DOMENICA  26  -  C  :   UN ABISSO DA COLMARE – ORA!

 

     Da alcune domeniche, l’evangelista Luca continua ad offrirci l’insegnamento di Gesù sull’uso cristiano della ricchezza. DOMENICA SCORSA, concludevo l’Omelia ricordando il suggerimento di Gesù sul come trasformare una ricchezza “ingiusta” in ricchezza utile e meritoria, attraverso la condivisione con i poveri. OGGI, la pagina ascoltata ci pone di fronte due personaggi che vivono una condizione radicalmente diversa: un RICCO “che indossa vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dà a lauti banchetti”: un uomo senza nome e tuttavia invidiato da molti per il suo tenore di vita. E c’è un POVERO; non ha abiti preziosi; non ha nemmeno bende per coprire le piaghe; e – quel che è peggio – non ha neppure di che sfamarsi; tant’è che lo troviamo in piedi, alla porta del ricco, in attesa di raccogliere quello che avanzava, da condividere con i suoi cani. Ma, a differenza del ricco anonimo, lui – il povero – ha un nome: LAZZARO che significa: “Dio viene in aiuto”.

     GESU’, nel suo racconto, non si prolunga in altri dettagli; con la morte, i due protagonisti della parabola concludono la loro vicenda terrena raccogliendo tutto il bene e tutto il male che hanno segnato la loro esistenza. “la vita è breve! – recita un detto – giunge presto la morte che raccoglie in un istante tutto il bene, e tutto il male di ciascuno. Lazzaro – il povero in vita – viene portato dagli Angeli in Cielo; il ricco invece sprofonda all’inferno e, torturato da grande sete, invoca dal padre Abramo che mandi Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnargli la lingua. Cosa irrealizzabile, spiega Abramo, a motivo di un grande abisso che si frappone tra loro. La pena inflitta al ricco ci porta a una riflessione sull’uso delle ricchezze. Ci chiediamo che male ha commesso il ricco per meritare una punizione così severa e, per di più, con il marchio dell’eternità. La morale della parabola sta proprio qui. Il ricco non ha fatto nulla di male a Lazzaro; non lo ha offeso; non lo ha cacciato; e poi va ricordato che il ricco sta godendosi una ricchezza tutta sua. Quanti di noi finiscono per invidiare questo ricco sentenziando: BEATO LUI CHE PUO’!

     Ma Gesù nella parabola non la pensa come noi; entra qui in gioco un peccato molto grave e tanto spesso sottovalutato: sono le OMISSIONI. Dobbiamo prendere atto che “non vedere – non fare nulla – ignorare i disagi e la sofferenza di chi ci vive attorno – E’ PECCATO! Ed è peccato grave, quanto lo sarebbe se quel male fosse stato recato da noi. Il ricco della parabola viene condannato ad una situazione di infelicità perché, pur avendo sott’occhio la sofferenza di Lazzaro, non ha fatto nulla per lui. E quanti Lazzaro ci passano appresso; noi li notiamo, ci fanno compassione; ma li ignoriamo, nel timore di restarne coinvolti. La solidarietà non è un optional; e la ricchezza non può essere goduta nella esclusione di ogni condivisione.

     Benedette quelle famiglie dove i figli possono apprendere, dal linguaggio e dai gesti di carità dei genitori, che ogni situazione di povertà e di sofferenza diviene problema da risolvere con la partecipazione di tutti. Nella parabola, il ricco chiede un gesto di sollievo al padre Abramo; ne riceve un diniego, perché – spiega Abramo - “tra noi e voi è stato fissato un grande abisso”, assolutamente invalicabile. Il cuore della parabola non è una vendetta, o una rivalsa, di Dio. C’è una parola, nella risposta di Abramo, che fa tremare: E’ quell’ABISSO invalicabile, un burrone incolmabile. L’abisso non l’ha voluto Dio per ribaltare una situazione di ingiustizia; l’abisso è stato creato dal ricco quand’era in vita! L’abisso non è una voragine creata artificialmente, come nei film Horror; l’abisso invalicabile è nel cuore del ricco, che non è stato in grado di capire la sofferenza altrui; che non si è accorto del povero che viveva nello stesso condominio. L’abisso è presente anche nel cuore del cristiano che è fedele alla Messa festiva e che si ritiene un buon cristiano, ma è incapace di condividere il dolore fisico, umano, di chi, in comunità, sta lottando per la sopravvivenza.

     Se rileggiamo attentamente la parabola, scopriamo che Dio non dà soldi al povero; solo gli invia dei cani che gli leccano le piaghe e – alla fine – invia gli Angeli che lo accompagnano in Paradiso. Ha avuto ragione Papa Francesco nell’affermare che la carne e le piaghe del povero sono la carne e le piaghe di Cristo. Fratelli, è questo il tempo per fare il bene. Gesù ce lo ricorda con queste parole: “Qualsiasi cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a me”. Potremmo allora, già ora, decidere come essere generosi con il Gesù, presente nei poveri: mettendo a disposizione non solo qualche euro, ma anche un po’ del nostro cuore, del nostro tempo, un po’ delle nostre braccia e della nostra intraprendenza.  Amen.