chiusura della prima lettura. E ora, con la Professione di fede, riconosciamo la signoria di Dio, rinnovando a Lui la nostra gratitudine e obbedienza. Amen. Amen.