DOMENICA  27.a  -  A   :   UN  AMORE  FERITO

 

     Oggi, per la terza domenica di seguito, abbiamo a tema la vigna. Nell’antico Israele, la vigna e il gregge erano un bene prezioso; erano la fonte principale della ricchezza. Ecco perché, nella Bibbia, sia la vigna che il gregge, vengono spesso citati come segno dell’amore e della benedizione di Dio. La vigna poi è oggetto di particolari attenzioni da parte di Dio; essa viene affidata alle cure e alla custodia di contadini scelti, a un popolo scelto e amato, a Israele. Gesù fa espressamente riferimento al Popolo eletto, che Dio si era scelto,  ma che, alla fine, si era rivelato ingrato e infedele. Già Isaia – ascoltato nella prima lettura – celebra l’amore di Dio per la vigna, ma anche la delusione di Dio per un amore tradito. Scrive Isaia: “Voglio cantare, per il mio diletto, il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna; l’aveva dissodata e ripulita dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse invece acini acerbi”. E conclude: “Ebbene, la vigna del Signore è la casa d’Israele”.

     Il Profeta esprime quindi delusione e tanta amarezza per i tanti tradimenti d’Israele che continuava a barattare il suo Dio con gli idoli dei popoli confinanti. Oggi, anche noi vogliamo lasciarci interrogare dalla sofferenza e delusione di Dio per tanta nostra ingratitudine. Nel Vangelo, Gesù parla non più solo al popolo d’Israele, ma al nuovo popolo: a noi e alla Chiesa. Gesù, nella parabola, elenca le reazioni farneticanti e deludenti d’Israele, che giungono alla decisione di uccidere il Figlio, l’erede. “Da ultimo – cosi è detto nella parabola – mandò loro il proprio Figlio dicendo: avranno rispetto per mio Figlio! Ma i contadini lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero”. Proviamo solo ad immaginare il dolore e lo sdegno del padre della parabola e la delusione per tanta ingratitudine e violenza.

     Ho letto con commozione  e grande attenzione  il libro di P. Turoldo dal titolo: “Anche Dio è infelice”, dove l’Autore elenca e commenta le parabole  che riportano le deludenti risposte dell’uomo, come abbiamo ascoltato oggi nella parabola dei due figli svogliati. Sapere che il mio Dio soffre per me, a motivo delle mie ribellioni, dovrebbe inquietarmi non poco. La parabola di oggi mi ricorda che la storia della salvezza è la storia di un amore deluso e tradito; un amore sempre in crisi, come certi Matrimoni: C’è Dio, innamorato della sua creatura, e c’è una sposa tiepida e opportunista, la nostra povera umanotà. Questo è motivo di dolore per un Padre che ama. Conosciamo le cosiddette lamentazioni che ascoltiamo il Venerdì Santo, durante il bacio del Cristo morto. Il lamento di Cristo tocca anche noi; dovremmo chiederci, oggi, se Dio è contento di noi e delle nostre risposte; se Dio è contento della mia famiglia; se è contento per come annuncio Dio ai miei fratelli. C’è anche da chiederci quale Dio sto annunciando; forse il Dio che non ho mai conosciuto, né mai incontrato! E’comunque molto triste sapere di avere deluso Dio!

     Eppure, nonostante questo, Dio non si arrende. La ferita al cuore di Dio diventa una porta sempre aperta per accogliere i peccatori e offrire loro guarigione e salvezza, La parabola dell’amore deluso non si conclude dunque con un fallimento. Dio è amore. Dio redime anche le nostre sconfitte, perché, nonostante le nostre infedeltà, Dio rimane fedele alla sua dichiarata misericordia, fedele al andato del Padre: “Che nessuno vada perduto!. Affermava S. Bernardo, con espressione molto efficace: “La sorgente dà sempre molto di più di quanto basti all’assetato”. Rinnoviamo, fratelli, un rapporto vivo e personale con Dio, per attingere, nella preghiera, sorgente perenne di grazia: luce, coraggio, perseveranza al “SI” detto a Dio nel nostro Battesimo e rinnovato nella santa Cresima. La Vergine Maria, che onoriamo come  MADONNA DELLE GRAZIE, ci renda docili alla Parola di Dio e operosi nel servizio ai fratelli, specialmente ai più poveri.  Amen.