DOMENICA  26  -  A  :  LA PARABOLA DEL DIRE EDEL FARE

 

     Avrete notato che la parabola ascoltata si apre in modo insolito: Gesù richiama l’attenzione degli ascoltatori perché, dopo il racconto della parabola, diano una loro personale valutazione sul comportamento dei figli. Inizia infatti con un “che ve ne pare?”  che oggi viene rivolto anche a ciascuno di noi. La parabola è la storia di un padre che chiede ai due suoi figli di andare a lavorare nella vigna di famglia. Ne conosciamo il seguito: il primo risponde “si”, ma non ci va; l’altro risponde sgarbatamente di “no”; ma poi si pente e va a lavorare. Sembra il racconto di quanto avviene spesso nella nostre famiglie; probabilmente una realtà che si è ripetuta mille, e più volte, anche nel nostro rapporto personale con Dio. A ben pensarci, anche noi viviamo un atteggiamento a volte ambiguo, non solo in famiglia e tra amici, ma anche con Dio; quando, per esempio, ci pensiamo credenti semplicemente perché sappiamo parlare bene di Dio, o perché ritenuti bravi catechisti, o perché non manchiamo mai alla Messa.

     E sempre mi torna alla mente una dichiarazione che sento ripetere abbastanza spesso: “Sono credente ma non praticante”. Ma che significa credere in Dio e poi escluderlo dalla propria vita! Sarebbe come dire: “Sono innamorato, ma non mi sento interessato alla persona che amo”! Dichiararsi “credenti non praticanti” significa in pratica: credere in Dio nei momenti in cui ho bisogno; significa dedicare a Dio il tempo di una Messa, vissuto con fretta e tanta noia, nell’attesa impaziente di ascoltare l’invito: “Andate in pace” e fare ritorno alla propria vita, che sarà comunque senza la memoria di un Dio che si è fatto uomo per restare per sempre con noi. Oggi la parabola dei due figli scende nelle profondità delle mie contraddizioni, e mi sento chiamato in causa; mi ricorda che non basta sembrare buono; mi accorgo che faccio tante cose buone, ma per essere ammirato, per apparire. “Che ve ne pare?”: lo chiede ora Gesù a ciascuno di noi.

     Certo, abbiamo capito che tutti e due i figli erano sbagliati: uno dice “si”, fa un bel figurone, ma poi non succede nulla; l’altro dice “no” e tutti lo fischiano; ma poi ci ripensa e, anche se di mala voglia, ritorna sulle sue decisioni. Fratelli, penso che anche tutti noi abbiamo fatto esperienza del rifiuto di impegnarci per il bene; ma penso che abbiamo anche fatto esperienza della gioia di ricrederci e di esserci accostati al Sacramento della Riconciliazione per chiudere un tempo sbagliato. Abbiamo così fatto esperienza che anche una caduta può divenire importante per scuoterci e farci cambiare strada.

     Da come è stata pensata la parabola, si capisce che Gesù conosce il prima e il dopo dei nostri “si” e dei nostri “no”; ci ha fatto anche sapere che egli è paziente e sa attendere il nostro pentimento. Nel figlio ribelle, del “no” al padre, Gesù, con il suo sguardo lungimirante, vede i convertiti di tutti i tempi; qualcuno è conosciuto anche da noi: Saulo di Tarso, Agostino, Francesco di Assisi, Charles de Foucauld, ecc.: sono grandi personaggi che, pur essendo battezzati, vivevano lontani da Dio; ma, una volta conosciuto l’amore del Padre, hanno cambiato vita. A costoro sono rivolte le paradossali parole del Vangelo: “Vi dico che ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.

     Come ritorna utile la preghiera ascoltata nel Salmo Responsoriale: “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza”. E conclude il Salmista: “Buono e retto è il Signore, indica ai peccatori la via giusta”. Ecco vorrei allora concludere con una parola di incoraggiamento a chi vive ancora ancorato al primo “no” iniziale: Nessuno si scoraggi! Se mettiamo Dio come méta del nostro cammino, faremo certamente in tempo a cambiare il “no” in “si”! Potremo – anche se un po’ tardi – rientrare nella vigna di famiglia dove. Il padre della parabola ci attende per offrirci il suo amore e la sua compiacenza e, in definitiva, la sua salvezza. Per questo ora ci poniamo in preghiera e insieme rinnoviamo la professione di fede. CREDO IN UN SOLO DIO…