DOMENICA  26.ma  -  C  :  “TRA NOI E VOI E’ STATO FISSATO UN GRANDE ABISSO”

 

     Con la parabola ascoltata, Gesù continua la sua catechesi sull’uso della ricchezza. Gesù ha voluto ricordare che, al termine della vita, avviene un rovesciamento delle situazioni vissute in questa vita: il ricco precipita nell’inferno; il povero è accolto nella gioia del Cielo. Detta così, la parabola potrebbe essere interpretata come una rivincita di Dio – o peggio, come una vendetta di Dio – per far trionfare finalmente la giustizia. Certamente ogni uomo che giunge al capolinea della vita, deve rispondere personalmente davanti a Dio, del bene fatto, o non fatto, e anche del male compiuto. Ma, a richiamare la mia attenzione,  e a creare disagio nei miei pensieri, è la parola “ABISSO”. E’ la parola che mi ha riportato alla memoria una scalata, in cordata, nella mia giovane età. In salita, tutto bene; ma nella discesa mi sentivo letteralmente inceppato: il vuoto e il precipizio che mi stavano davanti agli occhi, mi terrorizzavano. E’ andato tutto bene, se no non sarei qui, ora. Ma quell’abisso posto tra il paradiso e l’inferno mi pone tanti problemi che vorrei condividere.

     Nella parabola ascoltata, il “grande abisso” è frapposto tra il ricco epulone e il povero Lazzaro, che troviamo già al di là della vita: è la distanza non più percorribile tra il paradiso e l’inferno; viene qui annunciato che dopo la morte non è più possibile nessun aggiustamento. Ma la parabola ha anche voluto ricordare che l’abisso del post mortem è già presente ora; perché è nella vita presente che uno sceglie in quale versante dell’abisso vuole collocarsi: se dalla parte dei poveri, o nel versante dei ricchi, nell’unico intento di godersi la vita. Sento dire spesso: “Ha soldi? Beato lui! Sono suoi, se li goda!” Espressioni che scavano quell’abisso che, col tempo, diviene invalicabile. Perché “invalicabile”? Perché questo “godersi la vita” fa chiudere gli occhi e il cuore, per non vedere chi ci vive accanto, nella povertà, nella malattia, nella solitudine. Il ricco non è condannato perché è ricco, ma perché la ricchezza l’ha reso insensibile e indifferente  verso chi soffre e lo ha isolato da tutti. Può essere che questo ricco non manchi mai alla Messa e che perciò si ritenga anche un buon cristiano. Ma il suo peccato è non essersi accorto del povero della porta accanto! Il suo peccato è ascoltare le tragedie che i notiziari TV quotidianamente ci portano in casa e aver concluso col dire: “E io che ci posso fare?”

     Allora cominciamo a capire che questo “grande abisso” non è voragine tra due pendii scoscesi, ma è il vuoto che l’uomo ha prodotto nel suo cuore, per escludersi dagli altri, per godere, da solo, dei suoi beni. Ma Gesù avverte che, il non fare nulla per gli altri, è male, tanto quanto umiliare e commettere soprusi  e ingiustizie. Il peccato del ricco della parabola è di aver visto quel poveraccio e di non aver fatto niente per soccorrerlo. E’ lo stesso peccato commesso dal sacerdote e dal levita che, a Gerico, videro il poveretto malconcio e hanno tirato diritto. E, badate bene: in questo discorso, non è importante la consistenza della ricchezza; il cuore non va a peso; va a misura d’amore! E allora dobbiamo chiederci: Quanto sappiamo amare? Quanto sappiamo mettere a servizio degli altri il nostro tempo e il nostro impegno? Il ricco della parabola è vissuto senza compassione. Il suo peccato è di non aver fatto nulla per soccorrere il povero, l’ammalato, l’indifeso; il suo peccato è l’indifferenza verso Dio che abita nel povero.  Papa Francesco ha più volte ripetuto che la carne e le piaghe del povero sono carne e piaghe di Dio!   

C’è allora una lezione da apprendere subito: Apriamo bene gtli occhi; guardiamoci attorno per accorgerci di quelli che attendono un aiuto. La solidarietà non è un optional. Benedetti quei genitori che danno l’esempio di  come si aprono le mani per soccorrere quelli che sono nel bisogno. Per lo più, i poveri non bussano alla porta; attendono, come Lazzaro, sulla soglia per raccogliere qualche avanzo, Educhiamoci, fratelli, l’un l’altro al dono, così che, questo clima di generosità, renda le nostre case il luogo dove è possibile realizzare il Regno di Dio,cioè la nuova società dell’amore, coprendo con l’amore il vuoto e l’abisso che vorrebbe separarci, per l’eternità, dai poveri e da Dio.  Amen.